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Quante volte sentiamo o leggiamo e magari commentiamo la stessa notizia, insistentemente annunciata, ripetuta, commentata da tv, giornali e miriadi di social? Intuiamo in anticipo la scaletta del telegiornale, lo stillicidio dei commenti dei politici di opposta tendenza, l’altalena di spese e pranzi e regali fatti o da fare. La grancassa del mondo diventa monotona, schiacciata dal mucchio delle solite cose. E’ tutto qui il mondo da conoscere, è questo che ci interessa, sono questi gli avvenimenti che meritano di essere raccontati?

Viene l’occasione di tirarsi fuori dalle cose solite: alcuni giorni di ritiro spirituale o di vacanza con amici; oppure un avvenimento forte, lieto o doloroso, che interrompe il ritmo consueto. La scena cambia, per la lontananza dai luoghi abituali; le giornate ti vengono incontro con il volto delle persone. Riscopri un giro di parenti e amici, e il cuore vibra con una danza leggera; si svelano luoghi, panorami, case, chiese, monti, sentieri, ambienti che allargano l’orizzonte. Si ridesta la sensibilità per quello che incontri, una percezione acuta del senso della vita, un’esperienza diversa dell’esserci e dell’abitare. Ti domandi: dov’era tutto questo mentre me ne stavo a casa tra le solite cose? Cominci a desiderare che anche la vita che scorre immobile nelle giornate mantenga lo stesso tipo di attenzione alle cose, lo stesso sguardo sulle persone, la stessa partecipazione agli avvenimenti. L’orizzonte si allarga e il dialogo si apre su altre finestre. Il tempo diventa disponibile per altre iniziative. Cerchi – e a volte trovi – un numero più ampio di persone da visitare; vai a rovistare nella marea dei libri e scovi gli autori che sempre ti hanno attratto e che restavano relegati in seconda o terza fila; ti schiudi alla novità del silenzio e ti fai prendere dallo stupore della liturgia ben cantata. Spuntano gli autori classici e assapori il gusto del linguaggio chiaro e diretto di un Padre della Chiesa, ti lasci avvolgere dalla musica dei concerti che girano il mondo non solo a Natale e Capodanno, mentre intanto scorri i giornali o riordini gli oggetti dispersi in un cassetto. Accogli l’invito di un vecchio amico di scuola, intravvedi una possibilità di contatto con una persona malata e con la famiglia con bambini piccoli, così difficile da intercettare.                                             Hai sempre bisogno di venire risvegliato a una visione più vera di ciò che accade nel mondo. E dunque, meno tv e telegiornali, e più attenzione alle pagine del quotidiano che ti introducono al senso delle cose, più tempo a quei due o tre settimanali, a quei tre o quatto mensili che hai tra mano, per superare la banalità della cronaca e svincolarti dallo standard dei giudizi scontati. Pian piano la vita torna a respirare. Non restiamo schiavi di chi guida il treno, pur senza bisogno di scendere dalla carrozza. Il panorama ci scorre davanti pieno di sorprese. E chiudendo gli occhi su quel che  succede là fuori, vedi scorrere vite autentiche, capaci di affrontare il male e di costruire il bene. Esiste dunque una vita ‘altra’, più vera. Esistono notizie ‘altre’, che appassionano. Non più rassegnati a sprofondare nel vuoto del nulla che una società annoiata continua a raccontare.

  1. Mentre il pensiero gira su queste cose, arriva un messaggio: “Mio figlio ventenne dice essere stufo delle notizie dei soliti tg. Ha scoperto tv 2000, e trova che le notizie dal mondo hanno un altro sapore”.

Don Angelo Busetto     3386539107

Per vivere, ci vuole un ‘LUOGO’ 

A fare l’elenco delle occasioni e delle proposte dell’ultimo periodo, si rimane impressionati. Il cristianesimo ti si fa incontro come realtà viva, non incastrata nell’abitudine, ma rianimata dal desiderio del cuore e dalla sorpresa delle situazioni. A cominciare dalle occasioni più immediate, segnate dal ritmo del tempo di Avvento, con le domeniche, il ritiro, la Novena, il Natale, gli incontri di gruppo e quelli personali, le letture e i contributi che arrivano via social… un fiume nel quale la tua barchetta scivola; devi solo badare a tenere dritta la barra del timone e a non disperdere l'impulso del cuore. La vita della Chiesa percorre il territorio della nostra umanità, ne intercetta le zone aride e quelle depresse, sostiene e corregge i nostri passi e ci mette in sintonia con quanti si trovano nello stesso cammino. Dove andremmo se il tempo non fosse segnato dalle cadenze liturgiche? Se il desiderio e l’attesa non si rianimassero con l’Avvento, se il Natale non ci commovesse, se non ci accompagnasse il ritmo delle domeniche che saldano lo scorrere dei giorni? Da quando il Figlio di Dio è venuto tra noi, il tempo non è più vuoto e ripetitivo, ma si apre a un cammino e a una comunità. Troviamo luoghi in cui abitare, momenti in cui sostare, slanci con i quali riprendere il cammino. Senza una strada, una compagnia, un luogo, rimaniamo desolati e soli, sprofondati nella tristezza del vuoto interiore e dispersi nel martellamento ossessivo di mille pubblicità. Oggi può essere la condizione in cui ci si ritrova dopo che le comunità dei paesi e delle contrade si sono svuotate e sono andati smarriti gli ambienti nei quali ci si trovava la domenica. Ti guardi attorno e non trovi più gli amici di un tempo, il prete di una volta, la comunità che lo attendeva e faceva festa insieme.

Per questo è provvidenziale l’insorgere di luoghi ‘altri’, meno legati alla vicinanza di territorio e più significativi come rapporti umani. Gruppi di amici, comunità di famiglie, condivisioni di salute o malattia. ‘Luoghi’ non determinati da strade e muri, ma segnalati da un richiamo più profondo. Un gruppo di gente, che lavora o è in pensione, si ritrova per un pranzo frugale una volta alla settimana, in uno spazio di dialogo e di condivisione; malati sparsi per l’Italia superano la solitudine collegandosi con un prete che celebra la Messa e raccoglie il loro bisogno di vita e le loro domande di significato; altre persone, a partire da una proposta lanciata dalla comunità cristiana sinodale, si ritrovano a gruppetti in casa attorno alla parola di Dio annunciata nella liturgia festiva. Viene a cambiare qualcosa nella concezione di sé: non più vite allo sbaraglio, ma persone con un riferimento, una compagnia, un luogo di appartenenza. La Chiesa non più estranea alla vita, ma sperimentata come amicizia e occasione di giudizio sugli avvenimenti che incombono. Anche Gesù, dopo gli incontri con la folla, si trovava a dialogare in casa con i discepoli. Nasce l’opportunità di incontrarsi in ambiti più vasti, e di accompagnarsi a vivere insieme le grandi occasioni della Chiesa, il Giubileo o una proposta di carità e di missione che allarga l’orizzonte. Si scioglie la tristezza della solitudine, si stempera il timore del confronto con gli altri, e decadono quelle diffidenze che tengono chiuso il cuore. Come diceva tanto tempo fa Romano Guardini: ‘La Chiesa si ridesta nelle anime’. Si può aggiungere: e le anime si ridestano nella Chiesa.

D’improvviso, dopo il vuoto delle domeniche precedenti, la liturgia festiva si riempie della clamorosa partecipazione di decine di ragazzi con le famiglie. L’attrattiva dell’Avvento smuove le correnti del cuore e orienta verso il Natale; i catechisti la intercettano e la imbarcano in un veliero che percorre il mare della speranza attraccando nei quattro porti delle domeniche di Avvento. Un grande pannello materializza elegantemente l’immagine ai piedi dell’altare, e ciascun ragazzo riceve il piccolo album che la riproduce, per segnarvi le soste settimanali. Alla fine della celebrazione, a sorpresa, il mister che segue l’attività sportiva dei ragazzini balza in sagrestia a confermare l’alleanza tra chiesa e campo sportivo: nel giro degli allenamenti e delle gare combinerà un calendario che lasci spazio a ‘cose così belle’. Tutto questo è già un piccolo miracolo della ‘comunità cristiana sinodale’ dove le singole comunità parrocchiali si intrecciano e convergono insieme. La compagnia nella fede troverà poi un altro punto di slancio in una serata per rinnovare la vigilanza verso la Parola che viene.

A guardare il calendario ci accorgiamo che la nostra compagnia umana vive nel riflesso della compagnia celeste. L’Avvento è illuminato dalla bianca luce della Madonna Immacolata che risplende della grazia di Dio, ed è pervaso dal fremito di Giovanni Battista che fa convergere verso Gesù l’attesa del cuore e ogni desiderio di bene. Accanto all’Immacolata e al Battista si raduna la schiera dei Santi di dicembre, Carlo de Foucauld che apre il mese, Francesco Saverio, Barbara, Nicola, Ambrogio che occupano la prima settimana, seguiti da Lucia e poi da Giovani della Croce e Francesca Saverio Cabrini. Ci sarà un’impennata a metà dicembre quando arriverà a casa sua a Pellestrina una reliquia del Beato Marella che troverà posto in chiesa presso l’altare dei Santi. Non siamo soli, a casa o in chiesa, in campo sportivo o nei viaggi. Ogni occasione e ogni situazione acquista sapore e bellezza nella compagnia degli amici. Impressiona l’aneddoto ricordato dallo psicanalista Recalcati: il grande poeta Goethe nel suo viaggio in Italia del 1786 arriva a Rovereto e poi ad Affi e di qui vede “sotto i piedi” lo scenario immenso e irripetibile del lago di Garda. Vorrebbe gridare la sua meraviglia con mille parole, ma non c’è alcun amico con il quale poter condividere; neppure il vetturino che l’ha condotto in carrozza comprenderebbe la sue parole.

Il dramma della solitudine, che non permette di condividere gioie e dolori, si scioglie nei giorni dell’Avvento e del Natale, quando si libera la gioia di guardare insieme, insieme cantare e lodare; nella compagnia degli amici in terra e dei santi in cielo, attendiamo Gesù e poi con gli angeli cantiamo i canti del Natale e accogliamo il Dio che viene. Accade la ricomposizione dell’umano, spezzato da contese e guerre, sciupato da egoismi e distrazioni: il Bambino Gesù viene a sorprenderci con una presenza che ci abbraccia e dà origine a una storia che percorre il tempo e permette ad ognuno di incontrarlo. Lo percepiscono i bambini che riempiono di capanne e pecorelle i presepi della scuola materna e quello di casa, attirando verso Gesù gli sguardi degli adulti. Niente è più efficace del miracolo dei bambini piccoli che guardano, liberi nella gioia di correre tra i banchi della chiesa o tra i tavoli del ristorante e di saltare di gioia in braccio al papà. Lo spettacolo della vita non sarà sempre quello della gioia canterina dei bambini che riempiono il teatro dello Zecchino d’oro; tuttavia il canto dei bambini è uno specchio del cuore pervaso da una promessa di felicità. Con questa attesa camminiamo insieme verso Natale.

don Angelo Busetto, 3386539107

 

Domenica sarò a pranzo da una giovane famiglia con due figli in età scolare. Cerco qualche libretto che sia bello e utile per i bimbetti. Rovistando nel reparto della libreria casalinga dedicato ai santi e al catechismo vedo spuntare il grande album con la storia a fumetti dei Martiri Felice e Fortunato; scopro anche un fascicolo colorato con foto e disegni grandi e piccoli, che invitano i bimbi a ‘guardarsi intorno’ per accorgersi del miracolo del vedere con gli occhi, con il cervello, con il cuore e scoprire la meraviglia dei colori del cielo, della terra e dell’arte. Ci siamo: i nostri santi e il mondo da guardare!

E per i genitori, mi dico, c’è niente? Le librerie casalinghe sono un deposito in cui i libri dormono, in attesa che qualcuno li svegli come la bella addormentata. Curiosando, scorgo il dorsale di un libretto che mi aveva incuriosito tempo fa e che avevo ben riposto: non si sa mai. Copertina: La bellezza e il senso – 100 storie, 1 incontro. Ci entro dentro a capofitto, approfittando della mattinata libera.                Le cento storie sono state scelte tra le cinquecentoquarantaquattro che erano state raccolte per un Convegno della diocesi di Venezia e riportano la testimonianza di persone singole e di gruppi. Vi scopro tutto l’armamentario della vita cristiana, esposto non per via di buone intenzioni e di programmi, ma con la semplicità e il vigore delle cose vissute. La raccolta procede per sette tempi della giornata, quasi una scansione monacale: alba, mattino, mezzogiorno, pomeriggio, sera, notte, aurora. Sono molte le albe della vita: la nascita di un figlio, l’accoglienza di un bambino con l’adozione o l’affido; l’alba è segnata anche dall’uomo che per anni bussa alla porta del monastero e si annuncia: “Sono io,,, il Povero. Una ragazza di sedici anni scrive: ‘Aver incontrato Cristo è stato come rinascere’; un gruppo di bambini attorno al fuoco del bivacco parlano candidamente di Dio; l’amore coniugale si ridesta dopo una crisi…  Il mattino è il tempo della laboriosità: si va verso gli impegni della giornata: incontri, affari, fatiche, imprevisti. Una coppia incomincia con le lodi; un’alunna dà il buongiorno al professore incontrato dopo anni insieme con il marito e il figlio in carrozzina e ricorda la lezione che le ha cambiato la vita; gli ‘operatori sanitari’ raccontano la carità in corsia; altri, l’esperienza di libertà nel lavorare insieme…   Il mezzogiorno è una sosta: lettura della Bibbia, la memoria dell’esperienza degli esercizi spirituali, una visita nella chiesa aperta giorno e notte per l’adorazione. L’incontro ‘casuale’ tra due sconosciuti che diventeranno marito e moglie, un altro incontro significativo… Di giorno in giorno, di ora in ora le testimonianze narrano la vita cristiana, con la crisi, il vuoto, la solitudine, la novità. La fede nel quotidiano, nelle difficoltà con i figli, nell’impianto delle attività pastorali, nell’impatto con incidenti e malattie, nella novità del catechismo di bambini e adulti e degli incontri di preparazione al matrimonio. Sotto traccia emergono alcune evidenze: la presenza del sacerdote, il ritrovarsi periodico tra le famiglie nelle case, la riconciliazione che imita il Vangelo. Il piccolo mondo (antico?) di tante presenze punteggia le nostre città svuotate della fede cristiana, tessendo una rete di speranza e di carità.

Chiuso il libro, mi preparo velocemente il pranzo e apro il telegiornale che mi rifila per l’ennesima volta la storia dell’uomo che ha ucciso la fidanzata o la compagna o la moglie, la vicenda dei giovani violentatori, le noie dei politici, le inefficaci trattative di pace… Un perverso indottrinamento sulle brutture della vita.  Domenica a pranzo non ci sarà la televisione. Potremo goderci la conversazione sulla vita reale, condividere le esperienze vissute, e riaprire per noi e per i bimbi il torrente della speranza.

LE PAROLE CHE FANNO STORIA E DONANO VITA

Quante volte le parole pronunciate svaniscono come un fumo di sigaretta nell’aria? Si parla per parlare, si dice per dire. Parli, e non ci credi nemmeno tu. Tanti luoghi comuni.
E’ un miracolo quando una parola usata e consumata come foglia d’autunno rispunta nuova e vera. Accade quando pronunci la parola amore davanti a un volto che ti guarda e a un cuore che batte, come un innamorato o una madre; quando dici buongiorno a una persona che ieri ti ha offeso. Le parole prendono vigore dalla storia che le ha forgiate e dall’esperienza che le rende vive. E’ un miracolo quando le parole della fede, usate e consumate come vecchie statue, tornano a brillare nel tessuto della vita.
Nei giorni scorsi ho avuto davanti agli occhi e nelle orecchie tre parole che vengono frequentemente pronunciate in ambito cristiano: comunione, fraternità, amicizia. Risalendo la galassia del tempo, siamo stati accompagnati a lambire la sorgente eterna da cui queste parole sgorgano. Comunione: non solo la comunione fraterna o la comunione eucaristica. Condotto alla soglia dell’eternità intravedi il Padre che riflette la sua immagine nel Figlio e con Lui vibra nell’amore dello Spirito Santo. Il circolo della comunione trinitaria esplode al di fuori, dando origine all’immensa creazione che si espande nello spazio-tempo, fino a dare origine alla storia dell’uomo. In un momento del tempo il Figlio viene ad abitare in mezzo a noi, ci convoca a una fraternità che supera quella della carne e del sangue, e ci chiama amici perché ci comunica tutto ciò che il Padre ha detto a Lui. Il discepolo che Gesù amava annuncia: “Quello che abbiamo visto e udito, quel che abbiamo contemplato e toccato lo annunciamo anche a voi, perché siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo”. Vedere, udire, toccare, contemplare: quattro verbi che descrivono l’esperienza dei cristiani di tutti i tempi. A due a due, a dodici a dodici, la comunione si concretizza nella comunità e si armonizza nella fraternità. Una famiglia, un gruppo di persone o di famiglie, un luogo di lavoro o di socialità, nello spazio della Chiesa, in cammino dentro il mondo. Da quante persone e comunità, nell’arco di due millenni di storia, questo è stato vissuto? Quanto - anche - è stato rinnegato e tradito?
In un percorso che sempre viene rigenerato, l’acqua del Giordano, il sangue del Calvario, il vento dello Spirito continuano a scorrere nelle case, nelle chiese, nei luoghi della vita. E’ la mia e la nostra vita, nella breve radura in cui è spuntata, nel carisma che nuovamente la rigenera, nell’amicizia che la sostiene, nell’autorità che la garantisce. Le parole pronunciate non sono più un fiato di nebbia, ma un’esperienza vissuta. Parole che diventano persone, raccontano storie, generano vita, segnano la strada. Comunione, fraternità, amicizia: un alfabeto nuovo, un vocabolario aggiornato, un linguaggio fresco, ancora sempre da imparare e da sperimentare. Parole che operano quel che dicono, come le parole sacramentali del Battesimo e dell’Eucaristia: una sorgente per la nostra sete, un paniere per la fame nostra e del mondo.

LE RAGIONI DEL CUORE CHE CONTINUA A BATTERE

Nel tempo in cui le barche andavano a remi in laguna e i bragozzi solcavano il mare a vela, l’arrivo del primo Venerdì del mese era un avvenimento per tutta l’isola. Anche noi ragazzi venivamo coinvolti nella pratica della Comunione eucaristica dei ‘primi venerdì’ di nove mesi consecutivi per garantirci la salvezza eterna, secondo la promessa di Gesù a Maria Margherita Alacoque.  In seguito, il disincanto provocato dalla fiducia nella scienza e l’incantesimo suscitato dalla immersione nella natura, insieme con un turbinio di ‘distrazioni’, hanno eliminato o almeno oscurato l’orizzonte del soprannaturale. Ci siamo trovati a trattare la vita come una complessa macchina che deve sempre funzionare, appena imbellettata da una spruzzata di sentimentalismo.   Ora, a sorpresa, il Papa che ha prodotto due encicliche – Fratelli tutti e Laudato si’ - su pace e armonia tra i popoli, natura e ambiente, facendo leva sul buon uso della ragione, viene a bucare l’orizzonte con una poderosa enciclica dedicata al Sacro Cuore di Gesù. Entrano in scena due dimensioni che sembravano smarrite. La prima ascende in alto verso il divino, la seconda discende nel profondo del cuore, al di là del sentimento. Amore e cuore non fanno più rima come nelle canzonette di una volta; piuttosto, il cuore allarga i confini oltre il ritmo dei suoi battiti. Il cuore ‘pensa’, dice Pascal: ‘Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce’. Quando sentivo parlare don Giussani, mi sorprendeva il suo rimando al cuore come ’esperienza elementare e originaria’ delle esigenze e delle evidenze di verità, di felicità, di giustizia. Un cuore pieno di ‘ragioni’, com’è quello di una madre verso il figlio, dell’innamorata verso l’innamorato e infine di ogni uomo e donna che vive sulla terra. Nell’enciclica straricca di citazioni da Bibbia, santi, papi, teologi, papa Francesco compie alcuni passaggi audaci; dice che Gesù ci ha amati - Dilexit nos - con un Cuore umano che manifesta l’amore divino; Gesù trasfonde il suo Cuore nel nostro cuore, donandoci il suo modo di amare. L’umanità ha bisogno di questo Cuore per imparare ad amare e a tessere legami di pace. Citando Newman, il papa afferma che l’incontro più profondo con noi stessi e con il Signore non avviene con la lettura e la riflessione, ma con il dialogo orante da cuore a Cuore con Cristo vivo e presente.      In questo e altri passaggi dell’enciclica ritrovo gli accenti dell’esperienza sacramentale che ci veniva raccontata e raccomandata negli anni del Seminario. Nel corso dell’esperienza pastorale, questa apertura del cuore riaffiora come da sorgente sotterranea in occasione dell’adorazione nelle Quarantore, come pure nel silenzio di certe serate appesantite da difficoltà e preoccupazioni: a poco a poco il Cuore di Cristo viene a farti compagnia come dentro la delusione dei due discepoli di Emmaus. Accade di imbattersi in una madre che, travolta dal dolore per la morte della figlia, ritrova consolazione e vigore; vedi accendersi lo sguardo e il cuore in una compagnia di amici che affronta con audacia l’impresa della vita; ti sorprendi per quell’uomo ancor giovane e per quella persona anziana che, lasciando questa vita, si abbandonano nelle braccia di un amore più grande. Tante vicende nelle quali intravedi che, pur nella nostra incerta e parziale risposta, l’abbraccio che salva è quello dell’amore di Gesù. Colui che ci ha chiamato amici, continua a donarci tutto quello che il Padre ha detto e ha dato a Lui.  Nel tempo delle macchine a guida automatica e di fronte alle promesse dell’Intelligenza artificiale, si può vivere per qualcosa di più grande?

 

Don Angelo Busetto

USCIRE IN MARE APERTO VERSO L’ORIZZONTE INFINITO

Racconta il missionario di aver visto nella sacrestia della chiesa dei Gesuiti a Lima, in Perù, una statua di sant'Ignazio di Loyola con lo sguardo rivolto verso un orizzonte lontano, al di là di tutto, e nello stesso tempo con l'espressione decisa dell'avventuriero; Ignazio è proteso all'orizzonte infinito, oltre le 'Indie" dove arriveranno i suoi missionari.
È lo sguardo che nei giorni scorsi ho trovato riflesso in un altro personaggio, Sammy Basso, che ha lanciato la sua freccia oltre la morte dopo aver vissuto con pienezza una vita che avrebbe potuto chiuderlo nel carcere della sua malattia. Le parole e le immagini del suo 'testamento', riprese al suo funerale nell'omelia del vescovo di Vicenza Giuliano, hanno attraversato tutti i telegiornali e sono riecheggiate in una miriade di social. Con uno slancio di speranza e un filo di ironia Sammy ha sdoganato la parola ‘morte’ che da tanto tempo è tenuta bloccata alla frontiera dei mass media come un migrante indesiderato. La morte fa paura, dice Sammy, perché abbiamo paura dell'ignoto. E aggiunge: “Da quando Gesù e morto sulla croce, la morte è l'unico modo per vivere realmente, l'unico modo per tornare finalmente alla casa del Padre e vedere finalmente il Suo Volto.” E dunque, per Sammy e per chi condivide il suo cuore, la morte è lo svelamento e il compimento dell'amicizia incontrata e vissuta con il Signore in questo mondo. Un abbraccio dopo lo sguardo da lontano, come lo sposalizio dopo il fidanzamento.
Il Paradiso non è tanto un luogo, quanto piuttosto il realizzarsi di una relazione di amore fra Dio e noi. L'ho riscoperto come una novità nei giorni in cui una persona cara stava lasciando la riva di questo mondo per approdare al porto di Dio. Mi sono fatto accompagnare da un libro di Ratzinger che per lungo tempo avevo snobbato; parla dei novissimi, le ultime cose che conducono alla fine della vita terrena e aprono al dopo. La fine della nostra vita non conduce a un cambiamento di ‘luogo’, per andare ad abitare nel ‘luogo' dove Lui vive e che chiamiamo Paradiso. Il ‘cielo’ – dice Ratzinger – non è un luogo senza storia, ma una realtà personale, un essere con Cristo e in Cristo, come attesta San Paolo. Il ‘cielo’ è lo sviluppo di quello che abbiamo desiderato in vita, consapevolmente o inconsapevolmente. In vita, quando abbiamo desiderato vedere il Signore Gesù come lo vedevano i suoi primi amici, Lui ci è sempre scappato via, senza comparirci davanti come accadde alla Maddalena nel giorno di Pasqua. Con la morte noi arriviamo a Lui e Lui ci corre incontro ad abbracciarci. E sarà gioia immensa e gioia vera: niente affatto una noia perpetua come qualcuno si inventa, ma un giro di ballo senza fine, con tutte le danze del tempo e dell'eternità. La morte è un'uscita in mare aperto, che si spalanca sull'orizzonte divino. Un fiorire di vita con tutti gli amici e amiche che ci attendono nel cuore di Dio.
Grazie a Sammy, ai Santi e a tutte le anime buone che l’hanno intravisto e l'hanno testimoniato.

L’AFFONDAMENTO DEL VOPORETTO ‘GIUDECCA’

Memoria di un testimone oculare

Era il venerdì 13 ottobre 1944 attorno alle ore 13. Avevo quattro anni, due mesi, cinque giorni. Abitavo qui davanti, vicino al cantiere Menetto al numero 16, con la porta di casa che allora si apriva verso la laguna. Tempo di guerra, con Pippo che la notte sorvolava i nostri tetti. Ricordo mia mamma che alla sera saliva su una sedia e con stracci riempiva tutte le fessure dei balconi, come fa il carpentiere con la stoppa tra un asse e l’altro della barca, per non far vedere la luce agli aerei che passavano o al ‘tedesco’ in perlustrazione. Spesso alla sera la cucina di casa mia si riempiva di persone, e io mi addormentavo sulla sedia a sdraio. Bambinetto, già cominciavo a giocare in questa piazza, insieme con gli altri bambini. Andavo all’asilo delle Madri Canossiane qui accanto alla Chiesa di Ognissanti, ma quel giorno ero a casa. Non so perché. Una bella giornata di sole, e io come al solito e come tutti i ragazzini, camminavo scalzo. All’improvviso un boato tremendo. Con mia mamma e le mie sorelle ci siamo buttati nel sottoscala, come dentro un rifugio. La mamma teneva salda la porta sbattuta dallo spostamento d’aria. Quando uscimmo dal nostro rifugio mi trovai a camminare sul pavimento di casa pieno di vetri rotti di tutte finestre, meravigliato che i vetri non mi pungevano e non mi tagliavano i piedi scalzi. Siamo usciti fuori. Di fronte a noi il vaporetto del Giudecca delle ore 13 che veniva da Chioggia e andava verso Venezia attraccando alla fermata della Rosa dopo il Santuario della Madonna dell’Apparizione, era fermo a metà laguna, piegato, ferito. Grida in piazza e in laguna. Alcune barche facevano la spola tra il relitto e la riva, e già intravvedevo il sangue di alcuni feriti… Non so quanto fui trattenuto lì. Poco dopo – con mia sorella Maria – andammo verso l’Ospedale di S. Antonio. Sulla riva mi apparve più tragica la visione dei feriti: ricordo un uomo trasportato in una carriola, un altro uomo che cercava di trattenere le viscere che gli uscivano fuori. Vidi le Suore di Maria Bambina che facevano servizio in Ospedale, con il loro soggolo bianco che cingeva il viso: immaginai che anche loro erano state ferite, e che quelle dovevano essere le bende. Non si seppe mai quanti furono esattamente i morti: 120, 150? Anche un sacerdote, don Giuliano Vianello; anche un diacono dei filippini… Quanti feriti e mutilati? Anche persone che poi da grande mi dicevano: C’ero anch’io, non so come mi sono salvato… Una delle tante inutili stragi provocate dagli aerei alleati; senza alcuna ricerca di responsabilità. Per molti mesi vedevo il relitto del vaporetto mezzo affondato che emergeva come uno spettro in laguna vicino alla barena, una ferita sempre sanguinante nel cuore del paese: mi appariva sempre come un incubo tornando a casa da scuola…  Qualche tempo dopo, (o forse prima) ci fu un bombardamento ‘in marina’ cioè verso il murazzo, vicino al campo Tre Rose e perirono molte persone. Mia sorella Maria poco dopo mi portò a vedere le rovine. Mi pareva la fine del mondo. Chiesi a mia sorella: “Allora adesso è finita la guerra?”. Con un cenno del capo mi fece sì.

Ogni anno, nella domenica più vicina al 13 ottobre, dopo la Messa nella Chiesa di Ognissanti, il sacerdote esce in piazza per una benedizione al capitello e alla laguna, e una preghiera per le vittime del Giudecca e di tutte le guerre, con la gente e le autorità. Quest’anno la ricorrenza coincide con la domenica. Abbiamo avuto la guerra in casa, abbiamo portato le ferite della guerra nel cuore. E oggi? La tragedia della guerra ci penetra in casa e nel cuore dalla tv e dai social. Che cosa possiamo fare? Possiamo decidere ogni giorno di essere uomini e donne di pace nelle nostre famiglie, nel nostro ambiente, nel nostro lavoro. Come ci invita papa Francesco, possiamo pregare per la pace, rivolgendoci a Dio Padre di tutti, a Gesù principe di pace, allo Spirito Santo amore e perdono. Possiamo affidarci con il Rosario a Maria, Madre nostra, Regina della pace.

 

VITA O MORTE? PER CHE COSA SIAMO FATTI?

Non potrò mai dimenticare le due donne che ho visto - per una lunga serie di anni - ciascuna vicina al proprio marito malato di sla. Conoscevo le due coppie da quando erano agili e serene. Suonavo il campanello di casa dell’una e dell’altra coppia con tremore, salivo lentamente le scale del condominio fino alla porta dell’appartamento, e la donna era lì accanto al letto del marito immobilizzato e intrigato da aggeggi e cannucce. Scambiavamo gli usuali convenevoli, e poi gli sguardi: verso il marito che capiva e in qualche modo corrispondeva con gli occhi, verso la moglie che assestava le coperte e controllava i macchinari con la coscienza di stare accanto a un uomo vivo e amato. Queste donne non uscivano quasi di casa, se non per emergenze e occasioni improrogabili. L’una appariva salda, certa, desiderosa. L’altra, più agitata, raccontava di ricerche su internet, accennava a contatti con altre persone che vivevano le stesse condizioni. Sempre la visita finiva con una preghiera e una benedizione. Uscivo affranto e consolato, portando in cuore l’immagine di una dedizione grande, di un amore assoluto verso il coniuge.
Mi riaffiorano questi ricordi – che in parte corrispondono a situazioni che continuo a incontrare – mentre in giro spira un’aria di morte e fermenta un gran lavorio per condurre le persone a morire. Oltre all'abominevole sterminio di guerre senza giudizio e senza fine, oltre all'imperversare di delitti casalinghi e di incidenti sul lavoro, è in via di sviluppo qualcosa come un’industria per la morte, con l’avallo di gente che acclama e reclama. Il sottofondo dell’impulso di innumerevoli mass media, sospinge ciascuno a costruirsi da solo l’identità che preferisce, il corpo che si immagina, il destino che vuole.
‘Ognuno sta solo sul cuor della terra’, come dice la poesia di Quasimodo. Una solitudine di morte, come uno scivolo fatale. La scienza medica e le leggi dello stato ‘progressista’ allargano l’organizzazione della morte non solo per accelerare il fine vita, ma fin dall’origine della vita, all’interno del grembo che ne accoglie e custodisce il primo germoglio e la fioritura. Qui la voce chiara di Papa Francesco sbotta decisa: è omicidio, e coloro che lo compiono sono ‘sicàri’. Lo scandalo salutare che ci investe per i bimbi uccisi dopo la nascita, si tramuta poi nell’accanimento per eliminare la stessa vita quando si trova nel seno materno. Commuove il pianto di un bambino che nasce, ed è una grazia la compagnia e l’affetto verso la donna-madre e con lei verso l’intera famiglia, per favorire l’accoglienza dei bimbi, la loro crescita ed educazione. Per grazia di Dio è in gioco una fraternità larga, un ‘villaggio’ di persone che si conoscono, si guardano e si aiutano. Un campo aperto nel gran mondo che domanda fraternità e pace. Un compito evangelico per una Chiesa che vogliamo bella, per una comunità cristiana che si edifica nella carità, per una famiglia che si intreccia con altre famiglie. Un cammino di vita che attraversa la desolazione del male e getta semi di speranza per il presente e per il futuro.

Angelo Busetto

Corpo e anima, interiore ed esteriore, caldo e freddo, bene e male, io e gli altri: quello che ciascuno è si può paragonare a un albero del bosco, ben piantato nel terreno, illuminato dal sole e velato dalla notte, sballottato dal vento e dalla pioggia, accarezzato dagli uccelli e violentato dagli spari. Mi trovo spesso, a pranzo e cena, con il telegiornale davanti agli occhi e negli orecchi, con la solita sequenza di notizie ed eventi. Dapprima l’ultimo fatto di cronaca violenta, uccisione o disastro; segue la carrellata dei politici pro o contro qualsiasi cosa; le guerre in corso con le trattative di pace mai concluse; un intervallo di notizie varie, e quindi moda, sport, e sempre un pizzico di sesso che insapona il finale. Di giorno in giorno e di ora in ora i servizi proposti dalla tv anche oltre i telegiornali, ossessivamente ci trascinano a individuare le mosse e le intenzioni dell’ultimo delitto commesso in famiglia e.o contro le donne, con indagini, interviste, previsioni. Quale scroscio di male e di malessere si riversa nell’anima, nel cuore, nella mente di chi vede e ascolta, anche distrattamente e svogliatamente, a tavola o in poltrona? Un torrente alluvionale che entra dentro, percuote, modifica, impressiona e un po’ ti divora; un senso di malessere, una tristezza montante, un’insorgente sfiducia verso la vita, una delusione per il presente e una paura del futuro; uno stillicidio di giorni, settimane e mesi, come l’indottrinamento e l’infiacchimento di un detenuto in una prigione nazista o comunista.Se ne rendono conto i responsabili delle reti televisive, i detentori degli strumenti sociali, i responsabili politici? Ce ne rendiamo conto noi, fruitori abituali di tutte le reti? Cervello, cuore, pelle e membra, quasi in un dormiveglia, veniamo contaminati come Pinocchio che si lascia bruciare i piedi nel sonno.
C’è altro nella vita, come percepiamo vivacemente quando siamo di ritorno da un pellegrinaggio, da una vacanza bella con amici, dal compimento di un’opera di carità, dall’aver partecipato a un evento di grazia, dove la vita si ridesta, la mente si ripulisce, il cuore torna a battere con lieto impulso. Non ci si rassegna a bere acqua inquinata e cibi contaminati. Cerchiamo, nelle circostanze che ci accadono e poi in tv e giornali, la vita che cresce, ama, desidera, costruisce, perdona, raddrizza ed edifica, anche dentro i mali e le tragedie del mondo, anche dentro la malattia, la guerra, l’inondazione, in un fiotto di energia e di speranza. Attraverso la montagna del male, non spaccando la roccia con il piccone o gli esplosivi, ma nello scorrere di un’acqua che rigenera e nello spirare di un fiato che ristora.

Angelo Busetto