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COME LE RADICI DELL’ALBERO

Nel giro a Bologna con un gruppo di famiglie, la proposta di andare a visitare il monastero è una sorpresa, sbucata quando è svanita l’idea di salire al santuario della Madonna di San Luca dopo la visita all’Opera Marella, per la coincidenza del ‘ritorno a casa’ dell’icona della Madonna, che era stata portata in città nella settimana precedente.
In questo mese di maggio Maria ci ha fatto incrociare la sua immagine nel volto di persone vive in un monastero di clausura; gran parte degli adulti che sono con noi non hanno mai messo piede in un luogo così; per i bambini, la novità è totale. Veniamo accolti nella chiesa del monastero, e ci disponiamo accanto alla grata, sulla quale si affacciano due giovani monache. Suor Veronica si chiamava prima Valeria e qualcuno della nostra comitiva la conosce dal tempo della sua giovinezza nella nostra città. Suor Teresa Francesca viene dal sud. Per primi, sono i bimbi a domandare alle due monache come e perché hanno pensato a entrare in monastero e come fanno a vivere al chiuso. I volti lieti delle due non mostrano alcun impaccio. Non descrivono appena l’andamento della casa e la struttura della comunità, ma vibrano di un moto di libertà e di un accento di amore. Raccontano della famiglia, della parrocchia, dell’università, degli amici che le guardavano e delle persone che le hanno accompagnate nei passaggi di una laboriosa e vivace decisione. In un intreccio di circostanze che sembrano rincorrersi a caso – fatto di incontri, attese, prove, malattie dei familiari, lavoro, spostamenti da un luogo all’altro – si dipana il filo che conduce ciascuna delle due a riconoscere questo luogo come ‘casa propria’, dove le attende lo sposo amato e dove la vita diventa preghiera, si sviluppa in carità e si allarga al mondo. Anche i parenti, con discrezione e dedizione, si inseriscono nella vita del monastero, fino al punto che l’anziana mamma di Suor Francesca ne è diventata ospite permanente, i fratelli di Suor Veronica diventano familiari con le monache, e persone di varia provenienza domandano momenti di condivisione nella preghiera e nel silenzio. Bambini e adulti seguiamo con attenzione i volti e le parole delle due monache. Scopriamo un bosco nuovo nel grande continente della Chiesa, fino a scorgere le radici degli alberi sui quali fiorisce la Chiesa, nella carità e nella missione. L’opera di Dio raccoglie vite diverse, componendo carità e preghiera, contemplazione e azione. La comunione fermentata dalla presenza di Dio, unisce persone diverse e sconosciute; dal seme della grazia vediamo germogliare il frutto della letizia.

I VOLTI DELLA RICONOSCENZA

Per quanto tempo permane un sentimento di riconoscenza? L’uomo che abbiamo di fronte, ben attestato sugli ottant’anni, parla con voce convinta e commossa. Figlio di ragazza madre, morta quando lui aveva 5 anni, perché la penicillina non spettava ai poveri, vagò per un’intera estate sulle sponde del fiume, insieme con altri ragazzi. Non veniva accolto dai collegi, perché, “chi pagava la retta?”. Lo accolse Padre Marella, che non badava alle rette perché andava a raccoglierle lui stesso porgendo il cappello a un angolo di strada di Bologna, all’uscita di teatri e cinema. Romano Verardi racconta la sua storia davanti a un gruppo di famiglie, nella chiesetta in cui Padre Marella, morto nel 1969 è sepolto. Padre Olinto Marella, originario dell’isola di Pellestrina, costruì questa chiesa a forma ottagonale, sul modello del tempio della Madonna del’Apparizione nella sua isola. Aveva raggiunto Bologna dopo un lungo giro per i licei d’Italia, dove insegnava filosofia. A Bologna cominciò ad accogliere i ragazzi sperduti, rendendoli responsabili della struttura che li ospitava e collaboratori della educazione che ricevano. Ricordando chi ha fatto da padre a lui e ad altri ottomila ragazzi, il signor Romano, già imprenditore e ora presidente dell’Opera, ci travolge con un’ondata di commozione, comunicandoci il sentimento di riconoscenza che ha percorso tutta la sua esistenza. “La Chiesa lo farà santo quando vorrà – dice – ma per noi è già santo”.

L’Opera Marella che siamo venuti a visitare ci accoglie con l’immediatezza e la semplicità dei suoi ospiti e ci manifesta un’immagine di carità diretta, come un padre con i i figli, attraverso il metodo della libertà con la quale Cristo ci ha liberati – come dice la scritta sul frontone dell’edificio, ripresa da san Paolo - e della carità con la quale Cristo ama ciascuno personalmente. Le foto che spuntano qua e là nei vari ambienti dell’Opera a San Lazzaro di Savena nei pressi di Bologna, mostrano il volto anziano del Padre avvolto dalla lunga barba e illuminato da uno sguardo di bontà. Padre Marella appare spesso circondato da una schiera di bimbetti che lo guardano attenti o mentre parla con qualche giovanotto cresciutogli accanto, o con  qualche signore venuto a visitarlo. Padre Marella non ha avuto propriamente un successore al quale consegnare la sua Opera, che è stata presa in carico dai padri francescani ed è cresciuta con la collaborazione di alcuni suoi figli. Seguendo l’evoluzione del tempo, l’Opera Marella, dislocata in vari siti, accoglie ora poveri, emarginati, stranieri. Mentre ci servono a tavola o si dialoga insieme, vediamo brillare sui volti la stessa riconoscenza del nostro amico Romano.

Foto: 'abbiamo rotto l'uovo di Pasqua' regalato ai ragazzi in visita all'Opera Marella

SANTA MESSA di Domenica di Pasqua, 1° aprile 2018

Piazza San Pietro

Dopo l’ascolto della Parola di Dio, di questo passo del Vangelo, mi vengono da dire tre cose.

Primo: l’annuncio. Lì c’è un annuncio: il Signore è risorto. Quell’annuncio che dai primi tempi dei cristiani andava di bocca in bocca; era il saluto: il Signore è risorto. E le donne, che sono andate per ungere in corpo del Signore, si sono trovate davanti ad una sorpresa. La sorpresa … Gli annunci di Dio sono sempre sorprese, perché il nostro Dio è il Dio delle sorprese. È così fin dall’inizio della storia della salvezza, dal nostro padre Abramo, Dio ti sorprende: “Ma, vai, vai, lascia, vattene dalla tua terra e va”. E Sempre c’è una sorpresa dietro l’altra. Dio non sa fare un annuncio senza sorprenderci. E la sorpresa è ciò che ti commuove il cuore, che ti tocca proprio lì, dove tu non lo aspetti. Per dirlo un po’ con il linguaggio dei giovani: la sorpresa è un colpo basso; tu non te lo aspetti. E Lui va e ti commuove. Primo: l’annuncio fatto sorpresa.

Secondo: la fretta. Le donne corrono, vanno di fretta a dire: “Ma, abbiamo trovato questo!”. Le soprese di Dio ci mettono in cammino, subito, senza aspettare. E così corrono per vedere. E Pietro e Giovanni corrono. I pastori, quella notte di Natale, corrono: “Andiamo a Betlemme a vedere questo che ci hanno detto gli angeli”. E la Samaritana, corre per dire alla sua gente: “Questa è una novità: ho trovato un uomo che mi ha detto tutto quello che io ho fatto”. E la gente sapeva le cose che questa aveva fatto. E quella gente, corre, lascia quello che sta facendo, anche la casalinga lascia le patate nella pentola – le troverà bruciate -, ma l’importante è andare, correre, per vedere quella sorpresa, quell’annuncio. Anche oggi succede. Nei nostri quartieri, nei villaggi quando succede qualcosa di straordinario, la gente corre a vedere. Andare di fretta. Andrea, non ha perso tempo e di fretta è andato da Pietro a dirgli: “Abbiamo trovato il Messia”. Le sorprese, le buone notizie, si danno sempre così: di fretta. Nel Vangelo c’è uno che si prende un po’ di tempo; non vuole rischiare. Ma il Signore è buono, lo aspetta con amore, è Tommaso. “Io crederò quando vedrò le piaghe” dice. Anche il Signore ha pazienza per coloro che non vanno così di fretta.

L’annuncio-sorpresa, la risposta di fretta e il terzo che io vorrei dirvi oggi è una domanda: “E io? Ho il cuore aperto alle sorprese di Dio, sono capace di andare di fretta o sempre con quella cantilena: “Ma, domani vedrò, domani, domani?”. Cosa dice a me la sorpresa? Giovanni e Pietro sono andati di corsa al sepolcro. Di Giovanni il Vangelo ci dice: “Credette”. Anche Pietro: “Credette”, ma a suo modo, con la fede un po’ mischiata con il rimorso di aver rinnegato il Signore. L’annuncio fatto sorpresa, la corsa\andare di fretta, e la domanda: “E io, oggi, in questa Pasqua 2018, io che faccio? Tu, che fai?


IL CELLULARE E IL VANGELO

I cinesi li trovi un po’ dappertutto, e riscontri che sono bravissimi ad rammendare indumenti e ad aggiustare oggetti, come si usava una volta nei paesi, secondo l’abilità di tante brave donne e di esperti artigiani. I cinesi sono avanti anche nel risanamento dei cellulari slabbrati, feriti, annegati. Vieni accompagnato a scovare i cinesi nel cantuccio del bottegone dove si vende di tutto; un giovanotto armeggia con il computer sul tavolino ingombro di ogni confusione, e in pochi minuti ti dice la malattia del tuo aggeggio, il rimedio e il costo. Intanto, l’amichetto che gli sta accanto chiede – chissà perché – se sei sposato. “No.”. Come mai? Non ami? “Amo soprattutto Gesù”. Non capisce; non sa chi è Gesù o non capisce il senso. Dico che la vita di Gesù è raccontata nel Vangelo e allora ai due si illuminano gli occhi. Del Vangelo hanno sentito parlare e dicono: Luca… Già: Matteo, Marco, Luca, Giovanni hanno scritto la vita di Gesù. Domanda cruciale: Cristiani e cattolici sono la stessa cosa? Risposta flash: “I cattolici sono quelli che seguono il Papa, Papa Francesco”. Altro assenso dei due. L’operazione oggetto-da-aggiustare si sbriga presto e il congedo avviene con una promessa: “Torno un’altra volta e vi porto il libro del Vangelo”. Ricambiano con un sorriso. Rimango sorpreso dell’occasione offerta da un piccolo incidente al cellulare. Non tutti i cinesi saranno così curiosi, ma certo questa è una spia che si accende. Dai tempi di Francesco Saverio – il santo missionario che ricordiamo ai primi di dicembre – in India, in Giappone e alle porte della Cina, ne è passata di acqua sotto i ponti di Chioggia. Dai tempi in cui il gesuita Matteo Ricci si vestiva da mandarino e catturava l’attenzione della corte del principe con gli accenti della sapienza cristiana, sono passati secoli di distanze e di vicinanze, di martirio e di missione. Ora in Cina i nostri giovani ci vanno per lavoro, e i commercianti per vendere e comperare, e da noi i cinesi invadono piazze, negozietti e supermercati collaborando a risolverci una miriade di problemini più o meno casalinghi. Portano affari e curiosità, sorriso e mistero. Incontrano le nostre facce e i nostri usi, la nostra religione e la nostra indifferenza. Non sarà questa l’occasione in cui il cristianesimo si può presentare senza forzature, senza proselitismi, senza pretese, anche aggiustando un cellulare? Con l’evidenza del sorriso e di una vita buona. Con un Vangelo regalato, una pizza condivisa, un saluto ricambiato. Le vie del Signore sono infinite. Le puoi percorrere anche senza attraversare i mari. Forse si intercetta una domanda, una curiosità, un bisogno. Cristo è all’opera.

Dopo la Colletta Alimentare 2017

Certe cose non ci passano nemmeno per la testa. Stimi, apprezzi, proponi un gesto bello e utile, ma poi tu non arrivi a farlo. Come un predicatore dal pulpito. Capita per tante cose, e in questi giorni è capitato per la Colletta Alimentare. Mai che ti fosse venuta l’idea di parteciparvi personalmente come volontario, mettendoti all’ingresso di un supermercato come tante persone amiche e sconosciute, pettorina al petto e sorriso splendente: “Signora, è il giorno della Colletta Alimentare. Una piccola spesa per i poveri”, quindi la consegna di sacchettino giallo e volantino. Di buon mattino partecipavi al fischio di inizio, al breve raduno nella piazzetta della Chiesa, con la preghiera dell’Angelus e le ultime indicazioni operative. Nel corso della giornata, facevi un salto al supermercato senza varcarne la soglia, davi un caloroso saluto agli amici appostati all’ingresso, e consegnavi una sommetta con la raccomandazione-scusa: “Fate la spesa della Colletta al posto mio; voi sapete scegliere i prodotti!”. E via.

Quest’anno ti ritrovi a indossare la pettorina gialla e ad appostarti all’ingresso del supermercato; trovi altre persone ‘nuove’ e sai di ragazzini, suore e genitori appostati in varie località. Lieti tutti  di intercettare i volti della gente, e più lieti ancora di essere riconosciuti: semplicità e cordialità e quasi entusiasmo, qualche spiegazione, qualche rapida confidenza, come accade quando si cammina in strada; appena qualche cliente scivola via con passo veloce e viso rabbuiato.

La decisione di condividere la Colletta facendola, è spuntata da sola e si è fatta ritrovare da diverse persone come il sole al risveglio del mattino. Dev’essere maturata in una sorta di contaminazione positiva: gli amici, la gente più varia, il diffuso clima di partecipazione, l’evidenza del vantaggio che ne deriva ai poveri, il consenso esplicito della Chiesa, fino al vescovo e fino al Papa, hanno fatto diventare ‘naturale’ questo gesto.

A questo punto sorge una domanda: quanti passi occorrono per la conversione? Questa volta si trattava di un gesto piccolissimo, che comportava un passaggio minimo. E quando è in gioco un cambiamento di vita? Quanti passi, quale maturazione, quali benefici influssi, quale moto del cuore occorre? Desideriamo e invochiamo che il figlio, il marito, l’amico e l’amica, l’alunno, il collega, facciano un passo di conversione verso la fedeltà, verso la missione, verso un ravvedimento e una ripresa. Dalla conversione di Zaccheo al pentimento di Pietro, dall’uscita fuori del vizio fino al coinvolgimento in un’opera di carità, ci insegue la paziente misericordia di Dio e la sua generosa bontà. E finalmente vedi sbocciare un frutto buono e nuovo dalla pianta antica.

 

 

 

16 novembre 2017

Tanta gente in Cattedrale a Chioggia 

UNA SERA, EGLI VIENE

Non esiste cristianesimo senza qualcuno che lo viva ora, senza una mano che ce lo porga ora. Gesù entra nella nostra città, rasenta i muri delle case, scruta dalle fessure delle finestre, bussa discretamente alla nostra porta. Noi stiamo a guardare le stelle e consultiamo l'oroscopo, o più banalmente ci pieghiamo davanti alla Tv, rassegnati alle solite notizie e annoiati con i soliti programmi. Forse attendiamo che Dio ci parli dalle nuvole e compia il miracolo richiesto; saremmo anche disposti a dargli buoni suggerimenti. Intanto ci sballottiamo a domandarci dov'è e cosa fa, vagoliamo alla ricerca di nuovi guru e sperimentiamo terapie religiose per placare il bisogno e addormentare il desiderio.
Ed ecco, Egli è qui. Viene a cercarci in mezzo alla folla, chiamandoci per nome come Zaccheo salito sull'albero, che si è sentito invadere il cuore di gioia e riempirsi la casa della sua grande presenza. ...continua a leggere "In margine a un incontro in Cattedrale"

Un INVITO CHE AIUTA A SCOPRIRE TE STESSO E IL MONDO

Ho letto in anteprima il libro del dialogo dell’amico giornalista Andrea Tornielli con Don Juliàn Carròn. E’ stata un’iniezione di fiducia e di intelligenza.                        Don Carron è un maestro di vita, che segue le orme di don Luigi Giussani, aiutando tanti uomini e donne a scoprire la fede e tanti cristiani a seguire Gesù.

Vorrei invitare personalmente gli amici e tutti i parrocchiani a partecipare a un incontro eccezionale nella nostra Cattedrale. Tornielli e Carron, che  hanno presentato il libro del loro dialogo solo in due altre città d’Italia, Milano e Bologna, saranno insieme a Chioggia, in Cattedrale

Giovedì 16 novembre ore 21.

E’ un’occasione da prendere al volo. Arrivederci!

Don Angelo

 

CUSTODISCE DORMENDO

Un contenitore di legno, appena più grande che se dovesse contenere una buona bottiglia: me lo consegna con totale gratuità un amico. Districo lo spago che avvolge il legno, sfilo attentamente il leggero coperchio e mi appare davanti la statua di San Giuseppe disteso a dormire assai più profondamente che non quando s’è appisolato nella Natività di Giotto. Realizzata da un artista napoletano, è dipinta a mano. Un leggero rotolo di pergamena riporta un articolo di spiegazione, con le parole di Papa Francesco: «Vorrei anche dirvi una cosa molto personale. Io amo molto san Giuseppe, perché è un uomo forte e silenzioso. Sul mio tavolo ho un’immagine di san Giuseppe che dorme. E mentre dorme si prende cura della Chiesa! Sì! Può farlo, lo sappiamo. E quando ho un problema, una difficoltà, io scrivo un foglietto e lo metto sotto san Giuseppe, perché lo sogni! Questo gesto significa: prega per questo problema!». Come nota il giornalista Tornielli, la statua del santo dormiente si trova nello studio della Casa Santa Marta, dove Papa Bergoglio ha deciso di abitare dopo la sua elezione, in un cassettone a fianco della piccola scrivania. San Giuseppe ha ricevuto in sogno gli ordini dell'Angelo che gli comandava dapprima di accogliere Maria come sposa, insieme con il bambino che sarebbe nato, e poi di sottrarre il piccolo Gesù alla minaccia di Erode che voleva ucciderlo. Obbedì in silenzio e con decisione, senza che nessuna sua parola sia stata registrata nel Vangelo.

Ora che a San Giuseppe papa Francesco affida problemi, intenzioni, richieste di grazie, potrò anch'io reperire un posto opportuno in cui collocare la sua statua, sufficientemente riservato e personale ma non nascosto. L'esperienza della vita consegna tante situazioni che hanno bisogno di un aiuto dall'alto, attraverso un intervento silenzioso e discreto, come è accaduto nella vita del ‘padre putativo’ di Gesù. A un sacerdote vengono confidate situazioni che non si possono condividere, se non con gli Angeli e i santi, e Giuseppe silenzioso si presta ottimamente alla bisogna. Sposo di Maria e padre eletto di Gesù, Giuseppe è stato eletto a patrono della Chiesa universale, e quindi la sua competenza si estende in un ambito senza confini. Strada facendo ci rendiamo sempre più conto di non poter garantire con la nostra capacità o inventiva la soluzione dei problemi né di poter sostenere un adeguato opportuno accompagnamento delle persone. San Giuseppe custodisce dormendo, e così muove il cuore e le mani delle persone. Attendiamo in silenzio e fiducia l’adempiersi della sua azione di padre.

 

questo fatto è accaduto sul tratto di laguna davanti alla Chiesa di Ognissanti, come vedi nella testata del sito;      in laguna, di fronte alla chiesa, a sinistra dei pali si scorge il piccolo capitello sul luogo dell'affondamento

IL SOLE DI OTTOBRE

Il bel sole di ottobre illumina la giornata a mezzo del suo corso. Il bambino cammina scalzo sul pavimento di casa e poi sul selciato della strada. Non ricorda se quel giorno sia stato portato all’asilo, o forse è già rientrato per il pranzo.

A un certo punto la voce della sorella più grande e la sua mano forte lo trascinano decisamente nel buio dello scantinato, consueto luogo di rifugio nel pericolo. Il rimbombo di uno scoppio e altri vari rumori gli fanno istintivamente portare le mani agli orecchi. Poco dopo il bambino - quattro anni e poco più - esce dal buio e si meraviglia di poter camminare a piedi nudi senza punture né tagli, sul pavimento di casa cosparso di vetri rotti. Subito fuori in strada con la sorella, incontra una confusione di persone nella piazzetta della Chiesa prospiciente la laguna. La motonave Giudecca, in arrivo dalla corsa che da Chioggia approda all'isola di Pellestrina verso le tredici, giace riversa nell'acqua a metà laguna, colpita dalle bombe proprio in corrispondenza della Chiesa. Barche e barchette e uomini si rincorrono nel breve tratto d’acqua che separa la riva dal vaporetto, che spunta con le tubature innalzate, riverso a mezzo corpo in laguna. Qualche ferito viene portato da una barca alla riva; forse viene disteso in qualche modo su una carriola per essere condotto al piccolo ospedale, all'altro capo dell'isola. Più tardi anche il bambino, tra una folla di gente, giunge vicino all'ospedale, sorpreso di vedere le suore indaffarate tra la riva e l’ospedale, la gola circondata e protetta da un ampio soggolo: forse sono ferite anch'esse, e già medicate e protette dalla grande fasciatura? Di sfuggita il bambino scorge sangue e membra strappate e visceri riverse fuori pancia e malamente trattenute dalle mani del ferito. Attonito si guarda intorno.

Stamattina - 13 ottobre 2017, settantatré anni dopo - mi trovo casualmente sulla stessa piazza, proprio nell'ora in cui un piccolo assembramento di persone, insieme con rappresentanti in diverse divise militari e fasce tricolore, ricordano l'evento. Sento appena uno scampolo di discorso contro la guerra, espresso con sincera retorica, e i consueti ringraziamenti rivolti a chi ha organizzato l'evento. Quindi le 'autorità' omaggiano il cippo che in piazza ricorda l’avvenimento e, salite su un vaporetto molto più piccolo della motonave ‘Giudecca’, attraversano il breve tratto di laguna per andare a deporre la solita corona di fiori sul capitello che segnala il luogo dell'affondamento del 13 ottobre 1944, ore 13. Si calcola che morirono più di duecento persone; tra esse, un giovane prete e un diacono. E’ impossibile, sulla piazza della laguna, che il ricordo non diventi preghiera.

 

«Spegnete la tv e fate figli» disse il parroco. Boom di nascite
CASTELLO DI GODEGO ( TREVISO)  Avvenire, sabato 30 settembre 

È proprio vero che la denatalità accompagna la ripresa economica la quale sottrae tempo ed energie alla famiglia? «Nulla di più falso, almeno qui a Godego » smentisce il parroco don Gerardo Giacometti. Siamo nel profondo Nordest, in provincia di Treviso, dove, tra l’altro, il 10 per cento di immigrati si è puntualmente integrato. Ed ecco i numeri. Da gennaio a settembre di quest’anno ci sono stati ben 54 battesimi ed altri 5 sono in arrivo (40 i funerali) contro i 46 di tutto il 2016 (con 52 morti) ed i 45 del 2015 (con 56 decessi). Le nascite sono ancora più numerose, perché, ad esempio, mancano dall’elenco dei battesimi i neonati di coppie musulmane o di altre religioni.
Perché, dunque, quest’inversione di tendenza? «Cari genitori, spegnete la televisione e i cellulari e datevi da fare» ha esortato l’anno scorso il parroco dal pulpito. «Un anno dopo sto constatando che mi hanno preso alla lettera – sorride don Gerardo –. ...continua a leggere "A Godego, dove la famiglia conta"