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Tornano nelle scuole la storia e il latino. E intanto il cinema riprende a raccontare l'Odissea e l’avventura di Ulisse, mentre tutt’intorno nella Chiesa la ricorrenza del Giubileo ci dona un passato ricco di misericordia e un futuro pieno di grazia. Il tempo della vita si apre a tre dimensioni, presente, passato, futuro e ci strappa dal chiodo della solitudine. Quello che siamo sorge dalle radici del passato, si allarga alle dimensioni del mondo e si protende alla promessa del futuro.

L'uomo a una dimensione che vive l’attimo fuggente ci attraversa l'anima e ancora cammina per le strade della città. Gli interessano soldi, saldi, sesso, un istante da succhiare fino all’esaurimento. Farsi da sé, non dover niente a nessuno, camminare in bilico sulla punta dell’istante. Fin da piccoli veniamo educati a cavarcela da soli, figli unici che si godono la vita. Anche tanti suggerimenti di ‘spiritualità’ che i social riversano generosamente nel computer e sul cellulare, ti inducono a guardare te stesso, per scoprire le tue nascoste energie, così da non aver bisogno di niente e di nessuno. Colleghi di lavoro o compagni di vita, nell’ideale della modernità veniamo indirizzati a vivere separati gli uni dagli altri come pali piantati in barena, senza possibilità di stringerci insieme per edificare una stabile dimora comune.

Invece, siamo generati dal passato e veniamo rinnovati dal presente. Non solo nella struttura fisica, ma nei desideri dell’anima e nelle propensioni del cuore. Siamo donati a noi stessi da un amore più grande, concepiti da un disegno di grazia che apre al rapporto con la realtà: il sole che sorge e la pioggia che batte, la donna che ci genera e il padre che ci ama. Protesi a conoscere, bisognosi di amare e di essere amati. Lì dove viviamo, in qualunque luogo della terra, siamo circondati da un villaggio di persone, in un infinito racconto di storie che ci precedono, in un ventaglio di promesse che ci sopravanzano. Di generazione in generazione. Come la nonna che entra in farmacia con la nipotina, vede la cesta per la raccolta dei medicinali per i bisognosi e dice alla piccola: “Anche tu dona una medicina per i poveri, come io faccio sempre”. Fioriscono i collegamenti, gli incontri, le comunità. Non bastano i circoli culturali o le associazioni ricreative, nemmeno le società sportive o le combinazioni dei viaggi in compagnia. Un bisogno più profondo ci apre alla condivisione dell’anima, un’amicizia per la vita ci rigenera come fiori che sbocciano al sole. Cresciamo collegati in reciproca dipendenza nel vasto campo del mondo.

E tuttavia, nemmeno la reciprocità ci appaga, nemmeno tutti insieme ci bastiamo, e ogni compagnia umana naviga fragile nel mare della vita.  Presente, passato, futuro si intrecciano a rivelare un’origine che ci precede e ci supera. La vera scoperta è quando percepiamo nel battito del nostro cuore un’esigenza di infinito, un anelito di pienezza che supera tempo e spazio; quando nell’altro che incontriamo vediamo specchiarsi il volto di Colui che ci ha creati e ci dona gli uni agli altri. Questo è l’incontro che recupera tutti i bisogni e salva tutte le dimensioni della vita.

9.2-2005

 

'I cristiani sono l'anima del mondo'. La prima volta che udii questa espressione fu un lampo di luce. Insieme con altri giovani amici, sacerdoti e laici, eravamo presi dalla responsabilità per la missione della Chiesa nel mondo. Non ci corrispondeva l'immagine allora imperante di una Chiesa proiettata alla conquista e al dominio del mondo. Sul versante opposto, ci affascinava la proposta di immergerci nel mondo come lievito nella pasta; tuttavia vedevamo alcuni amici, che si erano lanciati in questo tentativo, spegnersi nell’insignificanza o catturati dall’ideologia.  Ci attraeva la possibilità di entrare nel mondo con la libertà della fede, con un volto e un cuore dominati dalla passione di Cristo. Un principio vitale, attivo ma non aggressivo, vivace ma non prepotente, attraente ma non propagandistico ci veniva presentato da un vivace sacerdote che, in un convegno missionario, proponeva la nuova immagine della missione non in termini di conquista o di colonizzazione, ma come presenza discreta ed efficace sulle orme di Cristo. Il nucleo ardente del suo discorso traeva origine da un manoscritto scoperto nel 1436 a Costantinopoli in una pescheria, usato come carta da imballaggio insieme con altri scritti già noti, denominato ‘A Diogneto’. L’autore ignoto di questo testo, il cui contenuto aveva cominciato a diffondersi dalla seconda metà dell’Ottocento, racconta la vita dei primi cristiani a un certo Diogneto, al quale ‘interessa molto conoscere la religione dei cristiani’; lo invita a ‘purificarsi da tutti i pregiudizi che gli invadono la mente’, a sbarazzarsi dalle ingannevoli consuetudini e a diventare un uomo nuovo, discepolo di una ‘dottrina nuova’. Così scrive:                                                                    A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L'anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L'anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo…           

E prosegue:            I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini…. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini, e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera.  Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi.                                     Queste parole precise e intense continuano a segnare una direzione e diventano realtà nella vita di tanti cristiani. Nel mondo di tutti, i cristiani – singolarmente presi o in famiglie e gruppi, fraternità e comunità – vivono una novità che cambia il rapporto con le persone, le cose, gli avvenimenti, nella consapevolezza di essere scelti e amati per testimoniare il Signore nel mondo. E’ una strada aperta anche oggi per tutti i seguaci di Gesù, ciascuno nella fedeltà alla propria vocazione, qualunque essa sia e dovunque conduca, consapevoli di un bene che viene ricevuto per essere donato. Una prospettiva di vita attraente come il sole a mezzogiorno e vivace come le onde che vengono a lambire la spiaggia: così i cristiani sulla spiaggia del mondo.

Come andare in aiuto a questo mondo che – si afferma da molte parti – gira a rovescio? C’è una depressione non solo economica e politica, ma del desiderio. Non si desidera e non si trova niente di buono al di fuori della minuteria quotidiana, come una buona merenda, una rapida soddisfazione, il breve sollievo per un intrigo finalmente risolto… Per il resto, il mondo vada come vada. D’altronde, che cosa posso fare io di fronte alle guerre che dilaniano popoli e uccidono bambini, di fronte a politici che litigano, a potentati che sfruttano??? Che posso fare con le stagioni scombinate, gli incendi rovinosi, i terremoti micidiali, i ghiacciai evanescenti?… Paura e indifferenza spengono nelle giovani famiglie la voglia di futuro e l’attrattiva di mettere al mondo un bel bambino.                                              E la religione? E la Chiesa? C’è chi la giudica più decaduta oggi che non all’epoca dei papi e antipapi, o dell’alleanza col potere imperiale o della corruzione del clero e via dicendo… In questo oscuro panorama, il tempo in cui viviamo, pur ricco di beni come non mai, viene considerato come il peggiore mai capitato. Peggio del diluvio universale, peggio delle invasioni barbariche e dei tempi della peste quando si moriva quattro su dieci ogni giorno.

C’è speranza? Invochiamo speranza in questo Giubileo, e pare un grido disperato come quello dell’uomo sbigottito sulla spalliera del ponte nel quadro di Munch. Da quale parte uscirne? Non ci è data la facoltà di scendere da questo mondo, né possiamo cambiare direzione alla carrozza per infilarci nella strada del cielo.            Di fronte a uno scenario che sa di apocalisse disperata, mi insorge in cuore, con la potenza di una sorgente finalmente libera, la considerazione che il poeta Charles Péguy faceva agli inizi del ‘900:

C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere ed interpellare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. In un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Egli non si mise a incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo».

Dunque, di fronte alla cattiveria dei suoi tempi, Gesù fa il cristianesimo!! Offre se stesso, il suo modo di parlare e incontrare, di vivere e pregare, di guardare e perdonare. Cristo dona se stesso! E noi, che possiamo fare? Noi non siamo lui; anche donassimo noi stessi, sarebbe un niente nel mare del mondo.  Noi possiamo dare quel Gesù che ci viene donato. Possiamo metterci in fila dietro a Lui per ‘fare il cristianesimo’. Possiamo parlare di Lui, raccontare di chi l’ha incontrato, seguito, amato. Charles de Foucauld, quando intercetta il Dio vivo in Cristo, afferma: “Se Dio esiste ed è così, io non posso che vivere per lui”. Per imitare Gesù povero va a Nazaret e poi nel deserto. Possiamo dunque fare un pezzettino di cristianesimo, una pietruzza del mosaico. Possiamo vivere avendo in mente e in cuore Gesù, possiamo testimo niare una vita di amicizia con Lui, portando insieme con lui il sudore della giornata, la gioia e il dolore. Come quella donna malata di tumore, che avrebbe dovuto morire sei mesi fa: trovandosi ancora in vita, ringrazia commossa il Signore che le dona ogni giorno un giorno in più. Anche questo è fare il cristianesimo…

 

 

Quante volte sentiamo o leggiamo e magari commentiamo la stessa notizia, insistentemente annunciata, ripetuta, commentata da tv, giornali e miriadi di social? Intuiamo in anticipo la scaletta del telegiornale, lo stillicidio dei commenti dei politici di opposta tendenza, l’altalena di spese e pranzi e regali fatti o da fare. La grancassa del mondo diventa monotona, schiacciata dal mucchio delle solite cose. E’ tutto qui il mondo da conoscere, è questo che ci interessa, sono questi gli avvenimenti che meritano di essere raccontati?

Viene l’occasione di tirarsi fuori dalle cose solite: alcuni giorni di ritiro spirituale o di vacanza con amici; oppure un avvenimento forte, lieto o doloroso, che interrompe il ritmo consueto. La scena cambia, per la lontananza dai luoghi abituali; le giornate ti vengono incontro con il volto delle persone. Riscopri un giro di parenti e amici, e il cuore vibra con una danza leggera; si svelano luoghi, panorami, case, chiese, monti, sentieri, ambienti che allargano l’orizzonte. Si ridesta la sensibilità per quello che incontri, una percezione acuta del senso della vita, un’esperienza diversa dell’esserci e dell’abitare. Ti domandi: dov’era tutto questo mentre me ne stavo a casa tra le solite cose? Cominci a desiderare che anche la vita che scorre immobile nelle giornate mantenga lo stesso tipo di attenzione alle cose, lo stesso sguardo sulle persone, la stessa partecipazione agli avvenimenti. L’orizzonte si allarga e il dialogo si apre su altre finestre. Il tempo diventa disponibile per altre iniziative. Cerchi – e a volte trovi – un numero più ampio di persone da visitare; vai a rovistare nella marea dei libri e scovi gli autori che sempre ti hanno attratto e che restavano relegati in seconda o terza fila; ti schiudi alla novità del silenzio e ti fai prendere dallo stupore della liturgia ben cantata. Spuntano gli autori classici e assapori il gusto del linguaggio chiaro e diretto di un Padre della Chiesa, ti lasci avvolgere dalla musica dei concerti che girano il mondo non solo a Natale e Capodanno, mentre intanto scorri i giornali o riordini gli oggetti dispersi in un cassetto. Accogli l’invito di un vecchio amico di scuola, intravvedi una possibilità di contatto con una persona malata e con la famiglia con bambini piccoli, così difficile da intercettare.                                             Hai sempre bisogno di venire risvegliato a una visione più vera di ciò che accade nel mondo. E dunque, meno tv e telegiornali, e più attenzione alle pagine del quotidiano che ti introducono al senso delle cose, più tempo a quei due o tre settimanali, a quei tre o quatto mensili che hai tra mano, per superare la banalità della cronaca e svincolarti dallo standard dei giudizi scontati. Pian piano la vita torna a respirare. Non restiamo schiavi di chi guida il treno, pur senza bisogno di scendere dalla carrozza. Il panorama ci scorre davanti pieno di sorprese. E chiudendo gli occhi su quel che  succede là fuori, vedi scorrere vite autentiche, capaci di affrontare il male e di costruire il bene. Esiste dunque una vita ‘altra’, più vera. Esistono notizie ‘altre’, che appassionano. Non più rassegnati a sprofondare nel vuoto del nulla che una società annoiata continua a raccontare.

  1. Mentre il pensiero gira su queste cose, arriva un messaggio: “Mio figlio ventenne dice essere stufo delle notizie dei soliti tg. Ha scoperto tv 2000, e trova che le notizie dal mondo hanno un altro sapore”.

Don Angelo Busetto     3386539107

Per vivere, ci vuole un ‘LUOGO’ 

A fare l’elenco delle occasioni e delle proposte dell’ultimo periodo, si rimane impressionati. Il cristianesimo ti si fa incontro come realtà viva, non incastrata nell’abitudine, ma rianimata dal desiderio del cuore e dalla sorpresa delle situazioni. A cominciare dalle occasioni più immediate, segnate dal ritmo del tempo di Avvento, con le domeniche, il ritiro, la Novena, il Natale, gli incontri di gruppo e quelli personali, le letture e i contributi che arrivano via social… un fiume nel quale la tua barchetta scivola; devi solo badare a tenere dritta la barra del timone e a non disperdere l'impulso del cuore. La vita della Chiesa percorre il territorio della nostra umanità, ne intercetta le zone aride e quelle depresse, sostiene e corregge i nostri passi e ci mette in sintonia con quanti si trovano nello stesso cammino. Dove andremmo se il tempo non fosse segnato dalle cadenze liturgiche? Se il desiderio e l’attesa non si rianimassero con l’Avvento, se il Natale non ci commovesse, se non ci accompagnasse il ritmo delle domeniche che saldano lo scorrere dei giorni? Da quando il Figlio di Dio è venuto tra noi, il tempo non è più vuoto e ripetitivo, ma si apre a un cammino e a una comunità. Troviamo luoghi in cui abitare, momenti in cui sostare, slanci con i quali riprendere il cammino. Senza una strada, una compagnia, un luogo, rimaniamo desolati e soli, sprofondati nella tristezza del vuoto interiore e dispersi nel martellamento ossessivo di mille pubblicità. Oggi può essere la condizione in cui ci si ritrova dopo che le comunità dei paesi e delle contrade si sono svuotate e sono andati smarriti gli ambienti nei quali ci si trovava la domenica. Ti guardi attorno e non trovi più gli amici di un tempo, il prete di una volta, la comunità che lo attendeva e faceva festa insieme.

Per questo è provvidenziale l’insorgere di luoghi ‘altri’, meno legati alla vicinanza di territorio e più significativi come rapporti umani. Gruppi di amici, comunità di famiglie, condivisioni di salute o malattia. ‘Luoghi’ non determinati da strade e muri, ma segnalati da un richiamo più profondo. Un gruppo di gente, che lavora o è in pensione, si ritrova per un pranzo frugale una volta alla settimana, in uno spazio di dialogo e di condivisione; malati sparsi per l’Italia superano la solitudine collegandosi con un prete che celebra la Messa e raccoglie il loro bisogno di vita e le loro domande di significato; altre persone, a partire da una proposta lanciata dalla comunità cristiana sinodale, si ritrovano a gruppetti in casa attorno alla parola di Dio annunciata nella liturgia festiva. Viene a cambiare qualcosa nella concezione di sé: non più vite allo sbaraglio, ma persone con un riferimento, una compagnia, un luogo di appartenenza. La Chiesa non più estranea alla vita, ma sperimentata come amicizia e occasione di giudizio sugli avvenimenti che incombono. Anche Gesù, dopo gli incontri con la folla, si trovava a dialogare in casa con i discepoli. Nasce l’opportunità di incontrarsi in ambiti più vasti, e di accompagnarsi a vivere insieme le grandi occasioni della Chiesa, il Giubileo o una proposta di carità e di missione che allarga l’orizzonte. Si scioglie la tristezza della solitudine, si stempera il timore del confronto con gli altri, e decadono quelle diffidenze che tengono chiuso il cuore. Come diceva tanto tempo fa Romano Guardini: ‘La Chiesa si ridesta nelle anime’. Si può aggiungere: e le anime si ridestano nella Chiesa.

D’improvviso, dopo il vuoto delle domeniche precedenti, la liturgia festiva si riempie della clamorosa partecipazione di decine di ragazzi con le famiglie. L’attrattiva dell’Avvento smuove le correnti del cuore e orienta verso il Natale; i catechisti la intercettano e la imbarcano in un veliero che percorre il mare della speranza attraccando nei quattro porti delle domeniche di Avvento. Un grande pannello materializza elegantemente l’immagine ai piedi dell’altare, e ciascun ragazzo riceve il piccolo album che la riproduce, per segnarvi le soste settimanali. Alla fine della celebrazione, a sorpresa, il mister che segue l’attività sportiva dei ragazzini balza in sagrestia a confermare l’alleanza tra chiesa e campo sportivo: nel giro degli allenamenti e delle gare combinerà un calendario che lasci spazio a ‘cose così belle’. Tutto questo è già un piccolo miracolo della ‘comunità cristiana sinodale’ dove le singole comunità parrocchiali si intrecciano e convergono insieme. La compagnia nella fede troverà poi un altro punto di slancio in una serata per rinnovare la vigilanza verso la Parola che viene.

A guardare il calendario ci accorgiamo che la nostra compagnia umana vive nel riflesso della compagnia celeste. L’Avvento è illuminato dalla bianca luce della Madonna Immacolata che risplende della grazia di Dio, ed è pervaso dal fremito di Giovanni Battista che fa convergere verso Gesù l’attesa del cuore e ogni desiderio di bene. Accanto all’Immacolata e al Battista si raduna la schiera dei Santi di dicembre, Carlo de Foucauld che apre il mese, Francesco Saverio, Barbara, Nicola, Ambrogio che occupano la prima settimana, seguiti da Lucia e poi da Giovani della Croce e Francesca Saverio Cabrini. Ci sarà un’impennata a metà dicembre quando arriverà a casa sua a Pellestrina una reliquia del Beato Marella che troverà posto in chiesa presso l’altare dei Santi. Non siamo soli, a casa o in chiesa, in campo sportivo o nei viaggi. Ogni occasione e ogni situazione acquista sapore e bellezza nella compagnia degli amici. Impressiona l’aneddoto ricordato dallo psicanalista Recalcati: il grande poeta Goethe nel suo viaggio in Italia del 1786 arriva a Rovereto e poi ad Affi e di qui vede “sotto i piedi” lo scenario immenso e irripetibile del lago di Garda. Vorrebbe gridare la sua meraviglia con mille parole, ma non c’è alcun amico con il quale poter condividere; neppure il vetturino che l’ha condotto in carrozza comprenderebbe la sue parole.

Il dramma della solitudine, che non permette di condividere gioie e dolori, si scioglie nei giorni dell’Avvento e del Natale, quando si libera la gioia di guardare insieme, insieme cantare e lodare; nella compagnia degli amici in terra e dei santi in cielo, attendiamo Gesù e poi con gli angeli cantiamo i canti del Natale e accogliamo il Dio che viene. Accade la ricomposizione dell’umano, spezzato da contese e guerre, sciupato da egoismi e distrazioni: il Bambino Gesù viene a sorprenderci con una presenza che ci abbraccia e dà origine a una storia che percorre il tempo e permette ad ognuno di incontrarlo. Lo percepiscono i bambini che riempiono di capanne e pecorelle i presepi della scuola materna e quello di casa, attirando verso Gesù gli sguardi degli adulti. Niente è più efficace del miracolo dei bambini piccoli che guardano, liberi nella gioia di correre tra i banchi della chiesa o tra i tavoli del ristorante e di saltare di gioia in braccio al papà. Lo spettacolo della vita non sarà sempre quello della gioia canterina dei bambini che riempiono il teatro dello Zecchino d’oro; tuttavia il canto dei bambini è uno specchio del cuore pervaso da una promessa di felicità. Con questa attesa camminiamo insieme verso Natale.

don Angelo Busetto, 3386539107

 

Domenica sarò a pranzo da una giovane famiglia con due figli in età scolare. Cerco qualche libretto che sia bello e utile per i bimbetti. Rovistando nel reparto della libreria casalinga dedicato ai santi e al catechismo vedo spuntare il grande album con la storia a fumetti dei Martiri Felice e Fortunato; scopro anche un fascicolo colorato con foto e disegni grandi e piccoli, che invitano i bimbi a ‘guardarsi intorno’ per accorgersi del miracolo del vedere con gli occhi, con il cervello, con il cuore e scoprire la meraviglia dei colori del cielo, della terra e dell’arte. Ci siamo: i nostri santi e il mondo da guardare!

E per i genitori, mi dico, c’è niente? Le librerie casalinghe sono un deposito in cui i libri dormono, in attesa che qualcuno li svegli come la bella addormentata. Curiosando, scorgo il dorsale di un libretto che mi aveva incuriosito tempo fa e che avevo ben riposto: non si sa mai. Copertina: La bellezza e il senso – 100 storie, 1 incontro. Ci entro dentro a capofitto, approfittando della mattinata libera.                Le cento storie sono state scelte tra le cinquecentoquarantaquattro che erano state raccolte per un Convegno della diocesi di Venezia e riportano la testimonianza di persone singole e di gruppi. Vi scopro tutto l’armamentario della vita cristiana, esposto non per via di buone intenzioni e di programmi, ma con la semplicità e il vigore delle cose vissute. La raccolta procede per sette tempi della giornata, quasi una scansione monacale: alba, mattino, mezzogiorno, pomeriggio, sera, notte, aurora. Sono molte le albe della vita: la nascita di un figlio, l’accoglienza di un bambino con l’adozione o l’affido; l’alba è segnata anche dall’uomo che per anni bussa alla porta del monastero e si annuncia: “Sono io,,, il Povero. Una ragazza di sedici anni scrive: ‘Aver incontrato Cristo è stato come rinascere’; un gruppo di bambini attorno al fuoco del bivacco parlano candidamente di Dio; l’amore coniugale si ridesta dopo una crisi…  Il mattino è il tempo della laboriosità: si va verso gli impegni della giornata: incontri, affari, fatiche, imprevisti. Una coppia incomincia con le lodi; un’alunna dà il buongiorno al professore incontrato dopo anni insieme con il marito e il figlio in carrozzina e ricorda la lezione che le ha cambiato la vita; gli ‘operatori sanitari’ raccontano la carità in corsia; altri, l’esperienza di libertà nel lavorare insieme…   Il mezzogiorno è una sosta: lettura della Bibbia, la memoria dell’esperienza degli esercizi spirituali, una visita nella chiesa aperta giorno e notte per l’adorazione. L’incontro ‘casuale’ tra due sconosciuti che diventeranno marito e moglie, un altro incontro significativo… Di giorno in giorno, di ora in ora le testimonianze narrano la vita cristiana, con la crisi, il vuoto, la solitudine, la novità. La fede nel quotidiano, nelle difficoltà con i figli, nell’impianto delle attività pastorali, nell’impatto con incidenti e malattie, nella novità del catechismo di bambini e adulti e degli incontri di preparazione al matrimonio. Sotto traccia emergono alcune evidenze: la presenza del sacerdote, il ritrovarsi periodico tra le famiglie nelle case, la riconciliazione che imita il Vangelo. Il piccolo mondo (antico?) di tante presenze punteggia le nostre città svuotate della fede cristiana, tessendo una rete di speranza e di carità.

Chiuso il libro, mi preparo velocemente il pranzo e apro il telegiornale che mi rifila per l’ennesima volta la storia dell’uomo che ha ucciso la fidanzata o la compagna o la moglie, la vicenda dei giovani violentatori, le noie dei politici, le inefficaci trattative di pace… Un perverso indottrinamento sulle brutture della vita.  Domenica a pranzo non ci sarà la televisione. Potremo goderci la conversazione sulla vita reale, condividere le esperienze vissute, e riaprire per noi e per i bimbi il torrente della speranza.

LE PAROLE CHE FANNO STORIA E DONANO VITA

Quante volte le parole pronunciate svaniscono come un fumo di sigaretta nell’aria? Si parla per parlare, si dice per dire. Parli, e non ci credi nemmeno tu. Tanti luoghi comuni.
E’ un miracolo quando una parola usata e consumata come foglia d’autunno rispunta nuova e vera. Accade quando pronunci la parola amore davanti a un volto che ti guarda e a un cuore che batte, come un innamorato o una madre; quando dici buongiorno a una persona che ieri ti ha offeso. Le parole prendono vigore dalla storia che le ha forgiate e dall’esperienza che le rende vive. E’ un miracolo quando le parole della fede, usate e consumate come vecchie statue, tornano a brillare nel tessuto della vita.
Nei giorni scorsi ho avuto davanti agli occhi e nelle orecchie tre parole che vengono frequentemente pronunciate in ambito cristiano: comunione, fraternità, amicizia. Risalendo la galassia del tempo, siamo stati accompagnati a lambire la sorgente eterna da cui queste parole sgorgano. Comunione: non solo la comunione fraterna o la comunione eucaristica. Condotto alla soglia dell’eternità intravedi il Padre che riflette la sua immagine nel Figlio e con Lui vibra nell’amore dello Spirito Santo. Il circolo della comunione trinitaria esplode al di fuori, dando origine all’immensa creazione che si espande nello spazio-tempo, fino a dare origine alla storia dell’uomo. In un momento del tempo il Figlio viene ad abitare in mezzo a noi, ci convoca a una fraternità che supera quella della carne e del sangue, e ci chiama amici perché ci comunica tutto ciò che il Padre ha detto a Lui. Il discepolo che Gesù amava annuncia: “Quello che abbiamo visto e udito, quel che abbiamo contemplato e toccato lo annunciamo anche a voi, perché siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo”. Vedere, udire, toccare, contemplare: quattro verbi che descrivono l’esperienza dei cristiani di tutti i tempi. A due a due, a dodici a dodici, la comunione si concretizza nella comunità e si armonizza nella fraternità. Una famiglia, un gruppo di persone o di famiglie, un luogo di lavoro o di socialità, nello spazio della Chiesa, in cammino dentro il mondo. Da quante persone e comunità, nell’arco di due millenni di storia, questo è stato vissuto? Quanto - anche - è stato rinnegato e tradito?
In un percorso che sempre viene rigenerato, l’acqua del Giordano, il sangue del Calvario, il vento dello Spirito continuano a scorrere nelle case, nelle chiese, nei luoghi della vita. E’ la mia e la nostra vita, nella breve radura in cui è spuntata, nel carisma che nuovamente la rigenera, nell’amicizia che la sostiene, nell’autorità che la garantisce. Le parole pronunciate non sono più un fiato di nebbia, ma un’esperienza vissuta. Parole che diventano persone, raccontano storie, generano vita, segnano la strada. Comunione, fraternità, amicizia: un alfabeto nuovo, un vocabolario aggiornato, un linguaggio fresco, ancora sempre da imparare e da sperimentare. Parole che operano quel che dicono, come le parole sacramentali del Battesimo e dell’Eucaristia: una sorgente per la nostra sete, un paniere per la fame nostra e del mondo.

LE RAGIONI DEL CUORE CHE CONTINUA A BATTERE

Nel tempo in cui le barche andavano a remi in laguna e i bragozzi solcavano il mare a vela, l’arrivo del primo Venerdì del mese era un avvenimento per tutta l’isola. Anche noi ragazzi venivamo coinvolti nella pratica della Comunione eucaristica dei ‘primi venerdì’ di nove mesi consecutivi per garantirci la salvezza eterna, secondo la promessa di Gesù a Maria Margherita Alacoque.  In seguito, il disincanto provocato dalla fiducia nella scienza e l’incantesimo suscitato dalla immersione nella natura, insieme con un turbinio di ‘distrazioni’, hanno eliminato o almeno oscurato l’orizzonte del soprannaturale. Ci siamo trovati a trattare la vita come una complessa macchina che deve sempre funzionare, appena imbellettata da una spruzzata di sentimentalismo.   Ora, a sorpresa, il Papa che ha prodotto due encicliche – Fratelli tutti e Laudato si’ - su pace e armonia tra i popoli, natura e ambiente, facendo leva sul buon uso della ragione, viene a bucare l’orizzonte con una poderosa enciclica dedicata al Sacro Cuore di Gesù. Entrano in scena due dimensioni che sembravano smarrite. La prima ascende in alto verso il divino, la seconda discende nel profondo del cuore, al di là del sentimento. Amore e cuore non fanno più rima come nelle canzonette di una volta; piuttosto, il cuore allarga i confini oltre il ritmo dei suoi battiti. Il cuore ‘pensa’, dice Pascal: ‘Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce’. Quando sentivo parlare don Giussani, mi sorprendeva il suo rimando al cuore come ’esperienza elementare e originaria’ delle esigenze e delle evidenze di verità, di felicità, di giustizia. Un cuore pieno di ‘ragioni’, com’è quello di una madre verso il figlio, dell’innamorata verso l’innamorato e infine di ogni uomo e donna che vive sulla terra. Nell’enciclica straricca di citazioni da Bibbia, santi, papi, teologi, papa Francesco compie alcuni passaggi audaci; dice che Gesù ci ha amati - Dilexit nos - con un Cuore umano che manifesta l’amore divino; Gesù trasfonde il suo Cuore nel nostro cuore, donandoci il suo modo di amare. L’umanità ha bisogno di questo Cuore per imparare ad amare e a tessere legami di pace. Citando Newman, il papa afferma che l’incontro più profondo con noi stessi e con il Signore non avviene con la lettura e la riflessione, ma con il dialogo orante da cuore a Cuore con Cristo vivo e presente.      In questo e altri passaggi dell’enciclica ritrovo gli accenti dell’esperienza sacramentale che ci veniva raccontata e raccomandata negli anni del Seminario. Nel corso dell’esperienza pastorale, questa apertura del cuore riaffiora come da sorgente sotterranea in occasione dell’adorazione nelle Quarantore, come pure nel silenzio di certe serate appesantite da difficoltà e preoccupazioni: a poco a poco il Cuore di Cristo viene a farti compagnia come dentro la delusione dei due discepoli di Emmaus. Accade di imbattersi in una madre che, travolta dal dolore per la morte della figlia, ritrova consolazione e vigore; vedi accendersi lo sguardo e il cuore in una compagnia di amici che affronta con audacia l’impresa della vita; ti sorprendi per quell’uomo ancor giovane e per quella persona anziana che, lasciando questa vita, si abbandonano nelle braccia di un amore più grande. Tante vicende nelle quali intravedi che, pur nella nostra incerta e parziale risposta, l’abbraccio che salva è quello dell’amore di Gesù. Colui che ci ha chiamato amici, continua a donarci tutto quello che il Padre ha detto e ha dato a Lui.  Nel tempo delle macchine a guida automatica e di fronte alle promesse dell’Intelligenza artificiale, si può vivere per qualcosa di più grande?

 

Don Angelo Busetto

USCIRE IN MARE APERTO VERSO L’ORIZZONTE INFINITO

Racconta il missionario di aver visto nella sacrestia della chiesa dei Gesuiti a Lima, in Perù, una statua di sant'Ignazio di Loyola con lo sguardo rivolto verso un orizzonte lontano, al di là di tutto, e nello stesso tempo con l'espressione decisa dell'avventuriero; Ignazio è proteso all'orizzonte infinito, oltre le 'Indie" dove arriveranno i suoi missionari.
È lo sguardo che nei giorni scorsi ho trovato riflesso in un altro personaggio, Sammy Basso, che ha lanciato la sua freccia oltre la morte dopo aver vissuto con pienezza una vita che avrebbe potuto chiuderlo nel carcere della sua malattia. Le parole e le immagini del suo 'testamento', riprese al suo funerale nell'omelia del vescovo di Vicenza Giuliano, hanno attraversato tutti i telegiornali e sono riecheggiate in una miriade di social. Con uno slancio di speranza e un filo di ironia Sammy ha sdoganato la parola ‘morte’ che da tanto tempo è tenuta bloccata alla frontiera dei mass media come un migrante indesiderato. La morte fa paura, dice Sammy, perché abbiamo paura dell'ignoto. E aggiunge: “Da quando Gesù e morto sulla croce, la morte è l'unico modo per vivere realmente, l'unico modo per tornare finalmente alla casa del Padre e vedere finalmente il Suo Volto.” E dunque, per Sammy e per chi condivide il suo cuore, la morte è lo svelamento e il compimento dell'amicizia incontrata e vissuta con il Signore in questo mondo. Un abbraccio dopo lo sguardo da lontano, come lo sposalizio dopo il fidanzamento.
Il Paradiso non è tanto un luogo, quanto piuttosto il realizzarsi di una relazione di amore fra Dio e noi. L'ho riscoperto come una novità nei giorni in cui una persona cara stava lasciando la riva di questo mondo per approdare al porto di Dio. Mi sono fatto accompagnare da un libro di Ratzinger che per lungo tempo avevo snobbato; parla dei novissimi, le ultime cose che conducono alla fine della vita terrena e aprono al dopo. La fine della nostra vita non conduce a un cambiamento di ‘luogo’, per andare ad abitare nel ‘luogo' dove Lui vive e che chiamiamo Paradiso. Il ‘cielo’ – dice Ratzinger – non è un luogo senza storia, ma una realtà personale, un essere con Cristo e in Cristo, come attesta San Paolo. Il ‘cielo’ è lo sviluppo di quello che abbiamo desiderato in vita, consapevolmente o inconsapevolmente. In vita, quando abbiamo desiderato vedere il Signore Gesù come lo vedevano i suoi primi amici, Lui ci è sempre scappato via, senza comparirci davanti come accadde alla Maddalena nel giorno di Pasqua. Con la morte noi arriviamo a Lui e Lui ci corre incontro ad abbracciarci. E sarà gioia immensa e gioia vera: niente affatto una noia perpetua come qualcuno si inventa, ma un giro di ballo senza fine, con tutte le danze del tempo e dell'eternità. La morte è un'uscita in mare aperto, che si spalanca sull'orizzonte divino. Un fiorire di vita con tutti gli amici e amiche che ci attendono nel cuore di Dio.
Grazie a Sammy, ai Santi e a tutte le anime buone che l’hanno intravisto e l'hanno testimoniato.