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GESU’, COSI’ UOMO DA SVELARE IL DIVINO

Suscita attenzione e provoca fascino la figura di Gesù, la sua storia, la sua persona. Parlare di Lui è come accendere una miccia che infiamma e scuote. Così è capitato al drappello di cristiani, riuniti nella Rete teologica, desiderosi di introdursi nel ‘Mistero’ Cristo. Così è avvenuto di recente anche ad un nutrito gruppo di persone di una unità pastorale. Nelle due diverse occasioni è venuto a galla un bisogno diffuso di conoscere Gesù, che spesso non trova occasioni di risposta, e un interesse vivace ampiamente condiviso.
Le domande aprono il dialogo: chi, che cosa hanno incontrato i primi che hanno visto Gesù? Che cosa nella sua vicenda umana produce uno squarcio che rivela la sua divinità?
Il dialogo che si sviluppa nell’ultima riunione della ’Rete teologica Santi Angeli’, lunedì 22 gennaio in Seminario, documenta il ‘colpo di fulmine’ del primo incontro con Gesù, utilizzando passi dei Vangeli o facendo riferimento a testi che ne raccontano la vita (Ratzinger, Messori). Ci si domanda come hanno potuto Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni abbandonare immediatamente il padre e la barca. Gli evangelisti isolano questo episodio che lascia intravedere un’amicizia già avviata; i Vangeli non registrano la cronaca dei giorni, ma evidenziano alcuni fatti decisivi. In seguito, quel primo incontro viene sottoposto al vaglio di una lunga verifica nella convivenza degli apostoli con Gesù. Guardando la sua umanità, questi vengono sospinti a protendere lo sguardo più in là: il pane moltiplicato rimanda al pane che diventa suo Corpo; la risurrezione dell’amico Lazzaro fa scoprire che Gesù stesso è risurrezione e vita; in ogni accadimento Gesù si protende verso la ‘sua ora’, quella decisiva della Pasqua. Rimane decisiva la parola di Gesù alla Samaritana: «Se tu conoscessi… chi è colui che ti dice “Dammi da bere”»; come pure la provocazione di Gesù agli apostoli. “Voi, chi dite che io sia?”.
Gesù sorprende i suoi e continua a sorprendere anche noi. Chi può dire con lealtà: “Rallegratevi ed esultate”? L’invito alla gioia che pervade il Vangelo, dalle Beatitudini in poi, fa percepire l’intera vita di Gesù, e conseguentemente anche la vita del cristiano, come ‘Buona Notizia’, protesa fino al compimento del ‘destino’ dell’uomo, che supera la morte nella risurrezione.
L’umanità di Gesù è vera e nello stesso tempo eccezionale. È buona notizia la sua accoglienza verso coloro che la società di allora – e non solo – definisce come ‘scarti’: poveri, lebbrosi, stranieri, donne, bambini, peccatori, prostitute. In Gesù si manifesta dunque una ‘pretesa’ che – attraverso l’umano – sorpassa la misura dell’umano e nello stesso lo porta a compimento. Gesù accoglie e supera; risponde al nostro bisogno, ma lo apre alle dimensioni dell’infinito. Chi è dunque costui? Se lo domandano i suoi amici che lo accolgono in barca, vedendolo comandare al vento e al mare durante la tempesta che li impaurisce. E ce lo chiediamo anche noi, nelle tempeste che sconvolgono il mondo e nelle traversie della vita.
Si potrà dire che la divinità di Gesù si manifesta con evidenza nei miracoli e nella risurrezione. Ma prima di questo svelamento clamoroso, è la vita quotidiana del Signore Gesù tra noi a svelare il mistero della divina Persona del Figlio di Dio.
L’indagine sul ‘Mistero’ di Gesù proseguirà nel prossimo incontro della ‘Rete teologica Santi Angeli’, previsto per lunedì 11 marzo ore 21 in Seminario.

Gianni Colombo

Seguace di Rubens, Cena in casa di Simone Fariseo, Spagna XVII secolo

 

L’inglese Cicely che inventò per amore le cure palliative  

La recente bocciatura del Consiglio regionale del Veneto della proposta di legge sul fine vita ha riacceso l’attenzione sulla delicatissima questione, alla quale anche Nuova Scintilla ha dedicato un ampio e documentato speciale nel numero del 28 gennaio.  Il dibattito sul fine vita porta con sé la questione delle cure palliative, che sempre di più negli ultimi anni hanno preso piede per migliorare il più possibile la qualità della vita del malato, specialmente quello che non può guarire. Nella convinzione che, se non sempre il malato può guarire, sempre può essere curato.

In questo contesto arriva felicemente la recente pubblicazione del libro di Emmanuel Exitu “Di cosa è fatta la speranza”, che racconta la vicenda umana e professionale di colei che ha introdotto e promosso le cure palliative, l’inglese Cicely Saunders.  Il bolognese Emmanuel Exitu ha lavorato come autore televisivo e come drammaturgo per il Teatro dei Documenti; dal suo primo romanzo “La stella dei Re,” una insolita lettura della storia dei Re Magi, ha tratto la sceneggiatura per l’omonimo film Rai, che ha avuto buon successo di pubblico e di critica. Il suo nuovo libro si ispira alla storia di Cicely Saunders, una donna dalla caparbietà visionaria. Prima infermiera, poi assistente sociale e infine medico, nel 1967 riesce ad aprire il primo moderno hospice, “un posto dove non si va a morire, ma un posto dove si può vivere fino all’ultimo istante con dignità”, perché la medicina deve prendere in carico l’intera persona, e non solo la sua malattia, fino agli ultimi istanti di vita.  Le sue procedure, frutto di studio e di dedizione totale al malato, sono ancora oggi considerate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità il punto di riferimento per migliorare la qualità della vita dei malati terminali.  Precisa l’autore che il libro “è un romanzo ispirato alla vita di Cicely Saunders e va letto come tale: un romanzo, non una biografia. Eventi, parole, frasi, personaggi, ambienti e ruoli professionali hanno radici nella storia personale di questa donna, ma sono stati interpretati come fanno i musicisti quando interpretano uno spartito”. Il romanzo percorre cronologicamente la vita di Cicely e racconta con uno stile semplice e accattivante le sue scoperte professionali, le sconfitte, i contrasti familiari, la conversione alla Chiesa d’Inghilterra, gli incontri che hanno determinato le svolte nel suo cammino (in particolare con suor Teresa, con l’amica Rosetta, con lo scrittore C.S. Lewis, con la malata terminale Paula), il suo carattere spigoloso e determinato fino al perfezionismo, gli amori intensi e per David prima e per Antoni poi presto finiti per la loro morte, l’incontro con Marian. Il tutto all’interno di quello che è stato lo scopo della vita di Cicely, accompagnare il malato inguaribile negli ultimi tempi della sua vita, avendo cura di tutta la sua persona, del suo corpo e del suo spirito, rispettando e mantenendo la sua dignità. Ha scritto Lucetta Scaraffia sul romanzo: “Saunders ha insegnato a tutti che la civiltà si deve confrontare con la morte, che non può semplicemente metterla da parte, e che questo è possibile per atei e credenti, se si torna a rispettare ogni destino umano. Questa biografia è un libro che dovrebbero leggere i sostenitori dell’eutanasia, suicidio assistito o simili, perché dimostra praticamente come esista un’altra possibilità di aiutare con pietà i morenti, una possibilità degna del genere umano, pensando prima al rispetto della vita di ciascuno che al costo delle cure, mai evocato ma che è la motivazione vera della febbre eutanasica del nostro tempo”.

Gianni Colombo Emmanuel Exitu, Di cosa è fatta la speranza. Il romanzo di Cicely Saunders, che si è presa cura degli incurabili, Bompiani 2023, pagine 421, euro 21,00

Vangelo secondo Matteo 5,17-19

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

UNA LEGGE PER LA VITA

Gesù non si ferma alla superficie della legge, ma va al suo contenuto. Il contenuto intero della legge non è appena un precetto morale, ma una strada per vivere la relazione con Dio e con il prossimo, in modo da raggiungere lo scopo della nostra esistenza, che è la salvezza dell’umano. Questa salvezza si realizza pienamente nel regno dei cieli, ma già viene gustata nella vita terrena: un cuore intero e un mondo giusto.

Domenica 10 Marzo 2024, IV di Quaresima, Anno B –
Domenica ‘Laetare’ – ‘Rallegrati’

Introduzione del celebrante
In questa domenica anche noi, come Nicodemo veniamo a incontrare Gesù e ci rallegriamo perché è venuto non a condannare ma a salvare il mondo. Rivolgiamo al Signore le nostre attese e speranze.

1. Signore Dio nostro Padre, che ami tanto il mondo da dare il tuo Figlio Unigenito, donaci in questo tempo di Quaresima di accoglierti nell’ascolto della Sua parola, nel sacramenti della Confessione e dell’Eucaristia, nella carità,
Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

2. Signore Gesù, donaci di camminare nell’unità della fede con papa Francesco, il nostro vescovo… i sacerdoti e tanti fratelli cristiani. Ti preghiamo per «Per i nuovi martiri, tuoi testimoni».
Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

3. Spirito Santo, con il tuo amore misericordioso conduci alla pace il nostro mondo; concedi alle mamme e ai papà di accogliere con responsabilità e gioia la vita dei figli concepiti nel grembo,
Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

4. Padre e Figlio e Spirito Santo, Trinità santa, ti affidiamo quanti cercano Gesù di giorno e di notte come Nicodemo; dona ai giovani e ai ragazzi la grazia di incontrare educatori e maestri aperti alla vita e gioiosi nella fede,
Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

Conclusione del celebrante
Signore Dio nostro, la preghiera del popolo cristiano trovi in te il suo compimento, per il bene nostro e del mondo intero. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

UNA QUARESIMA DI GIOIA

Un invito di gioia nel mezzo della Quaresima: Laetare-Rallegrati. Nel nostro mondo trafitto da tanti mali, Gesù dice a Nicodemo che il Padre lo ha mandato non per condannare il mondo ma per salvarlo. Dietro a Lui, il nostro è un cammino verso la vita e la gioia. Gesù ci accoglie, di notte e di giorno, come Nicodemo in ricerca, e ci rilancia. Egli è ‘il serpente innalzato che salva il mondo’. Gesù ci conduce a vivere una fede certa, una speranza attiva, una carità attenta.

Vangelo secondo Matteo 18,21-35

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: ‘Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa’. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: ‘Restituisci quello che devi!’. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: ‘Abbi pazienza con me e ti restituirò’. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: ‘Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?’. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

LA MISURA DI DIO

Guardando la propria vita, ciascuno può accorgersi di essere stato perdonato non sette volte, ma settanta volte sette. Sicuramente da Dio, attraverso il dono di misericordia di Gesù nel sacramento della confessione e nel segreto dell’anima. Probabilmente anche dal prossimo: di sicuro dai genitori e poi chissà da quante altre persone che continuano a sopportarci, a perdonarci, a volerci bene. Perché allora non condividere il bene ricevuto? Tra l’altro, anche la pace che invochiamo per il mondo comincia dal nostro cuore.

Vangelo secondo Luca 4,24-30

In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret:] «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

VICINANZA E OPPOSIZIONE

L’esperienza del rifiuto inizia per Gesù nella sua città, Nazaret dove familiari e amici, da una parte si meravigliano della sapienza del loro concittadino, dall’altra pretendono il privilegio dei miracoli. Gesù riporta due casi in cui il miracolo di guarigione non privilegia i vicini, ma persone straniere. Quali strade percorre il mistero di Dio? Intanto proprio i vicini diventano nemici, i primi che tentano di uccidere Gesù. Quale mistero nasconde il cuore dell’uomo?

 

Vangelo secondo Giovanni 2,13-25

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

RIUNITI NEL TEMPIO DEL SUO CORPO RISORTO

In questa domenica di Quaresima, riconosciamo la grazia di radunarci insieme in una Chiesa per celebrare l’Eucaristia. Chiediamo questa grazia per tante comunità desolate e deserte. Non offriamo al Signore animali o cose, ma presentiamo noi stessi, il nostro corpo e la nostra anima, il tempo e il lavoro, la salute e la malattia e tutto il mondo, perché vengano uniti a Cristo che offre il suo corpo e il suo sangue: Lui è il vero tempio, distrutto dalla morte e riedificato glorioso nella risurrezione.

Vangelo secondo Luca 15,1-3.11-32

In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola:
«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: ‘Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta’. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: ‘Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati’. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: ‘Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio’. Ma il padre disse ai servi: ‘Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: ‘Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo’. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: ‘Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso’. Gli rispose il padre: ‘Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’».

QUALE BENE PER NOI?

In quale dei due figli ci ritroviamo? In quello scapestrato che se ne va di casa con la borsa dell’eredità, sperpera tutto nei vizi, si pente e ritorna; oppure nel figlio fedele ma rigido, per niente disposto ad accogliere il fratello e a riconoscere il cuore del Padre? Potremmo desiderare di essere ‘un.a bravo.a ragazzo.a’ che non spreca in anticipo l’eredità e gode con cuore libero il calore della paternità. Che cosa sperimentiamo nella vita? Che cosa desideriamo come vero bene?

Vangelo secondo Matteo 21,33-43.45

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: ‘Avranno rispetto per mio figlio!’. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: ‘Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!’. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.

IL FRUTTO DELLA VIGNA

Viene in mente subito una sorta di scambio di popoli: la vigna passa dall’antico popolo guidato dai sacerdoti e anziani, al nuovo popolo che nasce dalla morte e risurrezione di Gesù. Questa parabola apre una teologia della storia, per completare la quale bisogna tener presenti tanti altri elementi.
Intanto possiamo dire che la ‘vigna’ così tanto amata e curata dal Signore sono io, è la mia vita. Vorrei proprio non tradire la fiducia del ‘padrone’ e portare tutto il frutto atteso.