Vogliamo la pace, per terra e per mare. La invochiamo nelle case e nelle chiese. I cortei la gridano nelle strade e nelle piazze, tranne quando vanno a spaccare vetrine e incendiare cassonetti. Nel frattempo litigi e baruffe spaccano famiglie e parentele, invadono l'aula del Parlamento, assaltano l'avversario con violenza isterica, esplodono fuori degli stadi prima e dopo le partite. In quella che è stata definita la ‘globalizzazione dell’impotenza’ ci domandiamo come e dove in questo mondo violento in piccolo e in grande, diventi possibile fermare la guerra e vivere la pace.

Dove germoglia e fiorisce la pianta della pace? Di prima mattina un amico mi manda due paginette pronunciate o scritte da Ratzinger; le fisso nel cellulare e le conservo nella memoria del cuore. Il papa teologo entra nella profondità della condizione umana e delle scelte che operiamo, e ne coglie la radice malefica: “Dove la pace interna viene meno, dove una violenza ideologicamente giustificata diviene prassi ovvia e autolegittimata o persino ambisce ad accreditarsi come virtù degli uomini nobili, dei nuovi ‘eroi’, lì si apre la strada a una violenza grande e sconfinata”. Ratzinger ha davanti agli occhi quello che anche noi continuiamo a vedere: “La nostra permanente opera di pace (è) più efficace e autentica di quanto non siano le moderne ‘processioni’ che non seguono più l’immagine del Crocifisso, bensì gli striscioni con le loro parole d’ordine, e non sfilano più per le strade nella serenità e nel raccoglimento della preghiera, ma gridando quella rabbia che vuol farsi giustizia da sé”.
E’ dunque nel terreno delle ‘piccole violenze’ del normale vivere sociale che spunta la malapianta della guerra riversata contro popoli e nazioni. Con l’audacia del cristiano, Ratzinger apre: “Mediante la fraternità vissuta della preghiera e del sacramento, è possibile anche oggi, in una prospettiva eminentemente pratica, costruire ‘dal basso’ la pace e tracciare un itinerario di riconciliazione che attraversa il mondo intero…. Già da un punto di vista pratico e concreto, non possiamo smettere di vivere eucaristia e preghiera nella loro modalità cattolica, per principio aperta al mondo”. Dove imperversano la pazzia politica e la violenza e delle armi e degli uomini che le manovrano, si alzano mani in preghiera e si allargano abbracci di riconciliazione: madri che perdonano gli assassini, nemici che si riconciliano. A Gaza un avamposto di preghiera e di carità permane nella chiesa della Sacra Famiglia, ultimo rifugio della speranza, dove riconosciamo il volto di Padre Gabriel Romanelli e del Cardinale Pizzaballa, che testimonia:”Noi sappiamo che il sangue causato da tutto questo male, il sangue di questi innocenti non è buttato via in qualche angolo della storia. Noi crediamo invece che quel sangue scorra sotto l’altare, mischiato al sangue dell’agnello, partecipe anch’esso dell’opera di redenzione alla quale siamo associati. Lì noi dobbiamo stare. E’ quello il nostro luogo”. Papa Leone invita alla preghiera semplice del Rosario, per condurci al ravvedimento delle intenzioni e alla conversione del cuore. Cosa possiamo dunque fare perché avvenga la pace negli infausti territori della guerra? Possiamo chiedere e donare perdono prima ancora che l’altro ce lo conceda. Possiamo ‘fare la pace’ in famiglia, a scuola, nei luoghi di lavoro e di sport, nelle imprese del commercio e della politica. Un cordone di pace di uomini e donne attraversa il mondo, ferma la valanga di morte e distruzione ed edifica la nuova città dell’uomo che rinasce come città di Dio.
Angelo Busetto
Cardinal Pizzaballa a Gaza - Preghiera nella parrocchia di Gaza