Vai al contenuto

Il riposo che desideriamo

Consiglio agli amici preti e anche agli amici laici, di leggere questo testo del vescovo Camisasca.  Aiuta a riposare e a lavorare.... 

 

Nell’immagine: V. Van Gogh, Mezzogiorno: riposo dal lavoro, 1890

Meditazione del vescovo Massimo Camisasca

sul senso autentico del riposo

settembre 2017

L’esperienza del riposo è, paradossalmente, un’esperienza difficile da vivere in modo equilibrato e sano per la maggior parte dei preti e forse oggi per moltissimi uomini e donne.
La vita del prete, infatti, è, nei nostri tempi, assediata da molte richieste e perciò da molte attività. Sembra che non ci debba essere posto per il riposo. Anche perché i giorni tradizionalmente assegnati al riposo, quelli che oggi sono chiamati coMn termine laico week-end, e che nella tradizione cristiana sono piuttosto l’inizio della settimana, costituiscono in realtà un tempo di grande occupazione per la maggior parte dei sacerdoti.
Come uscire da questa difficoltà? Innanzitutto occorre riprendere coscienza del significato e del posto del riposo nella nostra vita. In secondo luogo occorre mettere in atto tutto ciò che serve per custodirlo e per viverlo nella sua giusta dimensione.

Il ritmo della vita

Dalla tradizione giudaica riceviamo un duplice significato del riposo identificato con lo shabbat. Uno riguarda il presente, l’altro si protende dal presente verso il futuro. Per quanto riguarda il presente, mentre per i greci e per i romani il tipo di lavoro e di riposo identificavano diverse classi sociali e gradi di libertà, per il mondo giudaico-cristiano lavoro e riposo identificano il ritmo costante ed unitario della vita, il ritmo di ogni giornata. Quel ritmo che ci è stato consegnato da Dio con l’alternarsi del giorno e della notte e che è entrato profondamente a costituire la nostra stessa struttura psicosomatica. Il nostro corpo, la nostra mente, il nostro cuore, hanno bisogno di lavoro e di riposo, in una sintesi equilibrata che realizzi quasi un penetrare dell’uno nell’altro. Non c’è lavoro vero che non sia anche, in una certa misura, riposo. Se il lavoro è solo fatica, dispendio di energie, finirà per schiacciarci. Ma è anche vero che non c’è autentico riposo che non sia anche un po’ lavoro. Il riposo non è mai, infatti, pura evasione, che, tra l’altro, è impossibile a realizzarsi, ma è propriamente ricreazione, rigenerazione del corpo e dello spirito, che può avvenire, per esempio, attraverso una passeggiata, una lettura, un tempo di silenzio, di ascolto della musica, una conversazione, insomma un tempo di lavoro vissuto in altro modo dal solito. Tutto questo può essere ricreazione nella misura in cui ci pone in modo gratuito di fronte alla realtà. Affinché questa mirabile sintesi, sempre in equilibrio precario, possa realizzarsi, dobbiamo passare attraverso il lungo esercizio di tempi di riposo stabiliti durante l’arco del nostro anno, del nostro mese, della nostra settimana, della nostra giornata.
La periodizzazione del tempo secondo le necessità del riposo è stata uno dei più grandi doni che giudaismo e cristianesimo hanno fatto alla vita dell’uomo e che, dal nostro Occidente, si è estesa poi in gran parte del mondo. Non tutti i Paesi ancora conoscono il riposo settimanale, a dimostrazione di quanto rivoluzionaria sia stata questa visione del tempo portata dai nostri padri.

La preghiera e il silenzio

Ho detto dunque che innanzitutto il rapporto lavoro-riposo riguarda il presente. Di ogni giornata, di ogni settimana, di ogni anno. Occorre che ogni giornata preveda un tempo di riposo. Questo vuol dire un tempo adeguato di riposo notturno e dei tempi di riposo diffusi attraverso la giornata.
La liturgia delle ore è già un grande aiuto in questa direzione. Essa, infatti, per poter essere adeguatamente celebrata, esige dei tempi di distacco dal lavoro. Esige, appunto, di diventare essa stessa lavoro, un riposo che è lavoro, secondo la definizione benedettina di opus Dei.
Nei limiti del possibile, la preghiera del mattino, vissuta assieme alla casa, sia il primo tempo di riposo vero che segue al riposo della notte. Se poi, oltre alla preghiera, è possibile vivere un tempo di meditazione e di silenzio, tutto il lavoro della giornata ne trarrà un beneficio immenso. Tutti gli impegni del giorno, infatti, hanno bisogno di essere preparati e non c’è niente di meglio che svolgere questa preparazione in un tempo di silenzio del mattino. A seconda delle necessità, il riposo può essere frazionato in tanti piccoli momenti di requie durante il giorno. Così come la preghiera può essere distesa lungo l’arco della giornata, allo stesso modo un piccolo ascolto di musica, la lettura di un testo letterario o di meditazione, una breve conversazione, ecc… possono costituire dei segmenti di riposo che intervallano i tempi del lavoro. È, questo, molto simile al ritmo biologico della vita, che vive di inspirazione ed espirazione, di sistole e diastole, di respiri frequenti, di purificazione del sangue, di un processo binario che regola tutta la nostra esistenza senza che quasi ce ne accorgiamo.

Il distacco

Il ritmo settimanale del riposo deve prevedere almeno una mezza giornata alla settimana interamente dedicata al distacco dalle normali occupazioni di lavoro. Deve rappresentare veramente un tempo di rigenerazione. Questa mezza giornata non sempre potrà essere realizzata, ma deve costituire un ideale sempre presente, un punto di tensione che rivela gli aspetti critici della nostra settimana.
Allo stesso modo durante il corso del mese dobbiamo sempre prevedere qualche giorno di distacco dalla routine ordinaria (l’ideale sarebbe una giornata intera di ritiro) e durante l’anno un periodo di vacanza adeguato alla rigenerazione delle forze intellettuali, fisiche e spirituali.
Naturalmente tutte queste considerazioni hanno un peso differente nelle diverse età della vita. Ci sono età dello spirito (per esempio i primi dieci anni dopo l’ordinazione sacerdotale) in cui queste indicazioni devono essere seguite il più possibile in modo letterale. In altri tempi, nella maturità e nella vecchiaia, lo spirito esercitato acquisirà una quasi naturale attenzione ai bisogni del riposo e più facilmente corrisponderà ad un ritmo equilibrato della esistenza, correggendo spesso il tiro dopo periodi troppo intensi o troppo rilassati.

Cristo è il vero riposo

Vorrei ora entrare in un nuovo ordine di considerazioni. Il riposo non riguarda solo il presente. Esso, anzi, attiene soprattutto al futuro. Lo shabbat, inteso come ottavo giorno, è il riposo che consiste nella vita stessa di Dio e con Dio che ci attende. Il riposo è allora propriamente il futuro che entra a fecondare il nostro presente, è il futuro che si rivela come la stoffa autentica del nostro tempo, come ciò che resta di quanto viviamo nel tempo.
Tocchiamo così una questione veramente importante, che non riguarda tanto la durata del riposo, ma la sua qualità. È molto difficile per noi arrenderci all’evidenza che solo Cristo può essere il vero riposo. Questa affermazione, in ultima analisi, ci ripugna perché sembra allontanarci da tante esperienze di svago sospirate o alienarci in una esperienza spiritualistica del riposo, che alla fine finisce per esasperare spesso le attese più concrete della nostra “materialistica” struttura psico-fisica.
In realtà dobbiamo entrare in una vera comprensione di Cristo come riposo. Se ogni realtà creata può condurci a Lui, è anche vero che ogni realtà creata può allontanarci da Lui. Occorre allora domandarci: chi e che cosa cerchiamo nel riposo? Che cosa cerco quando apro un libro, quando vedo un film, quando cerco un amico, quando pratico uno sport, quando desidero un’amicizia femminile? Dobbiamo allenarci a rispondere con sincerità a queste domande. Non per cancellare i desideri, ma per mutarne a poco a poco lo scopo ultimo o, meglio, per allargarne lo scopo. Dietro o dentro ogni desiderio sta una implicita e, spesso, sfuocata attesa di Cristo, che non sappiamo o non vogliamo che venga a galla perché temiamo che Cristo sia un appagamento troppo lontano dai nostri desideri.

Cantare con il cuore

Come si vede, la ricerca del riposo mette a nudo quasi sempre l’esilità della nostra esperienza di Cristo, una forma di docetismo che riduce la persona del nostro Salvatore a una presenza lontana e poco attraente per la nostra umanità. Il tempo libero apre, dunque, la decisiva e sempre nuova ricerca dell’“attrattiva Gesù”, che è il contenuto vero dell’esistenza di ogni uomo sulla terra.
Come può avvenire questa trasformazione all’interno della risposta al desiderio? Come posso cercare Cristo dentro una montagna, un lago, un libro, dentro un volto, una pagina di musica, un film?
Innanzitutto operando un discernimento: se so che quella persona, quella lettura, quel tipo di spettacolo… mi allontana da Cristo, devo scegliere un altro libro, un altro spettacolo, orientarmi su altri rapporti. Non ci deve essere equivoco nella nostra ricerca di riposo.
Poi devo imparare a considerare un dono e perciò un motivo di gioia quel tempo di sollievo. Imparare a cantare con il cuore. È il senso dell’alleluja, del giubilo del cuore di cui parlano i Padri della Chiesa, in particolare Agostino, e i poeti medievali, anche nella secolarizzazione dell’amore operata dai provenzali.

È importante, nei limiti del possibile e del conveniente, saper riposare assieme, cioè godere assieme ad altri del tempo di riposo (fare una gita assieme ad altre persone; leggere con altri, ad alta voce; vedere un film; ascoltare con altri una musica…), come è altrettanto importante riservare per sé solo alcuni momenti della giornata e della settimana.
Come vedete, e come ci consegna l’esperienza monastica e delle società di vita comune, il dono del riposo è tutt’altro che un dono secondario. Esso pone in questione tutto l’ordine della nostra esistenza. È un anticipo di quella requiem aeternam che invochiamo per i nostri morti, e che è niente altro che il riposo in Dio, la casa definitiva nella comunione con i santi, che tutti aspettiamo.