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Un bambino guarda sua madre e scopre di essere amato. Ciascuno di noi ritrova la propria identità attraverso il rapporto con altri che intrecciano la loro vita con la nostra. Generati dall’amore di un uomo e di una donna, incontriamo familiari e parenti, amici e insegnanti e una miriade di altre persone coinvolte in vario modo con noi. Si ridesta la coscienza che abbiamo di noi stessi, si definisce la nostra identità, si determina il carattere, si risvegliano doti e attrattive. Avvertiamo una compagnia che sostiene, sperimentiamo un’appartenenza che protegge.

Il giorno in cui ci accorgiamo di essere realmente incontrati da Cristo, scoppia una festa. Siamo di Gesù attraverso la Chiesa, compagnia di persone che credono, pregano, vivono. Una realtà che ci è entrata in cuore perfino attraverso il profumo dell’incenso che ci irritava le narici e ci divertiva negli anni ‘del chierichetto’. Troviamo una casa, abitiamo una regione umana nella quale scorre l’acqua del fiume Giordano rinnovata dal sangue di Cristo, punteggiata di feste e di occasioni che toccano la nostra vita fino a coincidere con noi stessi.
Il sentimento di appartenenza e la certezza del legame con Cristo giungono a noi attraverso tante  umane precarietà e debolezze, e si ridestano ad ogni avvenimento significativo: l’entrata in seminario, quando il ragazzino viene consegnato a un cammino educativo;  l’ordinazione sacerdotale che determina in modo definitivo l’identità e il compito della persona; incontri e svolte che rilanciando la voglia di vivere e di testimoniare. E chissà quante altre circostanze ciascuno può raccontare.

I passaggi della vita, i compiti, i luoghi nei quali hai abitato, le persone che hai incontrato sono parte di una storia più grande, nella quale Cristo diventa un fatto reale. Ti ritrovi dentro la grande storia della Chiesa, iniziata da Gesù, costruita sul fondamento della sua persona, della sua vita, del suo insegnamento. Una storia che ha cambiato la vita di milioni di uomini, donando dignità, amore, ideale. Una storia fatta di opere di carità, intelligenza, arte, bellezza, esperienze; intrecciata con limiti e peccati, eppure capace di rinnovare il cuore di tanti uomini e donne e di trasformare la faccia della terra.

Questa storia ci raggiunge con la Chiesa di oggi, il Papa di oggi, il Vescovo della diocesi, i sacerdoti, gli altri cristiani, le vicende, le fatiche, le gioie, le proposte, i contrasti, le possibilità.

Ti ritrovi in una splendida cattedrale, vivi in una comunità che cammina e che offre ospitalità a iniziative di bellezza e stupore. Ora un vescovo della Chiesa di Dio, Adriano, viene a incontrare la comunità in cui vivi e lavori, e porta con sé tutto il cammino che ci precede e la grazia che ci accompagna.

 

Oggi, Mercoledì delle Ceneri, inizia la Quaresima, strada verso la Pasqua di Gesù. Come Lui, iniziamo con il digiuno e la preghiera. Oggi vengono poste le ceneri sul capo.

In Cattedrale a Chioggia, alle ore 17 Celebrazione con i ragazzi e i genitori.              Alle ore 18 celebrazione della Messa con le Ceneri, con il Vescovo.

BUONA QUARESIMA!!

 

Ciao! Papa Francesco invita a pregare e ad adorare. Domani, venerdi, ci riuniamo per pregare e adorare. Prendiamo l’occasione che viene dalla proposta dell’incontro vicariale di preghiera per le vocazioni, in particolare quelle al sacerdozio, che si svolgerà nella Chiesa di Borgo S.Giovanni alle ore 21. Invitiamo giovani e adulti. Chi ha bisogno di un passaggio, si trovi alle ore 20,50 vicino al campanile del Duomo. Naturalmente, questa proposta sostituisce per questa settimana l’incontro del Vangelo. Ciao!! Don Angelo

PS:

Un’altra occasione, di tipo diverso ma utile, è questa: stasera, giovedì, inizio in Seminario un breve corso su Dio-Trinità. Viene incontro a chi vuole credere e capire, per essere aiutato a vivere. Si può partecipare liberamente come uditori. Inizia alle 20,30 in Seminario, entrata dalla Calle della Caritas. E’ bello!!!

IL NATALE CHE NON PASSA

Il Natale non passa mai. Si spengono le luminarie e si torna dalle vacanze sulla neve o dai giri nelle città d’arte. Si disfano i presepi e si piegano gli alberi luccicanti, si ripongono i cuscini stellati e i verdi festoni in grandi scatole che verranno buone per i prossimi anni. Il Natale non si disfa. Rimane attaccato alla pelle e al cuore come un avvenimento che accade. Non è vero che l’atmosfera del Natale o il consumismo che lo invade distruggono il Natale. Non è vero che la frequentazione ai supermercati svilisce le liturgie delle chiese. Il Natale pervade la cultura, attraversa la dissipazione, imbeve le nostre dissacrazioni e le nostre imprecazioni. Neppure l’ignoranza religiosa, dilatata come i continenti di plastica che galleggiano nell’oceano e sprofondano negli abissi, annienta il Natale. Neppure la sostituzione del nome di Gesù con Perù – come inventa qualche insipida insegnante -  riesce a far morire il Natale.

Non solo perché il calendario continua a segnalare come vacanza il tempo natalizio. Il Natale permane anche quando l’annuncio evangelico che risuona nelle liturgie viene snobbato da schiere di ex-cristiani, e la soglia delle chiese viene varcata solo per una frettolosa visita turistica. Permane nel senso della vita, quando aspettiamo un bambino e quando lo vediamo nascere. Permane quando partecipiamo ai funerali di un parente o di un amico, e gli auguriamo che non sia tutto finito. Permane nella coscienza dei nostri peccati, nel disagio che ferisce il cuore quando, sentendoci disprezzati e forse odiati, cediamo alla tentazione di rispondere con la stessa moneta. Con il Natale succede una cosa strana: ci ritroviamo come persone amate pur non meritandolo. Il Natale cambia la nostra idea di Dio, che torniamo a guardare come Bambino. Il Natale sfida la nostra libertà; cambia la nostra idea della vita e della morte, della salute e della malattia, del bene e del male. Se i Natali che abbiamo vissuto non ci hanno fatto diventare più buoni, ce ne hanno almeno attizzato il desiderio. La nostra infanzia e la nostra giovinezza rimangono piene di memorie natalizie: presepi e musica e giri per strade e chiese. Il Natale non passa mai perché rinasce negli occhi dei bambini, negli auguri degli amici, nelle feste con i parenti. Il Natale sboccia nel desiderio di vita, nella ricerca della felicità, nella speranza di un mondo nuovo. Il Natale permane nel tabernacolo delle Chiese, nella celebrazione delle Messe, nei sacramenti della vita, nella comunità che ci invita, nel Salvatore che continuiamo ad aspettare e che ‘forse si può incontrare davvero’, come dice la canzone di un amico prete. Abbiamo una "stella"  da seguire, un cammino da fare. Non possiamo più vivere senza Natale.

Adesso la legge dello Stato ci consiglia come morire, e ci lascia soli a decidere. Adesso la medicina e i medici e infermieri, che sono nati per guarire e per salvare, sono autorizzati a sospendere anche alimentazione e idratazione al paziente in fin di vita.
Tutto per la libertà.
Ma se la medicina ha come programma la morte, che medicina è?                            Altro che vicinanza e tenerezza per i malati!
In Svizzera, dove si va a morire, i luoghi del suicidio assistito non sono ospedali o cliniche, ma residenze a pagamento per i morituri….

Che cos'è questa ubriacatura di morte mentre attendiamo la VITA??

 

Avvento: un tempo dell’anno, ma anche una stagione permanente della vita. L’Avvento è il primo raggio del sole che spunta sulla storia dell’uomo. Lo scorge chi apre almeno una fessura del cuore.
L’Avvento ci richiama ad accogliere con nuova attenzione e desiderio l’annuncio:
“Il Signore viene”. Dobbiamo scrollarci di dosso le attese inutili, che non rendono felice nessuno. Alle prime luci dell’Avvento guardiamo con l’occhio della fede, il cuore della carità, lo slancio della speranza.
Fede: attendiamo Gesù ogni giorno con un gesto di preghiera: l’Angelus all’inizio della giornata o a fine mattinata e alla sera; un gesto settimanale di ascolto della Parola di Dio e di preghiera.
Speranza: si riaccende uno sguardo di fiducia sulle persone e sui fatti che accadono, educando all’atten-zione verso chi è vicino e verso chi incontriamo.
Carità: dedichiamo tempo a chi è nel bisogno. Attenzione alle occasioni indicate dalla liturgia della Chiesa e dalla comunità, e alle opportunità offerte dalle circostanze.

da LA TRAVERSATA, pag 12-13 (Angelo Busetto, Edizioni itaca)

 

Lettere. Il mondo lo cambiano madri e padri, non le campagne contro la violenza
Le nostre voci di Marina Corradi - Avvenire 29.11.2017

Caro Avvenire,
desidero condividere alcuni pensieri che mi si sono chiariti in questi ultimi giorni. Non riesco a immaginare come l’esaltazione del dramma della violenza sulle donne - di cui siamo spettatori - possa contribuire a frenare il fenomeno. Mi pare che si tramuti in una sorta di propaganda del male, e provochi un ampliamento di sospetto sull’uomo, su ogni uomo, indagato come possibile assassino. Un sospetto che logora ulteriormente l’immagine della famiglia e la sua positiva prospettiva. Se le cose stanno così, se il mestiere degli uomini si riduce a essere quello di molestare le donne, con l’ulteriore insistita conferma degli ultimi casi dal mondo dello spettacolo e da quello politico-economico, se la famiglia è il luogo dove si finisce violati o uccisi, allora proprio la famiglia è da evitare o addirittura da abolire. In secondo luogo, questo can can dal mondo dello spettacolo sulla violazione delle donne odora di ipocrisia. Dappertutto si sbandiera una sbracata libertà per uomini e donne in ogni condizione della vita, si inaridisce la fonte dell’amore banalizzando il sesso e l’amore, deprivati di ogni stabilità e svuotati di tenerezza e umanità, e poi si pretende che non emergano odio e vendetta, rabbia e sfogo, passione e violenza. In una società senza ideali e prospettive anche il rapporto con l’altro e con l’altra viene ridotto e malmenato. Meglio dunque cambiare prospettiva, ricominciando dall’educazione e dalla testimonianza del bene.
Don Angelo Busetto, Chioggia

Caro don Angelo,
l’onda mediatica di cui lei parla mi pare in realtà composta da due fenomeni distinti. Il primo è l’alto numero in Italia di omicidi di donne da parte di mariti o fidanzati: secondo i dati raccolti nel recente rapporto Eures, pubblicato pochi giorni fa, sono stati 142 nel 2015, 150 nel 2016 e 117 nei primi dieci mesi di questo 2017. Un numero negli ultimi anni tragicamente costante quindi. È un fatto assurdo, e forse dovrebbe stupire che solo recentemente i media abbiamo preso a parlarne con grande rilevanza. Troppa rilevanza, dice lei, che non giova se non a gettare una luce drammatica sui rapporti familiari, quasi che la violenza in casa fosse la normalità. D’altronde, come tacere di fronte a queste morti, maturate in case come tante altre, a questi omicidi attuati da un uomo che diceva di amare quella donna?
Le cronache raccontano che quasi sempre dietro alla esplosione di violenza c’è un no della donna, un abbandono, un non voler continuare in un rapporto di maltrattamenti ripetuti. È davanti a quel "no" che alcuni ex mariti e fidanzati perdono la ragione. Come se fossero abituati a considerare la propria donna "cosa" loro. Da eliminare, se tenta di andarsene. Questo senso di proprietà della compagna sembra così arcaico, eppure si mantiene, tenace, dopo decenni di liberazione sessuale, e di divorzio sempre più frequente e veloce. Ci sono uomini di trent’anni, più "padroni" dei loro padri. Credevamo di essere diventati più "liberi", e la catena di femminicidi ci dice che non è vero. Che si possa morire di botte davanti ai figli, che ti ammazzi l’uomo che amavi, che questo accada in Italia una volta ogni tre giorni, è qualcosa che non possiamo tacere. Anche se, certo, i titoli non cambiano la mentalità delle persone.
La seconda parte dell’onda mediatica di cui parliamo parte dagli Usa e dall’ambiente del cinema. Decine e decine di attrici, dopo la prima denuncia di una di loro, hanno accusato attori e produttori di averle molestate, magari molti anni prima, approfittando della loro condizione di potere. Senza alcun processo, queste denunce hanno polverizzato la reputazione dei presunti colpevoli. Personalmente mi insospettisce ogni forma di caccia alle streghe. Credo che il cercare di approfittare della bellezza delle donne sia qualcosa di squallido, ma purtroppo antico come il mondo. Particolarmente nel mondo dello spettacolo. E mi viene da chiedermi perché in tante ricordino solo ora antiche molestie, e se debba bastare la loro parola per rovinare qualcuno. Perché se gli uomini talvolta sono mascalzoni, va pure detto che le donne non sono, in quanto donne, sempre e necessariamente "buone". Il vittimismo che ammanta il rumore sul caso Weinstein dunque mi lascia perplessa: quante hanno taciuto per un tornaconto, quante parlano ora per cercare celebrità? Quante hanno detto, al tempo giusto, un brusco no, come capita di fare a tante negli uffici e nelle fabbriche?
«Si sbandiera una sbracata libertà per uomini e donne in ogni condizione della vita, si inaridisce la fonte dell’amore banalizzando il sesso e l’amore», lei scrive, e poi ci si stupisce se emergono possessività e vendetta e violenza. È vero, ci troviamo di fronte a un dramma di non-educazione dei figli, maschi e anche femmine. Perché gli uni e gli altri da molto tempo ormai vengono persuasi del primato assoluto del proprio desiderio. Educati a stare di fronte all’altro come davanti alle vetrine colme degli oggetti che possiamo comprare. (Basta salire su un tram all’ora dell’uscita da scuola per sentire branchi di ragazzine che parlano dei compagni come i maschi peggiori parlano delle femmine: "Quello lì, me lo faccio").
Talvolta ci comportiamo, odiosamente, da padroni, talvolta da oggetti, soprattutto quelle donne che usano la loro bellezza, e questo va detto, come un’altra forma di potere, parallela a quello tradizionalmente maschile. E dubito che ci cambierà una campagna mediatica. Comunque, non in meglio. Il mondo lo cambiano le madri e i padri, ogni volta che ricominciano, pazientemente, a educare. A insegnare a ogni figlio che ha un infinito valore. Che questo valore non ha un prezzo. E che ognuno, anche l’ultimo mendicante, ha pure un tale infinito valore. Pensa alla madre, al padre di quest’uomo che chiede la carità, bisogna cominciare a dire ai bambini, già da piccoli, pensa come hanno amato quel figlio. O quella figlia. Li hanno amati, come noi amiamo te. Senza questa impronta iniziale di amore e rispetto, fra noi uomini, nulla cambia davvero.