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Che cosa c’entra l’arte con l’alluvione in Emilia-Romagna

Un quadro è inutile, rispetto a pale e idropulitrici, eppure è capace di rimettere a fuoco il senso dell’esserci e dell’avere una speranza per la ricostruzione. Storia di come è nata “La Madonna del fango”

Annalisa Teggi        da TEMPI     31/05/2023

L’arte è inutile, rispetto a un’idropulitrice. Eppure è un gesto artistico che può far intravedere il baluginio di una ricostruzione in Romagna. Non si tratta di connessioni stradali ripristinate, di servizi riattivati, edifici ripuliti e agibili. È una disponibilità alla ricostruzione più profonda, intima, quella senza cui nessun altro gesto utile, operativo, concreto potrebbe davvero tenere. L’arte è l’impronta digitale dell’uomo, lo isola come creatura unica nell’ambito della Creazione. Chesterton sostenne che le pitture rupestri sono l’evidenza che non c’è evoluzione lineare dalla scimmia all’uomo. Quando un essere comincia a disegnare, cioè a riflettere e riprodurre ciò che vede, si è di fronte a una coscienza, un salto portentoso di specie.

Franco Vignazia, La Madonna del Fango

Da quel tempo primitivo nulla è cambiato, per l’uomo delle caverne la lancia era qualcosa di estremamente utile per la sopravvivenza, e però l’arte era compagna indispensabile dentro le fatiche e le gioie dei giorni per risvegliare il bisogno di capire il senso degli avvenimenti. A Forlì le idropulitrici, le pale, i badili e i tira acqua sono strumenti benedetti in queste settimane di fatica dopo il disastro dell’alluvione. Li ha usati anche il pittore Franco Vignazia che però dal fango ha tirato fuori anche un quadro che ha preso il nome di Madonna del fango e che in pochissimo tempo il popolo ha riconosciuto come un segno a cui aggrapparsi per sostenere il peso del dolore e anche della speranza in una città sconvolta.MIl percorso dalla nascita di quest’opera alla sua diffusione è l’opposto dell’autoreferenzialità che domina il panorama attuale. Non c’è un artista talentuoso da applaudire sotto i riflettori, c’è un uomo che mette a disposizione delle anime il frutto della sua maestria e quello che la sua opera genera è una comunità umana che si risveglia. Attraverso il racconto di Franco Vignazia ripercorriamo quel che sta accadendo a Forlì. Tutto comincia dal fango, dall’impatto con la realtà.

Cosa hai visto in queste settimane? Tu e la tua famiglia state bene?

Più di metà della città è stata devastata e ci sono stati anche dei morti. Non essendo stati colpiti direttamente, io e mia moglie siamo andati a dare una mano agli amici. Anche la casa in campagna di mio suocero è stata colpita. È in via Argine Montone e il nome dice tutto. Lì l’acqua ha buttato giù reti, muretti, frutteti e dentro casa ha distrutto tutto quello che ha trovato. Per noi è un luogo caro, certo, ma è il posto dove andiamo d’estate con le famiglie. Tanti hanno visto spazzata via la sola e unica casa di proprietà. La scorsa notte mi è venuto da pensare al diluvio universale, Dio poteva fare di tutto. Poteva mandare il fuoco e invece l’acqua è la vera devastazione, perché copre davvero ogni cosa. E anche certe filastrocche testimoniano che tra gli elementi naturali l’acqua è potentissima. Nella canzone di Branduardi Alla fiera dell’Est l’acqua arriva verso la fine, sovrasta il resto: «E venne l’acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò».

Nell’Apocalisse si dice che quando verranno cieli e terra nuova non ci sarà più il mare. L’acqua è davvero un elemento devastante. E in mezzo a questo diluvio di fango tu ti sei messo a dipingere? Qualcuno direbbe che nel pieno dell’emergenza fare un quadro è una cosa inutile.

A proposito di cose inutili, una delle amiche carissime che abbiamo aiutato è una signora, vedova, a cui l’alluvione ha interamente allagato la casa. L’hanno evacuata in gommone e una delle sue grandi preoccupazioni era perdere tutti i ricordi della sua vita e di suo marito. Molti arredi e oggetti domestici sono irrecuperabili perché il fango è impregnato di tutte le sostanze che c’erano nel fiume, anche velenose. Il fiume si porta dentro di tutto. In mezzo alla roba infangata della nostra amica c’era un servizio di tazzine blu col bordo bianco regalatole per le nozze. Mia moglie Rosangela si è messa a pulire quelle tazzine, le ha deposte in una cassettina avvolgendole una a una nei fogli di carta assorbente. Da un certo punto di vista salvare delle tazzine in mezzo al disastro è proprio un niente, una roba inutile. E però questo gesto è bastato per sciogliere un po’ di dolore nel cuore della nostra amica.

L’opposto della furia impersonale è una coscienza che mette a fuoco e custodisce ciò che ama. Forse è lo stesso motivo per cui hai lasciato per un po’ la pala e hai preso i pennelli in mano?

Dopo due giorni di lavoro nel fango sono tornato a casa trattenendo alcune cose. La prima riguarda il colore, proprio il colore del fango. Si può davvero dire: cinquanta sfumature di fango. C’è questa polvere gialla e grigia nell’aria, un borotalco che appanna la vista. Per terra ci sono tinte tra il verde marcio e il beige e il grigio. Di per sé è un colore anche bello in alcuni punti. Sembrava che stesse vincendo lui, sotto. Ma sopra il fango c’era una marea di giovani e meno giovani, tutti armati di pale e tira acqua, ed è questo popolo che vince il fango. Non vince rispetto al lavoro, perché la fatica sembra non aver mai fine visto che il pantano risale dopo che l’hai tolto, vince rispetto all’amore. Sopra la coperta di paura del fango ci sono tantissimi gesti di dedizione e cura. L’altro aspetto che ho trattenuto sono i segni chiari attraverso cui la Madonna, come mamma, si è manifestata. Alcune edicole mariane sparse nella campagna romagnola hanno retto in mezzo alla distruzione più totale, ad esempio ci sono vigne rovesciate insieme ai pali di cemento che le reggevano. In un ufficio completamente sommerso e con ogni sorta di documenti cartacei impregnati di fango è stata trovata una scatola di cartone asciutta contenente tre immagini della Madonna del Fuoco, la protettrice di Forlì.
E non sono solo i fatti in sé a colpire, ma come le persone hanno letto questi segni. C’è una disponibilità ad accogliere la certezza che qualcosa di più grande di noi operi nel mondo. Dopo tutto questo sono arrivato a casa e ho cominciato a disegnare.

Cosa vediamo nel quadro della Madonna del fango?

Al centro c’è la Madonna in mezzo a un mare di fango, ci sono gli strumenti da lavoro e stringe a sé con un braccio una famiglia. Attorno altre persone si avvicinano alla famiglia. In questi giorni concitati mi sono reso conto che il lume della fede che ciascuno si porta dentro si trasmette per attrazione. Le altre figure si avvicinano alla famiglia stretta a Maria perché sono attratte dal bene che vedono presente in loro. E con l’altro braccio Maria apre il suo gesto di accoglienza anche a chi è fuori dal quadro, a noi che siamo lì attorno. I colori sono quelli che ho visto per le strade: il verdolino, il marrone e l’ocra. L’unico punto luminoso è attorno al capo di Maria, quella è la luce a cui rivolgiamo gli occhi. Una volta finito il quadro ne ho mandato una foto al mio amico Fabio Turchi e nel giro di due ore lui ha composto una poesia in dialetto sulla Madonna del fango. Poi quest’immagine si è diffusa da un contatto all’altro e nel giro di pochissimo sono cominciati ad arrivare messaggi e riscontri.

Questo è il punto in cui l’essenzialità dell’arte, e non tanto la sua utilità, si mostra. Il quadro rende evidente il bene e tutto attorno comincia a muoversi, pieno di una consapevolezza che fortifica e rinfranca. Tu, come artista, sei contento che un’opera ti sfugga di mano?

È sempre così, c’è un senso di perdita. Finita un’opera so che non m’appartiene più. In questo caso però sono davvero attonito rispetto a ciò che vedo accadere. Nella gente c’è una sete e un desiderio che si accendono subito quando un segno glielo permette. L’immagine della Madonna del fango ha cominciato a girare in maniera assurda e nel diffondersi porta a galla testimonianze di fede commoventi. L’ho mandata al nostro vescovo e lui l’ha voluta alla prima messa domenicale che si è riusciti a celebrare dopo l’alluvione nella parrocchia più disastrata di Forlì. È stata proiettata anche durante una celebrazione a Lugo di Romagna. Ma è arrivata anche molto lontano. Un padre missionario della comunità di Villaregia, che adesso è in Costa d’Avorio, ha scritto una preghiera ispirato dall’immagine. Una mia ex alunna, oggi infermiera, mi ha riferito che le è arrivato un messaggio perfino dall’Afghanistan da una sua collega lavora là con una Ong. Questa collega, atea dichiarata, ha ricevuto in qualche modo l’immagine della mia Madonna e ha commentato: «Guarda quanto l’arte può aiutarci». Può aiutarci perché è capace di rimettere a fuoco il senso dell’esserci e dell’avere una speranza per la ricostruzione di una comunità.

 

L’uomo, l’opera, la fede

A centocinquant’anni dalla morte di Alessandro Manzoni, si riaccende il cammino di scoperta dell’intera sua opera e della sua figura. Per molte persone Manzoni rimane ingabbiato nella trama delle letture scolastiche; vengono ricordati alcuni brani dei Promessi Sposi, splendidi di luce o carichi di dramma, e tuttavia ormai appannati dall’abitudine. In questo contesto, tra le iniziative di risonanza nazionale ci raggiunge la bella sorpresa del numero di maggio di Luoghi dell’infinito, un orizzonte aperto sulla figura di Manzoni. Con una finzione letteraria che sembra evocare l’incipit del grande romanzo, è Manzoni in prima persona a raccontare ‘il romanzo della sua vita’ con date e fatti. Nei successivi interventi della rivista, il percorso della vita e dell’opera di Manzoni viene rievocato con interessante evidenza: l’infanzia e la giovinezza, ‘abbandonato’ dalla madre che rivedrà poi a vent’anni; la conversione al cattolicesimo, dapprima nella sua forma giansenista e poi nella serenità gioiosa e aperta di una fede autentica; il matrimonio con Enrichetta Blondel, che morirà nel drammatico Natale del 1833, la morte di alcune figlie; l’intera sua produzione letteraria, anche nel contesto dell’Italia risorgimentale. Emerge con evidenza che l’opera di Manzoni è ‘informata’ dalla fede: le ‘Osservazioni sulla morale cattolica’ e la ‘rivoluzione’ degli Inni Sacri, le varie redazioni del grande romanzo, che documentano il maturarsi del cammino cristiano, i rapporti amichevoli, in particolare con Rosmini, la vita pubblica e ‘politica’ fino alla nomina a senatore del neonato ‘Regno d’Italia’. Notevole l’indagine - nel romanzo - sul rapporto di Manzoni con la storia e con la Bibbia, come pure la sottolineatura della ‘gloria’ del cristiano a partire dal basso, cioè dall’umile condizione di Renzo e Lucia, figure di quel cristianesimo vissuto che troviamo impersonato anche in Padre Cristoforo e nel Cardinal Federigo. ‘I Promessi Sposi’: un romanzo ‘popolare’ anche nel senso della partecipazione del popolo ai grandi avvenimenti della storia, come le incursioni degli eserciti e la peste; con una ricca serie di personaggi minori, citati per nome o senza nome, che arricchiscono la vasta tavolozza dell’umano. Manzoni viene presentato nel suo rapporto di riscoperta e di rilancio della lingua italiana e nel riflesso della sua opera l’arte, il cinema, gli studi letterari e scolastici. Un vasto panorama, una bella scoperta, utile anche a chi credeva già di sapere. Si rinnova la ‘tentazione’ di riprendere – per l’ennesima volta – la lettura del romanzo più famoso della storia letteraria italiana.

I PROMESSI SPOSI, storia di un popolo cristiano

Ed ecco, già pronta sul tavolo, una nuova edizione del grande romanzo. Questo volume de ‘I Promessi Sposi’ si distingue per vari aspetti. Subito evidenti le grandi illustrazioni, in un bianconero parlante, ad opera dei fratelli Gregori, riprese dalle edizioni di Famiglia Cristiana. Poi i commenti e le note a cura di Giuliano Vigini, noto critico letterario che si è occupato a più riprese di letteratura religiosa. Oltre a fornire le necessarie spiegazioni letterarie, storiche e geografiche, le note entrano nel cuore della vicenda, svelando l’anima del romanzo, cosicché il lettore viene amabilmente trattenuto all’interno della pagina, a indugiare con lo sguardo su un paesaggio, un personaggio, sul senso degli avvenimenti, gustando le parole precise e vive con le quali Manzoni ci rende partecipi di quel che accade: come lo scorrere quieto dell’acqua di un fiume ampio e solenne. Da questo fiume si dipartono tanti affluenti che descrivono le fogge dei vestiti, riferiscono dialoghi in presa diretta, svelando un teatro di personaggi in una narrazione con il sapore dell’epopea. All’interno del racconto dei fatti e delle descrizioni di persone e cose, si delinea una trama che tutti coinvolge, segnata dal guazzabuglio delle avversità, dei contrattempi, delle intenzioni e azioni maligne, attraverso cui la Provvidenza tesse il filo che coinvolge singole persone, raggruppamenti di popolo, l’intero mondo: “La c’è la Provvidenza”. I personaggi ‘presi dal popolo’ emergono come protagonisti di una storia grande; Lucia fra tutti, fino al punto che qualcuno ha dichiarato trattarsi del ‘romanzo di Lucia’. Un romanzo ‘cristiano’, non in senso devozionistico, ma come racconto di vite sante o peccatrici, in una vicenda che in finale va a planare nella descrizione di una famiglia serena e felice. Manzoni lo dichiara e lo racconta: Dio “non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e maggiore”.

Alessandro Manzoni, I PROMESSI SPOSI, Commento di Giuliano Vigini. Illustrazioni e disegni di Nino e Silvio Gregori, San Paolo, Milano 2023, pp 888 € 25,00

Angelo Busetto

Vangelo secondo Giovanni 3,16-18

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

TRINITA’: IL MISTERO CHE CI FA VIVERE

Trinità: un Mistero che avvolge la nostra vita e l’universo. Dio Padre è all’origine del mondo e della vita di ogni persona; Dio Figlio entra nella storia, vivendo la nostra vita e portandola alla pienezza della risurrezione; Dio Spirito Santo abita nel profondo del nostro essere e ci apre ai fratelli. Un solo Dio in tre persone: la vastità e profondità del Mistero di Dio si rivela e si consegna a noi. Amati per il tempo e per l’eternità, desideriamo far conoscere ed amare questo Dio ad ogni uomo, per vivere come figli e fratelli.

Vangelo secondo Marco 11,27-33

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?».
Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi».
Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo».
E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

UN’AUTORITA’ DIVERSA

Gesù è ancora a Gerusalemme; il luogo che frequenta, come per attrazione, è il tempio Per i capi religiosi la sua presenza è scomoda, come un’invasione di campo: i ‘capi’ sono loro; con quale autorità dunque agisce Gesù? Gesù gioca in contropiede: nemmeno l’autorità del Battista dipendeva dal tempio; da chi allora? Gesù rivendica una origine non umana per l’autorità sua e del Battista. Lascia intuire che Dio sta aprendo una via diversa per incontrare gli uomini. Cosa accadrà adesso?

Vangelo secondo Marco 11,11-25

[Dopo essere stato acclamato dalla folla, Gesù] entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.
La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. Rivolto all’albero, disse: «Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!». E i suoi discepoli l’udirono.
Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto:
“La mia casa sarà chiamata
casa di preghiera per tutte le nazioni”?
Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento. Quando venne la sera, uscirono fuori dalla città.
La mattina seguente, passando, videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro si ricordò e gli disse: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato». Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: “Lèvati e gèttati nel mare”, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe».

…ABBIATE FEDE IN DIO

Senza frutto, come l’albero seccato. Senza frutto, come chi usa del tempio e della fede per interesse personale. Se l’orizzonte della vita e delle nostre azioni siamo noi stessi, chiusi nella nostra soddisfazione, la vita si spegne. Se invece ci apriamo al sole di Dio con la preghiera, la fiducia, l’abbandono, allora la vita fiorisce nella gioia del cuore e nel frutto che il Signore concede. E dunque, ‘abbiate fede in Dio’

Vangelo secondo Marco 10,46-52

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

INCONTRARE GESU’ E …VEDERCI

E’ accaduto al cieco di Gerico, Bartimeo. Aveva sentito parlare di Gesù e ora ne avverte i passi. Lo chiama gridando, superando l’impedimento delle persone vicine. Incontrare Gesù, essere da Lui toccati e guariti, apre a uno sguardo nuovo sulla vita, su se stessi e gli altri. Non solo recuperiamo la vista degli anni migliori, ma una vista nuova: su persone e avvenimenti, sul senso di quello che viviamo e attendiamo. Basta non perdere i momenti nei quali Gesù ci passa accanto.