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L’AFFONDAMENTO DEL VOPORETTO ‘GIUDECCA’

Memoria di un testimone oculare

Era il venerdì 13 ottobre 1944 attorno alle ore 13. Avevo quattro anni, due mesi, cinque giorni. Abitavo qui davanti, vicino al cantiere Menetto al numero 16, con la porta di casa che allora si apriva verso la laguna. Tempo di guerra, con Pippo che la notte sorvolava i nostri tetti. Ricordo mia mamma che alla sera saliva su una sedia e con stracci riempiva tutte le fessure dei balconi, come fa il carpentiere con la stoppa tra un asse e l’altro della barca, per non far vedere la luce agli aerei che passavano o al ‘tedesco’ in perlustrazione. Spesso alla sera la cucina di casa mia si riempiva di persone, e io mi addormentavo sulla sedia a sdraio. Bambinetto, già cominciavo a giocare in questa piazza, insieme con gli altri bambini. Andavo all’asilo delle Madri Canossiane qui accanto alla Chiesa di Ognissanti, ma quel giorno ero a casa. Non so perché. Una bella giornata di sole, e io come al solito e come tutti i ragazzini, camminavo scalzo. All’improvviso un boato tremendo. Con mia mamma e le mie sorelle ci siamo buttati nel sottoscala, come dentro un rifugio. La mamma teneva salda la porta sbattuta dallo spostamento d’aria. Quando uscimmo dal nostro rifugio mi trovai a camminare sul pavimento di casa pieno di vetri rotti di tutte finestre, meravigliato che i vetri non mi pungevano e non mi tagliavano i piedi scalzi. Siamo usciti fuori. Di fronte a noi il vaporetto del Giudecca delle ore 13 che veniva da Chioggia e andava verso Venezia attraccando alla fermata della Rosa dopo il Santuario della Madonna dell’Apparizione, era fermo a metà laguna, piegato, ferito. Grida in piazza e in laguna. Alcune barche facevano la spola tra il relitto e la riva, e già intravvedevo il sangue di alcuni feriti… Non so quanto fui trattenuto lì. Poco dopo – con mia sorella Maria – andammo verso l’Ospedale di S. Antonio. Sulla riva mi apparve più tragica la visione dei feriti: ricordo un uomo trasportato in una carriola, un altro uomo che cercava di trattenere le viscere che gli uscivano fuori. Vidi le Suore di Maria Bambina che facevano servizio in Ospedale, con il loro soggolo bianco che cingeva il viso: immaginai che anche loro erano state ferite, e che quelle dovevano essere le bende. Non si seppe mai quanti furono esattamente i morti: 120, 150? Anche un sacerdote, don Giuliano Vianello; anche un diacono dei filippini… Quanti feriti e mutilati? Anche persone che poi da grande mi dicevano: C’ero anch’io, non so come mi sono salvato… Una delle tante inutili stragi provocate dagli aerei alleati; senza alcuna ricerca di responsabilità. Per molti mesi vedevo il relitto del vaporetto mezzo affondato che emergeva come uno spettro in laguna vicino alla barena, una ferita sempre sanguinante nel cuore del paese: mi appariva sempre come un incubo tornando a casa da scuola…  Qualche tempo dopo, (o forse prima) ci fu un bombardamento ‘in marina’ cioè verso il murazzo, vicino al campo Tre Rose e perirono molte persone. Mia sorella Maria poco dopo mi portò a vedere le rovine. Mi pareva la fine del mondo. Chiesi a mia sorella: “Allora adesso è finita la guerra?”. Con un cenno del capo mi fece sì.

Ogni anno, nella domenica più vicina al 13 ottobre, dopo la Messa nella Chiesa di Ognissanti, il sacerdote esce in piazza per una benedizione al capitello e alla laguna, e una preghiera per le vittime del Giudecca e di tutte le guerre, con la gente e le autorità. Quest’anno la ricorrenza coincide con la domenica. Abbiamo avuto la guerra in casa, abbiamo portato le ferite della guerra nel cuore. E oggi? La tragedia della guerra ci penetra in casa e nel cuore dalla tv e dai social. Che cosa possiamo fare? Possiamo decidere ogni giorno di essere uomini e donne di pace nelle nostre famiglie, nel nostro ambiente, nel nostro lavoro. Come ci invita papa Francesco, possiamo pregare per la pace, rivolgendoci a Dio Padre di tutti, a Gesù principe di pace, allo Spirito Santo amore e perdono. Possiamo affidarci con il Rosario a Maria, Madre nostra, Regina della pace.

 

VITA O MORTE? PER CHE COSA SIAMO FATTI?

Non potrò mai dimenticare le due donne che ho visto - per una lunga serie di anni - ciascuna vicina al proprio marito malato di sla. Conoscevo le due coppie da quando erano agili e serene. Suonavo il campanello di casa dell’una e dell’altra coppia con tremore, salivo lentamente le scale del condominio fino alla porta dell’appartamento, e la donna era lì accanto al letto del marito immobilizzato e intrigato da aggeggi e cannucce. Scambiavamo gli usuali convenevoli, e poi gli sguardi: verso il marito che capiva e in qualche modo corrispondeva con gli occhi, verso la moglie che assestava le coperte e controllava i macchinari con la coscienza di stare accanto a un uomo vivo e amato. Queste donne non uscivano quasi di casa, se non per emergenze e occasioni improrogabili. L’una appariva salda, certa, desiderosa. L’altra, più agitata, raccontava di ricerche su internet, accennava a contatti con altre persone che vivevano le stesse condizioni. Sempre la visita finiva con una preghiera e una benedizione. Uscivo affranto e consolato, portando in cuore l’immagine di una dedizione grande, di un amore assoluto verso il coniuge.
Mi riaffiorano questi ricordi – che in parte corrispondono a situazioni che continuo a incontrare – mentre in giro spira un’aria di morte e fermenta un gran lavorio per condurre le persone a morire. Oltre all'abominevole sterminio di guerre senza giudizio e senza fine, oltre all'imperversare di delitti casalinghi e di incidenti sul lavoro, è in via di sviluppo qualcosa come un’industria per la morte, con l’avallo di gente che acclama e reclama. Il sottofondo dell’impulso di innumerevoli mass media, sospinge ciascuno a costruirsi da solo l’identità che preferisce, il corpo che si immagina, il destino che vuole.
‘Ognuno sta solo sul cuor della terra’, come dice la poesia di Quasimodo. Una solitudine di morte, come uno scivolo fatale. La scienza medica e le leggi dello stato ‘progressista’ allargano l’organizzazione della morte non solo per accelerare il fine vita, ma fin dall’origine della vita, all’interno del grembo che ne accoglie e custodisce il primo germoglio e la fioritura. Qui la voce chiara di Papa Francesco sbotta decisa: è omicidio, e coloro che lo compiono sono ‘sicàri’. Lo scandalo salutare che ci investe per i bimbi uccisi dopo la nascita, si tramuta poi nell’accanimento per eliminare la stessa vita quando si trova nel seno materno. Commuove il pianto di un bambino che nasce, ed è una grazia la compagnia e l’affetto verso la donna-madre e con lei verso l’intera famiglia, per favorire l’accoglienza dei bimbi, la loro crescita ed educazione. Per grazia di Dio è in gioco una fraternità larga, un ‘villaggio’ di persone che si conoscono, si guardano e si aiutano. Un campo aperto nel gran mondo che domanda fraternità e pace. Un compito evangelico per una Chiesa che vogliamo bella, per una comunità cristiana che si edifica nella carità, per una famiglia che si intreccia con altre famiglie. Un cammino di vita che attraversa la desolazione del male e getta semi di speranza per il presente e per il futuro.

Angelo Busetto

Corpo e anima, interiore ed esteriore, caldo e freddo, bene e male, io e gli altri: quello che ciascuno è si può paragonare a un albero del bosco, ben piantato nel terreno, illuminato dal sole e velato dalla notte, sballottato dal vento e dalla pioggia, accarezzato dagli uccelli e violentato dagli spari. Mi trovo spesso, a pranzo e cena, con il telegiornale davanti agli occhi e negli orecchi, con la solita sequenza di notizie ed eventi. Dapprima l’ultimo fatto di cronaca violenta, uccisione o disastro; segue la carrellata dei politici pro o contro qualsiasi cosa; le guerre in corso con le trattative di pace mai concluse; un intervallo di notizie varie, e quindi moda, sport, e sempre un pizzico di sesso che insapona il finale. Di giorno in giorno e di ora in ora i servizi proposti dalla tv anche oltre i telegiornali, ossessivamente ci trascinano a individuare le mosse e le intenzioni dell’ultimo delitto commesso in famiglia e.o contro le donne, con indagini, interviste, previsioni. Quale scroscio di male e di malessere si riversa nell’anima, nel cuore, nella mente di chi vede e ascolta, anche distrattamente e svogliatamente, a tavola o in poltrona? Un torrente alluvionale che entra dentro, percuote, modifica, impressiona e un po’ ti divora; un senso di malessere, una tristezza montante, un’insorgente sfiducia verso la vita, una delusione per il presente e una paura del futuro; uno stillicidio di giorni, settimane e mesi, come l’indottrinamento e l’infiacchimento di un detenuto in una prigione nazista o comunista.Se ne rendono conto i responsabili delle reti televisive, i detentori degli strumenti sociali, i responsabili politici? Ce ne rendiamo conto noi, fruitori abituali di tutte le reti? Cervello, cuore, pelle e membra, quasi in un dormiveglia, veniamo contaminati come Pinocchio che si lascia bruciare i piedi nel sonno.
C’è altro nella vita, come percepiamo vivacemente quando siamo di ritorno da un pellegrinaggio, da una vacanza bella con amici, dal compimento di un’opera di carità, dall’aver partecipato a un evento di grazia, dove la vita si ridesta, la mente si ripulisce, il cuore torna a battere con lieto impulso. Non ci si rassegna a bere acqua inquinata e cibi contaminati. Cerchiamo, nelle circostanze che ci accadono e poi in tv e giornali, la vita che cresce, ama, desidera, costruisce, perdona, raddrizza ed edifica, anche dentro i mali e le tragedie del mondo, anche dentro la malattia, la guerra, l’inondazione, in un fiotto di energia e di speranza. Attraverso la montagna del male, non spaccando la roccia con il piccone o gli esplosivi, ma nello scorrere di un’acqua che rigenera e nello spirare di un fiato che ristora.

Angelo Busetto

LA FEDE IN DIALOGO
Immerso nella realtà ‘spirituale’, il nostro ‘io’ vive nel rapporto con il ‘tu’

Affiorano sul filo della mente due visioni della vita e della persona che sembrerebbero alternative alla fede cristiana, ma che possono invece essere riconosciute come sue dimensioni integrative. Sono due visioni che vibrano nell’aria da molto tempo. La novità spunta nell’imbattermi in una persona immersa in una prospettiva ‘spirituale’, come documentano la sua libreria fornitissima di libri di Oriente e Occidente e la sua forma di vita impregnata di preghiera e di carità: è la prima visione. La seconda visione si presenta con l’ascolto su you tube di una lezione della filosofa Michela Marzano al Festival della filosofia di Modena, a metà settembre, che ragiona sull’io in una conferenza dal titolo: “Dimmi chi sono”. Consapevolmente o meno, le due visioni traducono in termini di scienza, di filosofia e di pratica vissuta alcuni aspetti della fede cristiana.
La prima afferma che il singolo ‘io’ appartiene a un tutto globale, pervaso da uno ‘Spirito’ che tutto attraversa e permea con immensa energia vitale. Le nostre azioni non sono mai solitarie, né sono appena un nostro prodotto, ma promanano dallo Spirito universale e risultano tanto più efficaci quanto più rimaniamo collegati con esso: avviene innanzitutto per mezzo di quella che viene chiamata “intenzione”, cioè proiezione verso un obiettivo, uno scopo. Quello che ‘intenzionalmente’ desideri, inserito in questa energia universale, troverà sicuramente compimento.
Credo risulti evidente che questa visione richiama la parola di Gesù: “In verità io vi dico: se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà”. Dio è tutto in tutti, e lo Spirito del Signore pervade l’universo e soffia dove vuole; la sua potenza e il suo influsso agiscono nel cuore dell’uomo e nel mondo. Particolarmente dopo Pentecoste, lo Spirito Santo è protagonista della vita della Chiesa e del mondo. Come afferma San Paolo e come richiama Teilhard de Chardin, l’universo procede in una tensione all’unità; creati da Dio, a Lui apparteniamo, protesi al nostro destino che è la partecipazione alla sua Gloria. Con una frase famosa di don Giussani possiamo dire: “Io sono Tu che mi fai”. Dobbiamo solo imparare ad accorgerci dell’azione dello Spirito di Dio in noi e nel mondo, e collaborare a tutti i livelli della nostra condizione umana.
Nella seconda visione si afferma che la consistenza dell’io personale non si sperimenta in solitudine, ma emerge e si sviluppa nel rapporto interpersonale. E’ nell’incontro, nel dialogo, nella socialità che il singolo scopre se stesso e si realizza. Per Cartesio, dice la filosofa citata, la persona esiste in quanto pensa; dopo Cartesio la filosofia si domanda ‘chi’ è questa persona che ‘pensa’, e scopre che germoglia e vive nella relazione con l’altro.
Considerando questa seconda visione, è inevitabile scorgervi un’apertura sul panorama della Trinità, di cui la persona umana è riflesso. In Dio le tre persone emergono, vivono, si esprimono in quanto relazione l’una all’altra, come dichiarano i loro stessi nomi, Padre, Figlio, Spirito Santo. Il dinamismo che costituisce l’essere di Dio si riflette nella persona umana e nelle espressioni comunitarie in cui questa si realizza e gioca la sua partita nella storia. Riaprire l’accesso alla vita trinitaria e perciò alla gioia che ha dato origine al mondo, dona un rinnovato rapporto con le creature: non più il ‘il naufragar m’è dolce in questo mare’ come nella poesia di Leopardi, ma la letizia francescana in cui fraternità e lode del creato sono eco una dell’altra.
Viene facile riconoscere come queste due prospettive, adottate come metodo di vita, producono frutti di sapienza, fraternità, carità, così come vediamo accadere nella vita di coloro che le professano e le vivono: a ciascuno dei quali possiamo infine dichiarare: “Non sei lontano dal Regno di Dio”.

Angelo Busetto

Martedì 13 agosto 2024

Mi sono fatto accompagnare nelle ultime settimane dalla lettura di AMICO CARISSIMO, il libro che riporta in parallelo le parole di Enzo Piccinini e le reazioni di chi lo ha incontrato. Ponevo la lettura in alcuni momneti vivi della giornata, nei passaggi tra Chioggia e Pellestrina. Anch’io l’ho incontrato negli ultimi anni della sua vita, quando veniva a trovarci a Chioggia. Ricordo anche che una volta, insieme a don Lino Rebellato, siamo andati a Bologna a incontrarlo, e l’abbiamo atteso fino a tarda sera, dopo tutti i suoi impegni. Ma non ci aveva infastidito quell’attesa, pieni di meraviglia per quell’uomo che ci accoglieva, ci ascoltava, ci rilanciava.

Il libro. Procede per varie tematiche, come percorsi che mettono in evidenza un tratto della sua vita, della sua fede, del suo rapporto con le persone. Al contrario del libro in qualche modo analogo si Andrea Aziani, che mi sembrava ripetitivo e quindi a tratti stucchevole, questo è vibrante, sempre nuovo pur riferendosi alla stessa persona.  Quel che risalta è l’uomo, pieno di vita e di ricerca, indomabile fisicamente e intellettualmente. Un carattee vivace, una ricerca audace di tutto, una ‘compromissione invadente' con la vita di tutti. Un uomo, un chirurgo, un amico, un capo. Fatto per gli ideali grandi e interi. Da giovanissimo, mentre partecipa ai gruppi marxisti extraparlamentari, incontra i ragazzi di don Giussani che a Bologna vivono in modo diverso. In questo impatto, il torrente della sua personalità irrompe in un territorio nuovo, e ne guadagnano le sue acque e il territorio, L’audcia del ‘di più’, l’audacia del ‘si può’. Sia in sala operatoria, che nel rapporto con le persone, nella spinta di nuove proposte e iniziative. Don Giussani l’ha notato ben presto, e lo ha reso partecipe della sua amicizia, facendogli incontrare altri, come Angelo Scola. Si può forse dire che nella personalità piena di giudizio e irruenza di Piccinini, la personalità di Giussani e la sua proposta hanno cavalcato un cavallo da corsa, si sono rivestiti di un’umanità capace di abbracciare, condividere, aprire, rinnovare. Cristo vivo, Cristo presente, è Lui la risposta compiuta al nostro essere, al nostro desiderio, all’impulso del nostro cuore. Fino al punto che ‘Il criterio, per chi incontra Cristo, non è neanche il cuore’. Cristo sperimentabile in una appartenenza, in una compagnia, nella realtà immediata della vita. Come si capisce che il cristianesimo non è un pensiero da assimilare, ma una posizione di vita, un’esperienza di fatto, una compagnia presente che incontra, invade man mano le cose della vita, con il desiderio e la tensione di coinvolgerle tutte.

Il libro termina con una sorta di biografia che riporta il passaggio di alcune date e alcuni avvenimenti, fino al culmine dell’ultimo giorno, il 26 maggio 1999, quell’incidente che gli bruciò la vita, quella vita che già era tutta offerta.

don Angelo Busetto

pp 326 € 13 Bur Saggi

SCRITTURA, PAROLA, AVVENIMENTO nella vita del cristiano
Interessante e ricchissima di riferimenti biblici la lezione di mons. Antonio Pitta sul tema dell’Agape, nell’ambito del Festival Biblico, Venerdì 17 maggio. L’attenzione del pubblico è stata avvinta dalla presentazione di quattro ‘fraintendimenti’, il primo dei quali è la presunta opposizione del Dio dell’Antico Testamento rispetto al Dio del Nuovo Testamento. Semplici cristiani, religiosi, predicatori – sottolinea il relatore - hanno equivocato e continuano ad equivocare parole e concetti presenti nella Bibbia. Non bastasse, ci sono anche vocaboli malamente tradotti dall’ebraico o dal greco e a volte scambiati nel significato; in particolare le tre parole riferite all’amore: eros, filia, agàpe.
Al che, è inevitabile che sorga una domanda: ma un cristiano a che cosa crede, chi crede? Resta a barcamenarsi tra le interpretazioni e le traduzioni, e ondeggia tra una parola e l’altra, tra un autore preferito e uno trascurato?
Il relatore distingue la parola dalla scrittura. La scrittura, dice, è il contenitore di una parola che viene annunciata e ricevuta, e che per la potenza dello Spirito vibra nella vita dei cristiani.
E’ un risposta interessante. E tuttavia non viene superato lo scoglio delle interpretazioni e degli equivoci.
“Fides – dice san Tommaso – non terminatur ad enuntiabile, sed ad rem”: la fede non termina ad un enunciato, ma a una realtà. Detto in altro modo: La fede non poggia sulle parole, ma sui fatti. Non aderiamo a parole scritte o dette, ma a fatti accaduti e a realtà presenti. Non si tratta di abolire la parola o le parole, ma di seguire il percorso delle parole in quanto conducono ai fatti.
Nella pratica della vita cristiana, constatiamo che la fede non pervade solo il linguaggio e la mente, ma vive come esperienza di adesione a un fatto, come partecipazione a una realtà nella quale il mistero di Dio si rende presente. Per i primi che hanno incontrato il Signore, attraverso e oltre le sue parole, avveniva l’adesione e la sequela a Lui. Anche per noi la fede è adesione a Cristo, in tutti gli aspetti in cui Egli si rende attuale e sperimentabile: la realtà della Chiesa come comunità, parola, sacramento, autorità, vita… L’esperienza di fede permane anche nel fluttuare delle parole che la raccontano e la definiscono: le parole continueranno a chiarirsi e ad approfondirsi attraverso lo studio, la contemplazione e la preghiera.
Il mistero di Dio, compiuto in Gesù Risorto e reso permanente dallo Spirito Santo nel tempo della Chiesa, comunicato nella parola e celebrato nella liturgia, diventa vita per ogni cristiano e via di salvezza per ogni uomo.

don Angelo Busetto

angelobusetto24@gmail.com

 

 

CONSIDERAZIONI E PROPOSTE SULLA INIZIAZIONE CRISTIANA

- L’iniziazione cristiana dei ragazzi non è un percorso autonomo rispetto alla vita della comunità cristiana. Ogni comunità cristiana vive l’annuncio ricevuto e comunicato, l’esperienza sacramentale, la carità e la missione. Il coinvolgimento delle famiglie con i figli avviene dunque non per iniziative separate ed esclusivamente ad esse dedicate, ma nel contesto del cammino e delle iniziative proprie dell’intera comunità.
Il calendario liturgico con le sue feste e ricorrenze, vissuto nella comunità, diventa il cammino proprio delle famiglie dell’iniziazione, coinvolte in modo diretto a vario titolo per la preparazione e lo svolgimento nelle varie circostanze.
La catechesi della comunità – sistematica o in alcuni periodi dell’anno – è costituita da incontri di annuncio, incontri del Vangelo, testimonianze… Queste proposte costituiscono anche il cammino delle famiglie dei ragazzi dell’iniziazione, si trattasse anche solo di un incontro al mese.
L’esperienza dice che si possono promuovere e favorire anche incontri in singole famiglie e in gruppetti di famiglie, in particolare riprendendo il vangelo della domenica precedente o seguente, con una periodicità più o meno mensile.
La vita di carità, con il clima di servizio reciproco e le iniziative particolari, come la visita a persone anziane e malate in famiglia o in casa di riposo, le varie raccolte di cibo a raggio parrocchiale o nazionale, ecc… diventa ambito di attenzione e di partecipazione delle famiglie dei ragazzi e dei ragazzi stessi. Le esemplificazioni potrebbero continuare in riferimento a tutti gli ambiti della vita delle persone e al cammino della comunità cristiana…
NB. Con questa modalità diminuisce nei protagonisti della pastorale lo stress per le tante iniziative particolari che si sovrappongono a quelle generali e nello stesso tempo crescono l’attenzione e la cura all’intera comunità e alle singole persone. E soprattutto si realizza un ‘cammino di Chiesa’.

- Il sacramento dell’Eucaristia è il cuore che sempre batte nella comunità cristiana. I ‘piccoli’ partecipano all’Eucaristia ‘necessariamente’ con i genitori, e vengono introdotti progressivamente nella celebrazione insieme con loro e con la comunità. La comunione eucaristica non verrà rimandata alla fine del percorso, ma potrà attuarsi per singoli bambini o a piccoli gruppetti in varie celebrazioni ‘normali’ della Eucaristia festiva, a seconda della intensità e fedeltà di partecipazione dei bambini, nell’ambito del periodo corrispondente alla scuola elementare: “Lasciate che i bambini vengano a me”. Tutto questo avviene nel rispetto della libertà delle persone, del loro cammino di maturazione e della loro richiesta. In seguito, avverrà la celebrazione comunitaria della Cresima, e l’iniziazione cristiana troverà compimento nella cosiddetta ‘Messa di maturità’.

PS: Se si desidera intervenire su questo tema, da parte di genitori, catechisti, sacerdoti, si può contattare don Angelo Busetto:

whattsapp: 3386539107

oppure per posta elettronica:  angelobusetto24@gmail.com 

Da TEMPI di aprile 2024
Dagli “anelli di divorzio” di Emily Ratajkowski alle app che “riportano in vita” i cari estinti, questo tempo che ha rinunciato a Dio non sa più cosa inventare per rimediare alla morte

di ANNALISA TEGGI

Emily Ratajkowski mostra gli “anelli di divorzio” su Instagram
La morte dà scandalo, in qualunque forma si incontri. Muore un progetto e muore un gatto, muore il giorno e muore un amore. Perciò non stupisce che l’occhio cada dove l’anima s’accende, cioè su ipotesi di rinascita che cancellino, o almeno edulcorino, il dramma di una fine. Non mancano, anzi sovrabbondano, oracoli assurdi che escono da voci la cui unica autorevolezza è l’aver a disposizione megafoni tanto forti da disturbare le orecchie di tutti.
L’attrice e modella Emily Ratajkowski ha dato nuova vita all’anello di fidanzamento, creando due splendidi anelli di divorzio. È parte del suo processo di rigenerazione per guarire dalla fine del suo matrimonio. Gli esperti di tendenze assicurano che potrebbe diventare un trend di rinascita, l’anello del divorzio.
Ratajkowski è l’esempio perfetto di menzogna placcata oro, frutto di stili di vita talmente privilegiati da sfornare profezie di “vita nuova” senza accorgersi di calpestare l’uomo comune che non ha diamanti così grandi da dividere per moltiplicare gioielli a cui attribuire il potere taumaturgico di una resurrezione post separazione.
Ma l’esercito dei vip guru è talmente in sovrannumero da mettere a disposizione elisir di nuova vita abbordabili anche per il proletariato. La trama è la stessa in tutti i salotti televisivi, nei reel e sulle pagine patinate: un amarcord dei momenti più belli, poi una caduta e poi un appiglio per rialzarsi che suona sempre come il Santo Graal del benessere. Lascio andare la rabbia, uso solo il bianco per arredare la casa, mi circondo di persone positive, adotto animali, dico grazie ad alta voce tre volte al giorno, non mangio più cibi cotti. Parola di attrici, sportivi, cantanti, ex tronisti.

Il documentario Eternal You racconta il tentativo di “far rivivere” le persone defunte con l’intelligenza artificiale
Ed è curioso come questo nostro tempo che ha fatto a meno di Dio sia pieno di contenuti che zoppicano dietro all’unica storia che tiene. Sono tutti vangeli atei in cui a una gloriosa parentesi di vita pubblica segue una via crucis più o meno dolente che poi approda al colpo di reni di una resurrezione fai da te. Tutto a posto, fino alla prossima morte e al prossimo surrogato di rinascita a tempo limitato.
La morte, quella ineluttabile, arriva in ogni caso, ma ci si attrezza per vere e proprie resurrezioni artificiali. Non è una novità il successo delle app che “riportano in vita i morti” e già la serie Black Mirror ne ha svelato potenzialità da incubo. Di recente è stato presentato al Sundance Festival il documentario Eternal You, in cui sono raccolte storie di chi usa quotidianamente strumenti di intelligenza artificiale che riproducono l’esperienza di “stare” con qualcuno di caro che è morto.
Josh, ad esempio, chatta regolarmente con la sua ragazza del liceo, morta prima del diploma per una malattia incurabile. È un’istantanea umana potente: incollati ad avatar che hanno inghiottito e digerito accuratissime banche dati di chi è stato un padre, la nonna, il grande amore. E nessuna pietra che rotoli davvero via dai sepolcri.

Oggi il sole splende sul mare e sulla laguna.
Domandiamo che la luce della pace di Gesù Risorto illumini il mondo. 
Grazie a chi potrà unirsi,
da vicino o da lontano,
alla preghiera di ringraziamento
per il mio 60.o di sacerdozio,
che celebrerò
sabato 6 aprile ore 18.30
con la Messa in chiesa a Borgo San Giovanni di Chioggia.
Vieni Santo Spirito 
Vieni per Maria.
don Angelo Busetto
foto: Santuario della Madonna dell'Apparizione, Pellestrina