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Martedì 13 agosto 2024

Mi sono fatto accompagnare nelle ultime settimane dalla lettura di AMICO CARISSIMO, il libro che riporta in parallelo le parole di Enzo Piccinini e le reazioni di chi lo ha incontrato. Ponevo la lettura in alcuni momneti vivi della giornata, nei passaggi tra Chioggia e Pellestrina. Anch’io l’ho incontrato negli ultimi anni della sua vita, quando veniva a trovarci a Chioggia. Ricordo anche che una volta, insieme a don Lino Rebellato, siamo andati a Bologna a incontrarlo, e l’abbiamo atteso fino a tarda sera, dopo tutti i suoi impegni. Ma non ci aveva infastidito quell’attesa, pieni di meraviglia per quell’uomo che ci accoglieva, ci ascoltava, ci rilanciava.

Il libro. Procede per varie tematiche, come percorsi che mettono in evidenza un tratto della sua vita, della sua fede, del suo rapporto con le persone. Al contrario del libro in qualche modo analogo si Andrea Aziani, che mi sembrava ripetitivo e quindi a tratti stucchevole, questo è vibrante, sempre nuovo pur riferendosi alla stessa persona.  Quel che risalta è l’uomo, pieno di vita e di ricerca, indomabile fisicamente e intellettualmente. Un carattee vivace, una ricerca audace di tutto, una ‘compromissione invadente' con la vita di tutti. Un uomo, un chirurgo, un amico, un capo. Fatto per gli ideali grandi e interi. Da giovanissimo, mentre partecipa ai gruppi marxisti extraparlamentari, incontra i ragazzi di don Giussani che a Bologna vivono in modo diverso. In questo impatto, il torrente della sua personalità irrompe in un territorio nuovo, e ne guadagnano le sue acque e il territorio, L’audcia del ‘di più’, l’audacia del ‘si può’. Sia in sala operatoria, che nel rapporto con le persone, nella spinta di nuove proposte e iniziative. Don Giussani l’ha notato ben presto, e lo ha reso partecipe della sua amicizia, facendogli incontrare altri, come Angelo Scola. Si può forse dire che nella personalità piena di giudizio e irruenza di Piccinini, la personalità di Giussani e la sua proposta hanno cavalcato un cavallo da corsa, si sono rivestiti di un’umanità capace di abbracciare, condividere, aprire, rinnovare. Cristo vivo, Cristo presente, è Lui la risposta compiuta al nostro essere, al nostro desiderio, all’impulso del nostro cuore. Fino al punto che ‘Il criterio, per chi incontra Cristo, non è neanche il cuore’. Cristo sperimentabile in una appartenenza, in una compagnia, nella realtà immediata della vita. Come si capisce che il cristianesimo non è un pensiero da assimilare, ma una posizione di vita, un’esperienza di fatto, una compagnia presente che incontra, invade man mano le cose della vita, con il desiderio e la tensione di coinvolgerle tutte.

Il libro termina con una sorta di biografia che riporta il passaggio di alcune date e alcuni avvenimenti, fino al culmine dell’ultimo giorno, il 26 maggio 1999, quell’incidente che gli bruciò la vita, quella vita che già era tutta offerta.

don Angelo Busetto

pp 326 € 13 Bur Saggi

SCRITTURA, PAROLA, AVVENIMENTO nella vita del cristiano
Interessante e ricchissima di riferimenti biblici la lezione di mons. Antonio Pitta sul tema dell’Agape, nell’ambito del Festival Biblico, Venerdì 17 maggio. L’attenzione del pubblico è stata avvinta dalla presentazione di quattro ‘fraintendimenti’, il primo dei quali è la presunta opposizione del Dio dell’Antico Testamento rispetto al Dio del Nuovo Testamento. Semplici cristiani, religiosi, predicatori – sottolinea il relatore - hanno equivocato e continuano ad equivocare parole e concetti presenti nella Bibbia. Non bastasse, ci sono anche vocaboli malamente tradotti dall’ebraico o dal greco e a volte scambiati nel significato; in particolare le tre parole riferite all’amore: eros, filia, agàpe.
Al che, è inevitabile che sorga una domanda: ma un cristiano a che cosa crede, chi crede? Resta a barcamenarsi tra le interpretazioni e le traduzioni, e ondeggia tra una parola e l’altra, tra un autore preferito e uno trascurato?
Il relatore distingue la parola dalla scrittura. La scrittura, dice, è il contenitore di una parola che viene annunciata e ricevuta, e che per la potenza dello Spirito vibra nella vita dei cristiani.
E’ un risposta interessante. E tuttavia non viene superato lo scoglio delle interpretazioni e degli equivoci.
“Fides – dice san Tommaso – non terminatur ad enuntiabile, sed ad rem”: la fede non termina ad un enunciato, ma a una realtà. Detto in altro modo: La fede non poggia sulle parole, ma sui fatti. Non aderiamo a parole scritte o dette, ma a fatti accaduti e a realtà presenti. Non si tratta di abolire la parola o le parole, ma di seguire il percorso delle parole in quanto conducono ai fatti.
Nella pratica della vita cristiana, constatiamo che la fede non pervade solo il linguaggio e la mente, ma vive come esperienza di adesione a un fatto, come partecipazione a una realtà nella quale il mistero di Dio si rende presente. Per i primi che hanno incontrato il Signore, attraverso e oltre le sue parole, avveniva l’adesione e la sequela a Lui. Anche per noi la fede è adesione a Cristo, in tutti gli aspetti in cui Egli si rende attuale e sperimentabile: la realtà della Chiesa come comunità, parola, sacramento, autorità, vita… L’esperienza di fede permane anche nel fluttuare delle parole che la raccontano e la definiscono: le parole continueranno a chiarirsi e ad approfondirsi attraverso lo studio, la contemplazione e la preghiera.
Il mistero di Dio, compiuto in Gesù Risorto e reso permanente dallo Spirito Santo nel tempo della Chiesa, comunicato nella parola e celebrato nella liturgia, diventa vita per ogni cristiano e via di salvezza per ogni uomo.

don Angelo Busetto

angelobusetto24@gmail.com

 

 

CONSIDERAZIONI E PROPOSTE SULLA INIZIAZIONE CRISTIANA

- L’iniziazione cristiana dei ragazzi non è un percorso autonomo rispetto alla vita della comunità cristiana. Ogni comunità cristiana vive l’annuncio ricevuto e comunicato, l’esperienza sacramentale, la carità e la missione. Il coinvolgimento delle famiglie con i figli avviene dunque non per iniziative separate ed esclusivamente ad esse dedicate, ma nel contesto del cammino e delle iniziative proprie dell’intera comunità.
Il calendario liturgico con le sue feste e ricorrenze, vissuto nella comunità, diventa il cammino proprio delle famiglie dell’iniziazione, coinvolte in modo diretto a vario titolo per la preparazione e lo svolgimento nelle varie circostanze.
La catechesi della comunità – sistematica o in alcuni periodi dell’anno – è costituita da incontri di annuncio, incontri del Vangelo, testimonianze… Queste proposte costituiscono anche il cammino delle famiglie dei ragazzi dell’iniziazione, si trattasse anche solo di un incontro al mese.
L’esperienza dice che si possono promuovere e favorire anche incontri in singole famiglie e in gruppetti di famiglie, in particolare riprendendo il vangelo della domenica precedente o seguente, con una periodicità più o meno mensile.
La vita di carità, con il clima di servizio reciproco e le iniziative particolari, come la visita a persone anziane e malate in famiglia o in casa di riposo, le varie raccolte di cibo a raggio parrocchiale o nazionale, ecc… diventa ambito di attenzione e di partecipazione delle famiglie dei ragazzi e dei ragazzi stessi. Le esemplificazioni potrebbero continuare in riferimento a tutti gli ambiti della vita delle persone e al cammino della comunità cristiana…
NB. Con questa modalità diminuisce nei protagonisti della pastorale lo stress per le tante iniziative particolari che si sovrappongono a quelle generali e nello stesso tempo crescono l’attenzione e la cura all’intera comunità e alle singole persone. E soprattutto si realizza un ‘cammino di Chiesa’.

- Il sacramento dell’Eucaristia è il cuore che sempre batte nella comunità cristiana. I ‘piccoli’ partecipano all’Eucaristia ‘necessariamente’ con i genitori, e vengono introdotti progressivamente nella celebrazione insieme con loro e con la comunità. La comunione eucaristica non verrà rimandata alla fine del percorso, ma potrà attuarsi per singoli bambini o a piccoli gruppetti in varie celebrazioni ‘normali’ della Eucaristia festiva, a seconda della intensità e fedeltà di partecipazione dei bambini, nell’ambito del periodo corrispondente alla scuola elementare: “Lasciate che i bambini vengano a me”. Tutto questo avviene nel rispetto della libertà delle persone, del loro cammino di maturazione e della loro richiesta. In seguito, avverrà la celebrazione comunitaria della Cresima, e l’iniziazione cristiana troverà compimento nella cosiddetta ‘Messa di maturità’.

PS: Se si desidera intervenire su questo tema, da parte di genitori, catechisti, sacerdoti, si può contattare don Angelo Busetto:

whattsapp: 3386539107

oppure per posta elettronica:  angelobusetto24@gmail.com 

Da TEMPI di aprile 2024
Dagli “anelli di divorzio” di Emily Ratajkowski alle app che “riportano in vita” i cari estinti, questo tempo che ha rinunciato a Dio non sa più cosa inventare per rimediare alla morte

di ANNALISA TEGGI

Emily Ratajkowski mostra gli “anelli di divorzio” su Instagram
La morte dà scandalo, in qualunque forma si incontri. Muore un progetto e muore un gatto, muore il giorno e muore un amore. Perciò non stupisce che l’occhio cada dove l’anima s’accende, cioè su ipotesi di rinascita che cancellino, o almeno edulcorino, il dramma di una fine. Non mancano, anzi sovrabbondano, oracoli assurdi che escono da voci la cui unica autorevolezza è l’aver a disposizione megafoni tanto forti da disturbare le orecchie di tutti.
L’attrice e modella Emily Ratajkowski ha dato nuova vita all’anello di fidanzamento, creando due splendidi anelli di divorzio. È parte del suo processo di rigenerazione per guarire dalla fine del suo matrimonio. Gli esperti di tendenze assicurano che potrebbe diventare un trend di rinascita, l’anello del divorzio.
Ratajkowski è l’esempio perfetto di menzogna placcata oro, frutto di stili di vita talmente privilegiati da sfornare profezie di “vita nuova” senza accorgersi di calpestare l’uomo comune che non ha diamanti così grandi da dividere per moltiplicare gioielli a cui attribuire il potere taumaturgico di una resurrezione post separazione.
Ma l’esercito dei vip guru è talmente in sovrannumero da mettere a disposizione elisir di nuova vita abbordabili anche per il proletariato. La trama è la stessa in tutti i salotti televisivi, nei reel e sulle pagine patinate: un amarcord dei momenti più belli, poi una caduta e poi un appiglio per rialzarsi che suona sempre come il Santo Graal del benessere. Lascio andare la rabbia, uso solo il bianco per arredare la casa, mi circondo di persone positive, adotto animali, dico grazie ad alta voce tre volte al giorno, non mangio più cibi cotti. Parola di attrici, sportivi, cantanti, ex tronisti.

Il documentario Eternal You racconta il tentativo di “far rivivere” le persone defunte con l’intelligenza artificiale
Ed è curioso come questo nostro tempo che ha fatto a meno di Dio sia pieno di contenuti che zoppicano dietro all’unica storia che tiene. Sono tutti vangeli atei in cui a una gloriosa parentesi di vita pubblica segue una via crucis più o meno dolente che poi approda al colpo di reni di una resurrezione fai da te. Tutto a posto, fino alla prossima morte e al prossimo surrogato di rinascita a tempo limitato.
La morte, quella ineluttabile, arriva in ogni caso, ma ci si attrezza per vere e proprie resurrezioni artificiali. Non è una novità il successo delle app che “riportano in vita i morti” e già la serie Black Mirror ne ha svelato potenzialità da incubo. Di recente è stato presentato al Sundance Festival il documentario Eternal You, in cui sono raccolte storie di chi usa quotidianamente strumenti di intelligenza artificiale che riproducono l’esperienza di “stare” con qualcuno di caro che è morto.
Josh, ad esempio, chatta regolarmente con la sua ragazza del liceo, morta prima del diploma per una malattia incurabile. È un’istantanea umana potente: incollati ad avatar che hanno inghiottito e digerito accuratissime banche dati di chi è stato un padre, la nonna, il grande amore. E nessuna pietra che rotoli davvero via dai sepolcri.

Oggi il sole splende sul mare e sulla laguna.
Domandiamo che la luce della pace di Gesù Risorto illumini il mondo. 
Grazie a chi potrà unirsi,
da vicino o da lontano,
alla preghiera di ringraziamento
per il mio 60.o di sacerdozio,
che celebrerò
sabato 6 aprile ore 18.30
con la Messa in chiesa a Borgo San Giovanni di Chioggia.
Vieni Santo Spirito 
Vieni per Maria.
don Angelo Busetto
foto: Santuario della Madonna dell'Apparizione, Pellestrina 

GESU’, COSI’ UOMO DA SVELARE IL DIVINO

Suscita attenzione e provoca fascino la figura di Gesù, la sua storia, la sua persona. Parlare di Lui è come accendere una miccia che infiamma e scuote. Così è capitato al drappello di cristiani, riuniti nella Rete teologica, desiderosi di introdursi nel ‘Mistero’ Cristo. Così è avvenuto di recente anche ad un nutrito gruppo di persone di una unità pastorale. Nelle due diverse occasioni è venuto a galla un bisogno diffuso di conoscere Gesù, che spesso non trova occasioni di risposta, e un interesse vivace ampiamente condiviso.
Le domande aprono il dialogo: chi, che cosa hanno incontrato i primi che hanno visto Gesù? Che cosa nella sua vicenda umana produce uno squarcio che rivela la sua divinità?
Il dialogo che si sviluppa nell’ultima riunione della ’Rete teologica Santi Angeli’, lunedì 22 gennaio in Seminario, documenta il ‘colpo di fulmine’ del primo incontro con Gesù, utilizzando passi dei Vangeli o facendo riferimento a testi che ne raccontano la vita (Ratzinger, Messori). Ci si domanda come hanno potuto Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni abbandonare immediatamente il padre e la barca. Gli evangelisti isolano questo episodio che lascia intravedere un’amicizia già avviata; i Vangeli non registrano la cronaca dei giorni, ma evidenziano alcuni fatti decisivi. In seguito, quel primo incontro viene sottoposto al vaglio di una lunga verifica nella convivenza degli apostoli con Gesù. Guardando la sua umanità, questi vengono sospinti a protendere lo sguardo più in là: il pane moltiplicato rimanda al pane che diventa suo Corpo; la risurrezione dell’amico Lazzaro fa scoprire che Gesù stesso è risurrezione e vita; in ogni accadimento Gesù si protende verso la ‘sua ora’, quella decisiva della Pasqua. Rimane decisiva la parola di Gesù alla Samaritana: «Se tu conoscessi… chi è colui che ti dice “Dammi da bere”»; come pure la provocazione di Gesù agli apostoli. “Voi, chi dite che io sia?”.
Gesù sorprende i suoi e continua a sorprendere anche noi. Chi può dire con lealtà: “Rallegratevi ed esultate”? L’invito alla gioia che pervade il Vangelo, dalle Beatitudini in poi, fa percepire l’intera vita di Gesù, e conseguentemente anche la vita del cristiano, come ‘Buona Notizia’, protesa fino al compimento del ‘destino’ dell’uomo, che supera la morte nella risurrezione.
L’umanità di Gesù è vera e nello stesso tempo eccezionale. È buona notizia la sua accoglienza verso coloro che la società di allora – e non solo – definisce come ‘scarti’: poveri, lebbrosi, stranieri, donne, bambini, peccatori, prostitute. In Gesù si manifesta dunque una ‘pretesa’ che – attraverso l’umano – sorpassa la misura dell’umano e nello stesso lo porta a compimento. Gesù accoglie e supera; risponde al nostro bisogno, ma lo apre alle dimensioni dell’infinito. Chi è dunque costui? Se lo domandano i suoi amici che lo accolgono in barca, vedendolo comandare al vento e al mare durante la tempesta che li impaurisce. E ce lo chiediamo anche noi, nelle tempeste che sconvolgono il mondo e nelle traversie della vita.
Si potrà dire che la divinità di Gesù si manifesta con evidenza nei miracoli e nella risurrezione. Ma prima di questo svelamento clamoroso, è la vita quotidiana del Signore Gesù tra noi a svelare il mistero della divina Persona del Figlio di Dio.
L’indagine sul ‘Mistero’ di Gesù proseguirà nel prossimo incontro della ‘Rete teologica Santi Angeli’, previsto per lunedì 11 marzo ore 21 in Seminario.

Gianni Colombo

Seguace di Rubens, Cena in casa di Simone Fariseo, Spagna XVII secolo

 

La Sindone e il Natale
L’ODORE DI UN CORPO
Pare che la mostra The Mystery Man si stia chiudendo con il botto: il tempo natalizio ha visto una crescita esponenziale di visitatori. So di alcuni amici, in gruppi anche consistenti, che da varie città sono arrivati a Chioggia ‘per vedere la mostra della Sindone’. Ho percepito una profonda vibrazione in alcuni di loro. Di fronte a Cristo, denunciato, catturato, percosso con i flagelli, coronato di spine, inchiodato mani e piedi sul ruvido legno della croce, morto esalando lo spirito, e infine deposto completamente nudo sulla tavola, si è realizzata un’esperienza che ha percosso gli occhi e trafitto il cuore di molti, forse di tutti. Quest’Uomo ridotto così. Così l’abbiamo ridotto.
Guardare, contemplare, tenere in mente questa figura mentre scorrono i giorni del Natale produce un’impressione strana. Come mettere in paragone il dolce Bambino di Betlemme con il Cristo trafitto?
Il presepio nel circondario del paesaggio, il movimento dei personaggi, l’invenzione delle caratterizzazioni, la fresca atmosfera natalizia; e anche, la densità della celebrazione della Notte di Natale, con la Veglia di letture e canti, e poi subito il frastuono dei regali di Natale, le gite, i pranzi, gli incontri; tutto questo dentro l’eco mediatico delle bombe, la distruzione dei palazzi, lo strazio delle persone.
Eccoci di fronte all’uomo vilipeso, annientato, sconvolto, che si chiama Gesù di Nazaret.
In questi giorni ho in mano il racconto che il romanziere francese Eric Schmitt fa della sua visita a Gerusalemme - La sfida di Gerusalemme -; va a descrivere il cammino dei pellegrini nelle quattordici stazioni della Via Crucis, racconta la sua ripulsa dentro la basilica del Santo Sepolcro in mezzo alla confusione della gente e alla babele delle liturgie, e lui che, in coda agli altri, si avvia verso il buco dove è stata piantata la croce di Cristo: “Improvvisamente tocca a me. Mi inginocchio, mi piego in avanti e… E…  E lo sento. Di colpo respiro l’odore di un corpo. Ne percepisco fisicamente il calore, vicinissimo a me. Uno sguardo potente mi investe…”
Chi è questo Gesù di Betlemme avvolto nella musica natalizia, chi è questo Cristo della Sindone con la ferita aperta ai piedi e nel petto, chi è questo Corpo che suda ai piedi della Croce?
Il mistero di Gesù, dalla nascita alla morte di Croce, contiene tutto il mistero dell’uomo; il dramma della nostra vita e della nostra morte non svanisce nel nulla, ma viene raccolto nel caldo abbraccio del Suo Corpo vivo.

Angelo Busetto 

DI FRONTE ALL’ULTIMA CENA

A gruppi di tre, nel riflesso della Trinità, i personaggi si intrecciano, ciascuno con la propria espressione del volto, i gesti delle mani, la piega del corpo, il colore del vestito. Di fronte all'Ultima Cena di Leonardo, la donna che ci accompagna ci apre lo sguardo a vedere le singole figure di Cristo e degli apostoli, nella loro propria specificità. Entriamo dunque anche noi nella sala del convito, sorprendendo gli invitati nel momento in cui Gesù ha appena detto: “Uno di voi mi tradirà”. Tutti gli apostoli sono sconcertati, ciascuno teso verso l’altro e tutti insieme protesi verso Cristo; siamo accompagnati a riconoscerli uno per uno secondo la mossa di ciascuno, il carattere, il colore, come sospesi sopra la tavola imbandita. Pare fin di sentirne le voci, mentre si spargono in sala i profumi delle vivande, e forse da una stanza accanto le donne che prestano servizio si protendono anch’esse a guardare. E’ la scena di un film, è un fatto che accade ora. Racconta il Vasari, al quale dobbiamo tante informazioni sui pittori del ‘500, che Leonardo lasciava sospeso il dipinto per lunghi tratti di tempo: accadeva che passasse l’intera giornata a guardare sulla parete i personaggi appena abbozzati, o che entrasse improvvisamente nella sala a tracciare una linea o definire un colore.

Questa raffigurazione dell’Ultima Cena, sulla quale tante volte lo sguardo si è posato con rassegnata abitudine, ci resterà in mente, perché raffigura noi, racconta il nostro legame con Cristo, il nostro desiderio di seguirlo, e nello stesso tempo dice la nostra lontananza da Lui, la nostra facile distrazione. Leonardo rappresenta la scena dentro la nostra esistenza quotidiana, quando vorremmo stare in pace con Lui e con il mondo, senza accettare il nostro dramma personale e senza aprirci al dramma del mondo assunto da Cristo. Ci piomba addosso invece il dramma del mondo e quello nostro. Ci troviamo sotto la stessa croce di Gesù, noi che come gli Apostoli avevamo fatto di tutto per rimanerne lontani ed estranei. Lui, Cristo Signore, non si sottrae al nostro sguardo e ci si mostra davanti con le mani aperte e il volto consolato. Sullo sfondo rettangolare di luce sul quale si staglia la sua figura, si protende verso di noi una promessa di risurrezione e di vita.

Angelo Busetto

 

Nell’incontro quotidiano della stampa con i giornalisti, ecco cosa scrive, sabato 14 ottobre, l’Osservatore Romano:

….Ha quindi preso la parola dom Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’ordine Cistercense, che partecipa ai lavori nell’ambito dell’Unione dei superiori generali. Il monaco ha parlato di «fase di cenacolo», dove l’importante non è «quello che dobbiamo capire o dire» ma la preparazione a «uno spazio di ascolto dello Spirito Santo, in cui Egli possa dire alla Chiesa ciò che vuole e quello di cui la Chiesa ha bisogno oggi».

Lepori ha messo in evidenza la metodologia seguita nel Sinodo: lo stile di lavoro dei Circoli minori intorno a un tavolo, ha spiegato, «è veramente un aiuto enorme a partecipare», in «un dialogo stretto», a rimanere continuamente «attivi nell’ascolto e nella parola che si dice», come una «responsabilità delegata verso l’insieme». Questo vuole dire, ha aggiunto, «relazioni» e conoscere le persone con la loro storia.

L’abate cistercense ha raccontato che, in questi giorni, era seduto accanto a una donna israelo-palestinese, condividendo così l’esperienza di una persona che «soffre nella sua carne la guerra attua le». E ha, inoltre, fatto notare di essere al Sinodo, perché eletto dell’Unione superiori generali. In questo contesto, ha detto, è chiamato a rappresentare la vita monastica e proprio come monaco sta imparando molto da questo Sinodo. Anche perché, ha confidato, ricorda «un po’ l’impostazione che san Bene detto dà al cammino di ogni comunità», affermando che «l’abate deve regolare il cammino del gregge in modo che i forti non siano mortificati nella loro generosità e i deboli non siano scoraggiati». Questo significa che «si deve regolare il cammino della comunità e il Sinodo lo fa per tutta la Chiesa». Il valore più grande, infatti, «non è tanto quello che diciamo o decidiamo» ma anzitutto che «si mantenga la comunione della Chiesa». Per questo Lepore ha confidato di sentirsi richiamato «a una conversione, a un ascolto», considerando che forse è venuto al Sinodo preoccupato più di quello che doveva dire o si sarebbe detto, e invece si è accorto che «la cosa più importante è quello che lo Spirito Santo dirà e quindi il nostro ascoltarci reciproco». È importante, ha aggiunto, «veramente ascoltarsi senza che la parola mia o dell’altro ci separi».

L’abate ha concluso sottolineando che si è creata e si crea sempre di più come «una comunione di fondo, una simpatia, un’empatia» tra tutti che stupisce e riempie di speranza. «Stiamo andando — ha detto — verso qualcosa che è bello per la Chiesa intera», per cui è bene «dargli tempo, silenzio, spazio», e soprattutto dare la possibilità «a Dio di convertire il nostro cuore». …