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Quaresima

UNA STRANA ASTINENZA
Nella casa dove abito non giunge il suono delle campane, ormai ancora più ridotto in questi giorni di ‘astinenza e di digiuno’ liturgico. Le campane tuttavia non spandono virus e sarebbe bello per i cristiani e per la gente intorno, sentirle risuonare non solo per i tre Angelus della giornata – mattina, mezzogiorno, sera – ma anche in rapporto agli orari consueti delle Messe, come quel parroco che fin da subito ha avvisato i suoi parrocchiani: “Io continuo a celebrare in Chiesa anche da solo. Voi unitevi con la vostra personale preghiera”. Non siamo diventati improvvisamente un paese di atei, o di indifferenti, o di gente finalmente liberata dall’obbligo settimanale della Messa. La coincidenza dell’inizio della Quaresima, con la perdita della celebrazione del Mercoledì delle Ceneri e della prima domenica di Quaresima, viene avvertita come una ferita che taglia il cuore. Il distacco dalla celebrazione liturgica crea un vuoto nell’anima e invoca un segno, un richiamo, una compagnia. “Non possiamo vivere senza la Domenica”, cioè senza l’Eucaristia celebrata: diventa nostro il grido dei cristiani di Abilene privati dell’Eucaristia e perseguitati a morte dal potere imperiale. Non possiamo vivere senza la compagnia della comunità reale. Imprevedibilmente ci troviamo a vivere una situazione che richiama alcuni tratti di quanto hanno vissuto i cristiani perseguitati nel passato antico o recente, e di quanto stanno vivendo altri cristiani oggi: i cristiani giapponesi senza prete e senza eucaristia per duecento anni, e i cristiani dell’Amazzonia che il prete lo vedono qualche volta in un anno…

Non ci domandiamo quanto questa restrizione ‘liturgica’ possa essere realmente efficace, soprattutto mettendola in paragone con il contemporaneo libero accesso a mercati, supermercati, centri commerciali e altri luoghi di pubblica frequentazione. Quel che ci interessa è ricavarne tutto il bene possibile, come desideriamo per tutte le circostanze che ci si presentano nella vita. E’ quel che il vescovo ci sollecita a vivere, in questa inedita possibilità di sperimentare la ‘chiesa domestica’. E il prete, come si sente in questi giorni? Potrebbe considerarli come insperati giorni di vacanza. Ma non ci riesce. La vacanza è quanto esci da un ‘lavoro’ che permane, non quando il ‘lavoro’ non c’è, la comunità svanisce, gli incontri spariscono… Inevitabile un senso di vuoto, una viva percezione di assenza, di mancanza. E’ una grossa corteccia da superare per entrare nella linfa viva che continua a scorrere, e fa pressione nelle vene. La coltivazione del cuore e della mente, attraverso il silenzio, la preghiera, la solitudine, la lettura, è una grazia capace di generare nuova vita.