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Venerdì 18 marzo 2016 – San Cirillo di Gerusalemme, 315-387

Vangelo secondo Giovanni 10,31-42

In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».
Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: voi siete dèi”? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata –, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.

IL FASCINO DELL’IDENTITA’

Andiamo verso la partita finale: i Giudei tentano di lapidare Gesù. Gesù li spiazza con una dialettica incalzante: si dichiara figlio di Dio in quanto consacrato e mandato dal Padre, e rimanda alle opere che gli danno testimonianza. Ma quando il cuore rimane duro, la parola non basta e non passa. Gesù prende respiro e va al fiume Giordano, lì dove era stato proclamato Figlio di Dio. A sorpresa molti lo raggiungono e cedono alla sua testimonianza di parole e di opere. A vincere è il fascino della sua identità proclamata e vissuta.

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