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Vangelo secondo Giovanni 6,51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

EUCARISTIA, VITA E UNITA’

L’Eucaristia stringe in unità il popolo cristiano, le comunità, le famiglie. L’Eucaristia è il pane che sostiene la fede cristiana, è la carità che ci apre all’amore vero, la speranza che ridesta le energie. Di questo pane vivo abbiamo bisogno. Tutti i beni del mondo, i cibi, i luoghi, le bellezze, le vacanze, sono insufficienti al cuore dell’uomo e spesso ci dissipano e ci disperdono. Desideriamo ed accogliamo l’Eucaristia che ci fa diventare Corpo di Cristo insieme con i fratelli.

Vangelo secondo Marco 12,38-44

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

UN GESTO AUDACE

Sono lì presenti, sono quelli che tengono banco, gli ‘istruttori’ del popolo, ammirati da tutti, così come Gesù li descrive. Proprio da queste persone Gesù mette in guardia la folla che frequenta il tempio. E’ un’altra figura quella che Gesù pone davanti al cuore di chi lo segue: la povera vedova con le sue due monetine. Le prese di posizione di Gesù nel tempio gli tireranno addosso l’opposizione dei capi. E noi, come ci lasciamo provocare dal gesto di Gesù?

Una domanda che ci riporta all'essenziale
Intervista al Card. Angelo De Donatis, Vicario di Sua Santità Papa Francesco per la Diocesi di Roma, che presiederà la Santa Messa allo stadio Helvia Recina di Macerata il prossimo 10 giugno in occasione del 45° Pellegrinaggio.

Il Pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto, nato 45 anni fa per iniziativa di un giovane sacerdote, quest’anno ha come tema “Chi cerchi?”. Come si sente interpellato da questa domanda che Gesù Risorto pone alla Maddalena e che oggi rivolge ad ognuno di noi?

Questa domanda: ”Chi cerchi?”(Gv20,15) che Gesù rivolge alla Maddalena all’alba di Pasqua, è già presente all’inizio del Vangelo di Giovanni, quando Gesù accortosi che i discepoli di Giovanni lo seguivano, si voltò e disse: “Che cosa cercate?” (Gv1,38), e loro risposero: ”Maestro dove dimori?”(Gv 1,38). Anche nell’orto del Getzemani Gesù farà una domanda simile ai nemici che vengono a catturarlo: “Chi cercate?” (Gv 18,4).

Gesù storico e Cristo risorto è sempre lo stesso Signore di ogni uomo che cerca, e Il luogo dove abita non può conoscersi per una informazione, ma per una esperienza. E’ una domanda allora che ci riporta all’essenziale. Non ci sono illusioni, non ci sono interessi su cui appoggiarsi. C’è soltanto una croce su cui appoggiarsi. Ognuno di noi ha tanti motivi per aggrapparsi alla croce; lo vedo con chiarezza nel ministero della riconciliazione; la fedeltà faticosa nelle famiglie, la croce del lavoro così precario tante volte da renderlo disumano. E poi la malattia, la solitudine, il peccato. La Pasqua incomincia così, sorreggendoci alla croce tutti insieme. Certamente la Chiesa in comunione si fa così; stando tutti insieme sotto la croce, a mani vuote; lasciamo ad altri lanterne fiaccole e armi.

Forse, per poterlo un giorno vedere, dobbiamo imparare ogni giorno, che cosa significhi il dolore innocente e dobbiamo con delicatezza affettuosa vegliare con Gesù. Gesù è contento che noi vegliamo con Lui. Non importa se noi alcune volte siamo tra i crocifissori, altre volte siamo più coraggiosi come Giuseppe di Arimatea e Nicodemo. E’ più importante esserci. Gesù ha bisogno che noi vegliamo con Lui così semplicemente senza troppi sensi di colpa e senza troppi onori. Avevano chiesto a Gesù all’inizio del vangelo di Giovanni, dove abitasse, e Lui fa esperienza della morte di un grande amico come Lazzaro, e decide di abitare proprio lì, nel nostro dolore. E lì siamo veramente tutti fratelli.

Il Papa in maniera accorata, più volte in questo ultimo anno, ci ha invitato a pregare per la pace, a domandare la pace. Mons. Luigi Giussani, nel 1998 in piazza S. Pietro davanti a Papa Giovanni Paolo II, ribadiva che “l’esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella mendicanza. Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo”. Qual è il senso profondo di questo invito a domandare la pace di Papa Francesco?

Il senso profondo a cui ci invita papa Francesco si esprime nel fatto che la pace è diventata una realtà sempre possibile, da quando nella notte di Natale la storia ha cambiato direzione e gli angeli hanno cantato il Gloria; Dio verso l'uomo amato, il cielo verso la terra, dal Tempio a un campo di pastori. La pace inizia dai perdenti, dai mendicanti, da Dio che ha spogliato se stesso, assumendo la nostra natura, e dai pastori, i reietti di ogni tempo. L’impero romano controllava il mondo con la spada di Cesare; certamente anche con il Diritto romano, ma fondamentalmente con la spada. Ecco tra la spada e il diritto, non sempre nemici, anzi spesso alleati, nasce un bambino. Un bambino supera il Diritto, e rende inefficace la spada. La parola «pace» quando non viene dalla spada, ma quando viene detta nella capanna di Betlemme, non è retorica politica, ma è realtà. La pace poi come ci raccontano i vangeli del tempo di Pasqua è un dono del Risorto; spesso come i discepoli anche noi siamo chiusi in casa per paura del tempo presente. Gesù però viene lo stesso; irrompe dove c’è chiusura, diffidenza, disperazione: “Pace a voi”. Non è una promessa ma un dono. Non è una fatica da compiere ma una Grazia da accogliere che ti cambia dentro, ti ribalta la pietra del cuore. Ancora oggi Gesù risorto con il Suo Spirito continua a ribaltare le pietre; dopo, solo dopo, sono efficaci le diplomazie e le trattative.

I giovani sono attratti da proposte esigenti e ricche di bellezza come il camminare insieme nella notte con uno scopo e desiderano trovare un luogo dove la domanda di senso può essere accolta. Che responsabilità chiede questo alla Chiesa di oggi?

Ogni volta che mi capita di vedere da vicino i giovani, nelle parrocchie, nelle piazze, nelle metropolitane affollate, davanti alle scuole sento forte un nuovo slancio verso la vita. Guardo e basta. Alcune volte prego. Assaporo con tenerezza la vita dei giovani, vite a volte disilluse, piene di voglia di vivere ma faticose. Hanno bisogno dell’albero del Vangelo per ristorarsi alla sua ombra; hanno bisogno di una Chiesa che annuncia loro la Parola così come possono intendere, senza chiedere certificati di idoneità. Quando ci accorgiamo che come testimoni del Regno non siamo accoglienti e non diamo ristoro, dobbiamo avere il coraggio di chiederci che cosa abbiamo seminato e che albero stiamo facendo crescere. Il cammino sinodale è una opportunità da non sprecare anche in questo senso.

È dal seme della spiritualità e dell’interiorità che germogliano vite belle. La Chiesa custodisce questi semi, e il Signore ci manda a fecondare il Suo campo. Senza i piccoli semi della Parola di Dio, si fa fatica, non solo nella adolescenza, ma anche negli anni della università, nel lavoro, nel matrimonio e come genitori, anche nella vita consacrata. Si rischia di vivere una vocazione spesso senza più radici autentiche, più facilmente preda della ricerca del potere, dell’egoismo, della mondanità e del clericalismo, vivendo un laicato, oppure un celibato e un ministero sacerdotale non come dono della Grazia, ma come un vincolo senza felicità, senza amore e senza gioia.  Non dobbiamo però aver paura della nostra debolezza, e a volte anche impotenza, perché nel momento in cui facciamo esperienza di tutto questo, si manifesta la potenza di Dio che non ci lascia soli, e fa germogliare e crescere il seme.

Quando potremo gustare frutti maturi?

La risposta più semplice e più vera è, ogni giorno. Ci vengono offerti in tanti modi diversi, dalle persone che incontriamo; per gustarli però bisogna fare un lavoro di rinuncia, eliminare tanti preconcetti, buttare via tanta zavorra, per restare quasi a mani vuote, cioè libere per accogliere il dono.  Gesù ce lo ha detto chiaramente: «Non portate borsa né sacca né sandali» (Lc 10, 4). Non lasciamoci mai condizionare dai mezzi che abbiamo in mano, non diventiamo gruppo di pressione, o gruppo di potere; andiamo prima di tutto con la forza della fede, incontro e insieme ai giovani in particolare, ragazzi e ragazze che attendono una Parola di Speranza, nel mondo e nella Chiesa, non più collaboratori ma corresponsabili.

 

Vangelo secondo Marco 12,35-37

In quel tempo, insegnando nel tempio, Gesù diceva: «Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide? Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito Santo:
“Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi”.
Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?».
E la folla numerosa lo ascoltava volentieri.

GESU’, LA NOVITA’

Ancora a Gerusalemme, insegnando nel tempio, Gesù fa un passo per farsi identificare come Messia e Signore. Il Messia non è solo figlio, cioè discendente, di Davide. Cristo-Messia è ‘Signore’ e questo conduce a identificarlo con Dio. La folla lo ascolta ‘volentieri’ stupìta per la novità dell’insegnamento. Costui parla un linguaggio diverso, che fa supporre un’altra origine e svela un’altra sapienza. Ogni giorno anche noi, come la folla, siamo posti di fronte alla novità di Gesù.

Vangelo secondo Marco 12,28-34

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio».
E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

IL CUORE DELLA MORALE

A Gerusalemme, nei pressi del tempio, Gesù viene ripetutamente incalzato dai rappresentanti della cultura e della religione. Questa volta si apre un dialogo che giunge al cuore della morale: l’amore di Dio e del prossimo. Gesù avrà modo, nel suo insegnamento e nella sua vita, di mostrare che l’amore di Dio si realizza nel dono di se stessi, e l’amore del prossimo non si limita ai vicini. Così Gesù non abolisce i comandamenti, ma li porta a compimento.

Domenica 11 Giugno 2023

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

Corpus Domini, Anno A

Introduzione del Celebrante

Gesù è presente nel segno del pane e del vino per diventare il vero cibo di cui abbiamo bisogno per vivere. Domandiamo a Gesù la grazia di desiderarlo e di accoglierlo.

  1. Signore Gesù, ti ringraziamo per il dono del tuo corpo e del tuo sangue nell’Eucaristia. Donaci la grazia di desiderarti e di accoglierti ogni domenica nella Messa, come vero Pane per il nostro cammino,

Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

  1. Signore Gesù, nel dono dell’Eucaristia ci riunisci nella comunione del tuo Corpo che è la Chiesa. Fa di tutti noi un corpo solo e un’anima sola. Edifica nella pace le famiglie, le comunità, e tutto il nostro mondo,

Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

  1. Signore Gesù, Ti ringraziamo per il ministero dei sacerdoti che edificano il popolo cristiano nell’Eucaristia. Rendili santi e rinnova il dono della tua chiamata alla vita sacerdotale e religiosa,

Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

  1. Signore Gesù, sostieni con il cibo dell’Eucaristia i nostri fratelli perseguitati. (Con l’intercessione dei Santi Felice e Fortunato) Ti affidiamo i cristiani che sono impediti di partecipare alla celebrazione eucaristica,

Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

Conclusione del celebrante

Ci stringiamo attorno a te, Signore Gesù, come gli apostoli nell’ultima Cena.  La celebrazione eucaristica, celebrata nelle nostre comunità, diventi il punto centrale della nostra vita cristiana. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

EUCARISTIA, VITA E UNITA’

L’Eucaristia è il vincolo che stringe in unità il popolo cristiano, le nostre comunità, le nostre famiglie. L’Eucaristia è il pane di vita che sostiene la fede cristiana, la carità che ci apre all’amore vero, la speranza che ridesta le energie, Di questo pane vivo abbiamo bisogno. Tutti i beni del mondo, i cibi, i luoghi, le bellezze, le vacanze, sono insufficienti al cuore dell’uomo e spesso ci dissipano e ci disperdono. Desideriamo ed accogliamo l’Eucaristia che ci fa diventare Corpo di Cristo insieme con i nostri fratelli.

 

 

 Vangelo secondo Marco 12,18-27

In quel tempo, vennero da Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e lo interrogavano dicendo: «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza. Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo egualmente, e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”? Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore».

IL PARADISO E’ DI PIU’

Ancora a Gerusalemme. Gli oppositori di Gesù sembrano quasi mettersi in fila per andare a fare obiezioni a Gesù. Qui pensano gli tendono un tranello raccontando la favoletta della donna dei sette mariti. Gesù supera con un balzo l’asticella del loro trabocchetto e lancia lo sguardo sul Paradiso, nel quale esplode la pienezza della vita del Dio vivente, che accogli e supera anche la bellezza e l’intensità dei rapporti umani. Un ‘mistero’ che sperimenteremo alla fine.

“La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in relazione per amare e viviamo per essere amati. Usando un’analogia suggerita dalla biologia, diremmo che l’essere umano porta nel proprio “genoma” la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore”.

(Benedetto XVI, dall’Angelus del 7 Giugno 2009, solennità della Santissima Trinità)

Vangelo secondo Marco 12,13-17

In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso.
Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?».
Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono.
Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
E rimasero ammirati di lui.

DIO E CESARE

Ancora a Gerusalemme, nei pressi del tempio. Vengono mandati in avanscoperta (da chi, se non dai responsabili del tempio?) farisei ed erodiani, questi ultimi certamente compromessi con il potere romano. Pagare il tributo a Cesare significa riconoscerlo come capo. Gesù è netto e preciso: le monete portano l’impronta di Cesare, quindi gli appartengono. A Dio, cosa appartiene? Tutto. Cesare va riconosciuto fin quando non si sostituisce a Dio. I cristiani dei primi secoli l’hanno proclamato fino al martirio.

Vangelo secondo Marco 12,1-12

In quel tempo, Gesù si mise a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti, agli scribi e agli anziani]:
«Un uomo piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto della vigna. Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote. Mandò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo insultarono. Ne mandò un altro, e questo lo uccisero; poi molti altri: alcuni li bastonarono, altri li uccisero.
Ne aveva ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo, dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma quei contadini dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra”. Lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.
Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri. Non avete letto questa Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?».
E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. Lo lasciarono e se ne andarono.

LA PIETRA SCARTATA

L’ultimo scorcio della vita di Gesù gira attorno al tempio di Gerusalemme, incrociando capi dei sacerdoti, scribi, anziani. E’ ponendosi in faccia a loro che Gesù parla e agisce. La parabola che racconta è la sintesi della storia di Israele fino a quel momento, fino al futuro che incombe: l’uccisione del Figlio, messaggero di Dio. Gesù va anche oltre. Gli uccisori del Figlio moriranno e la ‘pietra scartata’ diventerà testata d’angolo del nuovo edificio. Un ‘combattimento’ ancora aperto nei solchi della storia.