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Vangelo secondo Luca 18,9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

SINCERI DAVANTI A DIO

Di questi tempi, nessuno andrà al tempio a dire al Signore: “Vedi quanto sono bravo…”. A parte che in chiesa non riusciamo ad andare, l’atteggiamento che ciascuno sente fiorire nel proprio cuore, è molto simile a quello del pubblicano: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Magari vorremmo poterlo esprimere chiaramente e analiticamente anche in una bella confessione, che speriamo di riuscire a fare presto. Viviamo con cuore umile e sincero, desiderosi di essere accolti e abbracciati da Dio Padre.

Domenica 22 marzo 2020, IV di Quaresima

Introduzione del celebrante
Con la stessa fiducia del cieco nato, ci avviciniamo al Signore Gesù e gli domandiamo luce e vita.

1. Signore Gesù donaci gli occhi nuovi del cieco nato per vederti e riconoscerti come Figlio di Dio e nostro salvatore nelle circostanze concrete della vita,
Noi ti preghiamo: SALVACI O SIGNORE

2. O Signore, Ti presentiamo tutti coloro che ci aprono la strada all’incontro con te: Papa Francesco, il vescovo, i sacerdoti, e insieme i genitori, gli educatori, gli amici e tanti fedeli cristiani. Donaci di camminare uniti in questo tempo di prova,
Noi Ti preghiamo: SALVACI O SIGNORE

3. Il Signore non guarda le apparenze ma il cuore dell’uomo. Nei rapporti tra le persone non prevalgano il pregiudizio, la prepotenza, la malizia, ma la sincerità, la carità, la misericordia,
Noi ti preghiamo: SALVACI O SIGNORE

4. O Signore, ti affidiamo tutte le persone colpite dal virus, i familiari, i medici e tutti coloro che li affiancano. Ti affidiamo i responsabili degli Stati perché collaborino in una comune opera per vincere il male,
Noi ti preghiamo: SALVACI O SIGNORE

Conclusione del celebrante
O Signore poniamo davanti a te le nostre speranze e tutte le nostre necessità. La tua grazia le porti a compimento con l’intercessione di Maria e di San Giuseppe. Tu che vivi e regni…

Spunto della Domenica
Il cieco incontra Gesù e lo vede fino a riconoscerlo e accoglierlo come Figlio e Salvatore.
Tutti siamo salvati dall’incontro con Gesù. Domandiamo la semplicità di cuore per riconoscerlo nelle prove della vita. In un mondo confuso, nebbioso, nei pericoli che frenano la speranza, domandiamo la grazia di incontrare Gesù, luce e vita; è una grazia incontrarlo nella Chiesa con la testimonianza di persone che manifestano dedizione e carità.

Vangelo secondo Marco 12,28-34

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocàusti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

LE VIE DELL’AMORE

Creati come figli e fratelli, quale regola morale ci fa vivere come singole persone e nel rapporto con gli altri? Gesù la sintetizza nel comandamento dell’amore, che percorre due direzioni, la prima verso Dio, la seconda verso il prossimo. La persona, la famiglia, la società, il mondo possono vivere, crescere, sperare, trasportate dalla grande corrente dell’amore. Quale amore? Riconoscimento e gratitudine verso Dio, benevolenza attiva verso il prossimo. Chi percorre queste strade, vive e aiuta a vivere. Lo dimostra anche l’esperienza di questi giorni.

19 marzo 2020

Festa di San Giuseppe, sposo di Maria

Vangelo secondo Matteo 1,16.18-21.24

Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.

A TE , BEATO GIUSEPPE…

Aspettavamo San Giuseppe! Giuseppe, colui che ha amato e accolto Maria come sposa vergine, il padre legale che ha amato e difeso Gesù, l’ha educato e fatto crescere come operaio e come uomo. Giuseppe, riconosciuto come protettore della Chiesa, la nuova casa del Suo Figlio divino: lo invochiamo, gli affidiamo la Chiesa e l’intera umanità; gli affidiamo chi soffre, chi è malato, chi guarisce e chi muore, chi lavora accanto ai malati e chi è recluso in casa. San Giuseppe, salvaci, donaci Gesù!

 

Vangelo secondo Matteo 5,17-19

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

LA TOTALITA’ DI GESU’

Il compimento della Legge antica è la legge dell’amore, che Gesù ha vissuto non come labile sentimento, ma nella totalità del dono di se stesso: dono al Padre per i fratelli. Il Figlio di Dio ha preso una umanità come la nostra, per poter amare con cuore d’uomo, soffrire come e più di noi, fino a sperimentare la desolazione della morte. Non solo condivisione, ma riscatto, liberazione, salvezza. La sua risurrezione manda i suoi raggi benefici anche sulla nostra vita quotidiana

Vangelo secondo Matteo 18,21-35

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

FAR BENE I CONTI

Tendiamo a tirare i conti sempre a nostro vantaggio, allargando la misura che ci spetta e restringendo la misura da usare con gli altri. Quale criterio dunque usare? Il criterio della sovrabbondanza: abbiamo ricevuto così tanto che, anche quando diamo ad altri qualcosa in tempo, denaro, prestazioni, si tratta di spiccioli rispetto al tesoro della nostra persona, della vita e di tutti i beni che abbiamo ricevuto. Inoltre, quanto diamo agli altri, finisce per accrescere la nostra stessa persona. E’ un esercizio da sperimentare.

Vangelo secondo Luca 4,24-30

In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret:] «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

IL PERCORSO DI GESU’

Possiamo entrare nel mistero di Dio? Possiamo cogliere il perché degli avvenimenti, la svolta delle strade della vita? Gli abitanti di Nazaret hanno lì il Signore della vita e non lo riconoscono, anzi espressamente lo rifiutano. Gesù poi è venuto a percorrere le nostre strade, non per sciogliere tutti i nostri enigmi, ma per farci compagnia nella strada misteriosa che lui stesso ha percorso dalla sua croce alla risurrezione, per portare a compimento il suo destino personale e la salvezza del mondo.

Come si può vivere di Gesù

Se non si vedesse scritto che si tratta di un autore di sette secoli fa, non si farebbe difficoltà a riconoscervi un testo moderno. Nicola Cabasilas nasce a Tessalonica, in Grecia, nel 1322 e muore attorno al 1397, acquisisce da giovane un’accurata formazione intellettuale, nel contesto della guerra civile per la conquista del seggio imperiale di Costantinopoli. Finalmente, rimanendo laico, si dedica a una vita di silenzio, preghiera, riflessione presso i monasteri della sua città. Proprio la sua condizione esistenziale crea lo sfondo dei suoi scritti spirituali, dai quali emana vivissimo il sapore di un’esperienza vissuta. Per Cabasilas il cristianesimo è veramente una vita nuova, una vita vissuta in Cristo. Il grande protagonista della storia e quindi anche della vita dell’uomo, è Cristo che assume tutta intera la nostra umanità, vive un’esistenza umana concreta, che viene comunicata a coloro che partecipano ai suoi misteri. I suoi misteri: vale a dire – in modo particolare – il battesimo e l’eucaristia, nei quali Egli viene a vivere personalmente in noi. E’ commovente leggere come il nostro autore passa in rassegna i segni e i gesti del battesimo per descrivere questo passaggio della vita di Cristo in noi, valorizzano in modo particolare il miron, cioè l’unzione con la quale lo Spirito Santo permea e muove la nostra vita. Analogo approfondimento queste pagine esprimono nei riguardi dell’eucaristia, dove Cristo non comunica semplicemente i suoi doni, ma se stesso, rendendoci parte del suo corpo. L’iniziativa rimane quindi di Dio, rispetto alla nostra vita.

E a noi, che cosa spetta? Cabasilas sottolinea in modo particolare due posizioni del cristiano, quasi anticipando le acquisizioni del moderno personalismo: il desiderio, che apre a un continuo superamento di noi stessi, e la memoria, che rende viva e attiva in noi la presenza del Signore, e orienta quindi tutti i nostri movimenti e le nostre azioni.

E’ un gioco interessante rilevare come molte sottolineature di questa ‘vita in Cristo’ pervadano le strade ‘spirituali’ percorse nei secoli successivi, da Ignazio di Loyola Teresa d’Avila, da Escrivà de Balaguer a Luigi Giussani.

Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, Città Nuova, Roma 2017 pp 238 € 12,00

 

NELLA STESSA BARCA

Tutti nella stessa barca. Non ci sono più ricchi e poveri, buoni e cattivi, italiani e stranieri. Nessuno che possa cavarsene fuori o valere più degli altri. La pandemia percorre il mondo e imbarca tutti senza distinzioni e differenze. Il coronavirus rivela la comune natura umana e l’uguale condizione che tutti ci caratterizza. Una bella scoperta, alla quale il cristianesimo aveva già orientato il mondo e alla quale popoli e persone aspirano. Ora è un dato di fatto.

Per grazia ricevuta, i discepoli di Gesù sanno che nella stessa barca è salito pure Lui e ancora dopo 20 secoli naviga con noi, avendo Egli avuto la bella ventura di risorgere e rimanere vivo. Nella prima barca nella quale Gesù attraversa il lago-mare di Galilea, i discepoli non lo badano, lo lasciano dormire a poppa, ma all’insorgere della tempesta lo svegliano e lo rimbrottano: “Maestro, non t’importa che periamo?” Un’altra volta, sullo stesso lago e forse sulla stessa barca, i discepoli continuano a lamentarsi di non avere il pane per mangiare. Gesù li guarda e li rimprovera: “Non ricordate quante volte avete mangiato il pane moltiplicato?”    Chissà se oggi, nel mezzo della tempesta del coronavirus, noi cristiani siamo così certi che Gesù è con noi. Chissà se ricordiamo il miracolo della nostra nascita e del dono della fede che ha cambiato l’orizzonte della nostra vita. Ci pervade un sussulto ogni volta che ci imbattiamo in qualcuno che ce ne rinnova la memoria.

In una lettera inviata alla Fraternità di Comunione e Liberazione, don Julian Carron, dopo aver citato l’episodio del lago, riporta una testimonianza che lo ‘lascia senza parole’:  «D’improvviso sono stata catapultata in trincea. Sembra di essere in guerra. Il mio quotidiano lavorativo e familiare in un giorno è cambiato. Da medico, da mamma, da moglie mi ritrovo a dormire in isolamento da mio marito, a non vedere i miei figli da due settimane, a non poter avere un contatto diretto con il paziente. Tra me e i miei malati c’è una maschera, una visiera e il loro scafandro. Spesso sono anziani che vivono da soli questo momento. Hanno paura…. Entro in reparto, cerco un sorriso e l’abbraccio di un’infermiera amica… E posso abbracciare solo loro. La certezza che sostiene la nostra vita è un legame, e c’è un cammino da fare per arrivare a questa certezza affettiva. Le circostanze ci sono date per attaccarci più a Lui, che ci sta chiamando in un modo misterioso. La fede è fidarsi che Lui ci sta chiamando. … È questa certezza che posso dare ai miei malati, ai parenti, oltre che fornire le cure mediche». Nella stessa barca tutti, ma con Lui.