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Vangelo secondo Matteo 5,17-19

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.
In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

LUNGO LA STRADA DEL COMPIMENTO

In vari modi Gesù realizza il ‘pieno compimento’ della Legge e dei Profeti. Egli compie la promessa e il cammino di salvezza che pervadono la storia di Israele. Inoltre Gesù allarga e approfondisce i dettami della Legge, liberandola dal formalismo esteriore e superando ogni barriera, come quando ci dice di farci noi stessi ‘prossimi’ agli altri. Per noi cristiani, il ‘compimento’ della vita e dell’attesa, sta nel guardare Gesù, seguirlo, imitarlo, domandando la sua grazia di amore e misericordia.

Onore a Berlusconi per i tanti meriti, innanzitutto la capacità di amicizia

Così monsignor Camisasca, già cappellano del Milan, ricorda «un uomo di grandi orizzonti» che ha lasciato un segno in tutti i campi in cui si è lanciato. «Anche io, come Ruini, celebrerò la Messa per lui»

Massimo Camisasca

TEMPI

13/06/2023 - 6:00

Con Silvio Berlusconi se ne va un grande protagonista della storia d’Italia, dal Dopoguerra ad oggi. Lo stanno scrivendo tutti, in queste prime ore dopo la sua morte, amici e avversari, segno di una personalità singolare in molti campi dell’agire umano. Dirò subito che non mi piacevano certe sue uscite sulle donne e certi suoi comportamenti. Non per bacchettonismo, ma perché non rendevano ragione di un uomo di grandi orizzonti, quale era lui.

Genio dell’imprenditoria e della comunicazione

Berlusconi è stato un genio dell’imprenditoria. Egli ha saputo intravedere il futuro. Lo ha fatto nel campo immobiliare, della finanza e poi nel campo della comunicazione televisiva e del giornalismo. La creazione delle televisioni nazionali, rompendo il monopolio della tv di Stato, ha inciso profondamente nella cultura del popolo italiano, portando purtroppo anche una visione edonistica della vita. Tale creazione ha imposto alla stessa Rai una mutazione del suo Dna, trasformandola in un ibrido tra intrattenimento e servizio pubblico da cui non si è più risollevata. Da un piccolo studio televisivo sono nati canali che hanno catalizzato e creato centinaia di nuovi volti dello spettacolo.

La discesa in politica e la (mancata) rivoluzione liberale

Il segno della capacità magnifica e organizzativa di Berlusconi è stata la sua discesa in politica nel 1994: in breve tempo ha creato un partito, che ho la portato ad essere più volte presidente del Consiglio e protagonista della vita politica della nazione per trent’anni. Progetti questi nella comunicazione e nella politica, di grande respiro, che hanno messo in luce le doti del mago di Arcore. L’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ride per una battuta durante un vertice dei capi di Stato dell’Unione Europea, Bruxelles, 16 giugno 2005 (foto Ansa) Non è questa l’ora dei bilanci, ma si può dire che la rivoluzione liberale auspicata non ha trovato il suo corso, per gli ostacoli politici e giudiziari che hanno cercato di fermarla, ma forse anche per un’insufficiente visione culturale e per un incontro tra mondo liberale e cattolico che non si è realizzato.

Onore a Berlusconi per la generosità e dedizione con cui ha lavorato con passione e acutezza per il paese che ha tanto amato.

Con il Milan un’epopea immortale

Io ho conosciuto di persona Silvio Berlusconi nei 4-5 anni in cui sono stato cappellano del Milan. Anche qui: quando mai si è visto un uomo che di lì a poco sarebbe entrato in politica, che aveva mostrato già le proprie doti di creatività, scendere nel mondo del calcio, comperare una delle squadre più prestigiose della storia del pallone in Italia, sostituire Liedholm con Arrigo Sacchi che quasi nessuno allora conosceva? Sarebbe nata un’epopea che poi Capello, Ancelotti e altri avrebbero reso immortale.  Berlusconi arrivava a Milanello ottimista, sorridente, capace di motivare, dispensatore di consigli, talvolta invadendo campi di competenza altrui. Ma questi altri lo perdonavano in ragione di quella simpatia di cui l’uomo di Arcore si faceva portatore. Anche io, come il cardinal Ruini, celebrerò la Messa per lui, che mi ha certamente testimoniato, nei brevi anni in cui l’ho accostato, un grande amore alla vita e una grande forza di fronte alle difficoltà. Soprattutto Berlusconi mi ha insegnato a mantenere nell’orizzonte dell’amicizia anche gli avversari. Egli ha portato in tanti ambienti una capacità di rapporto umano fino ad allora inusuale e forse sconosciuta.

Introduzione del celebrante
Gesù ci convoca in questa assemblea eucaristica, una piccola ‘folla’ di cristiani. Consapevoli del nostro bisogno, ci rivolgiamo a Lui con fiducia.

  1. Signore Gesù, ti seguiamo come la folla che tu guardavi con amore e attenzione. Ci affidiamo a te e alla tua Provvidenza, insieme con le persone della nostra comunità e in unione con tutti i popoli del mondo,

Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

  1. Signore Gesù, sostieni il popolo cristiano con la guida e la testimonianza dei nostri pastori, il papa, il vescovo, i sacerdoti e tutti coloro che collaborano alla tua opera nella Chiesa,

Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

  1. Signore Gesù, ti affidiamo la nostra estate. La tua grazia ci sostenga in tutte le iniziative della comunità e delle famiglie, per aprire lo sguardo e il cuore alla bellezza e rendere lieta e forte la vita,

Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

  1. Signore Gesù, il nostro mondo ha bisogno di te per camminare nelle vie della pace, della riconciliazione e della giustizia. Sostieni l’opera degli uomini e delle donne di buona volontà,

Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

Conclusione del celebrante
Ti ringraziamo, Signore Dio nostro, Padre, Figlio, Spirito Santo. In te confidiamo, uniti a tua Madre Maria e ai santi di questa settimana, San Luigi e San Giovanni Battista. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

LA VITA, UNA MISSIONE

In questo ‘tempo ordinario’ della liturgia, il Vangelo presenta Gesù che ci guarda e ci segue con ‘compassione’, cioè con attenzione e amore. Egli vuole raggiungere tutti e per tutti consegna la sua vita fino alla croce (2.a lettura). Gesù coinvolge nella sua missione altri ‘operai’, a partire dai dodici apostoli; il cerchio si allarga, cominciando dalle ‘pecore perdute’ più vicine, fino a raggiungere anche noi. A nostra volta, siamo chiamati a renderci responsabili gli uni degli altri, in famiglia, in comunità, nella società.

Vangelo secondo Matteo 5,13-16

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al padre vostro che è nei cieli».

SALE E LUCE

Il sale, indispensabile condimento del cibo. La luce, fattore necessario per la giornata. Gesù presenta questi paragoni per identificare la nostra identità e missione e anche il bisogno del mondo. Che se ne fa Gesù di cristiani appiattiti sulle idee comuni circa il senso della vita e omologati a vivere senza carità e speranza? Che ce ne facciamo noi di un cristianesimo che non ‘informa’ (=non dà forma) pensieri, decisioni, azioni? In pochi anni di vita, Antonio ha dato sapore e luce al mondo.

Vangelo di Matteo 5,1-12

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi».

LA FELICITA’ AL CONTRARIO

Le Beatitudini proclamate da Gesù segnano una nuova strada di felicità. Una strada segnata al contrario rispetto alla mentalità del ‘mondo’ e alle inclinazioni cattive del nostro cuore. L’esperienza mostra la verità di questa parole. Vediamo la felicità di chi sceglie la povertà per il regno dei cieli, vive nella purezza del cuore e del corpo, è mite e misericordioso, pratica la giustizia e cerca la pace. La ‘felicità’ dei perseguitati, come Felice e Fortunato, e tanti martiri della storia fino ad oggi.

Vangelo secondo Giovanni 6,51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

EUCARISTIA, VITA E UNITA’

L’Eucaristia stringe in unità il popolo cristiano, le comunità, le famiglie. L’Eucaristia è il pane che sostiene la fede cristiana, è la carità che ci apre all’amore vero, la speranza che ridesta le energie. Di questo pane vivo abbiamo bisogno. Tutti i beni del mondo, i cibi, i luoghi, le bellezze, le vacanze, sono insufficienti al cuore dell’uomo e spesso ci dissipano e ci disperdono. Desideriamo ed accogliamo l’Eucaristia che ci fa diventare Corpo di Cristo insieme con i fratelli.

Vangelo secondo Marco 12,38-44

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

UN GESTO AUDACE

Sono lì presenti, sono quelli che tengono banco, gli ‘istruttori’ del popolo, ammirati da tutti, così come Gesù li descrive. Proprio da queste persone Gesù mette in guardia la folla che frequenta il tempio. E’ un’altra figura quella che Gesù pone davanti al cuore di chi lo segue: la povera vedova con le sue due monetine. Le prese di posizione di Gesù nel tempio gli tireranno addosso l’opposizione dei capi. E noi, come ci lasciamo provocare dal gesto di Gesù?

Una domanda che ci riporta all'essenziale
Intervista al Card. Angelo De Donatis, Vicario di Sua Santità Papa Francesco per la Diocesi di Roma, che presiederà la Santa Messa allo stadio Helvia Recina di Macerata il prossimo 10 giugno in occasione del 45° Pellegrinaggio.

Il Pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto, nato 45 anni fa per iniziativa di un giovane sacerdote, quest’anno ha come tema “Chi cerchi?”. Come si sente interpellato da questa domanda che Gesù Risorto pone alla Maddalena e che oggi rivolge ad ognuno di noi?

Questa domanda: ”Chi cerchi?”(Gv20,15) che Gesù rivolge alla Maddalena all’alba di Pasqua, è già presente all’inizio del Vangelo di Giovanni, quando Gesù accortosi che i discepoli di Giovanni lo seguivano, si voltò e disse: “Che cosa cercate?” (Gv1,38), e loro risposero: ”Maestro dove dimori?”(Gv 1,38). Anche nell’orto del Getzemani Gesù farà una domanda simile ai nemici che vengono a catturarlo: “Chi cercate?” (Gv 18,4).

Gesù storico e Cristo risorto è sempre lo stesso Signore di ogni uomo che cerca, e Il luogo dove abita non può conoscersi per una informazione, ma per una esperienza. E’ una domanda allora che ci riporta all’essenziale. Non ci sono illusioni, non ci sono interessi su cui appoggiarsi. C’è soltanto una croce su cui appoggiarsi. Ognuno di noi ha tanti motivi per aggrapparsi alla croce; lo vedo con chiarezza nel ministero della riconciliazione; la fedeltà faticosa nelle famiglie, la croce del lavoro così precario tante volte da renderlo disumano. E poi la malattia, la solitudine, il peccato. La Pasqua incomincia così, sorreggendoci alla croce tutti insieme. Certamente la Chiesa in comunione si fa così; stando tutti insieme sotto la croce, a mani vuote; lasciamo ad altri lanterne fiaccole e armi.

Forse, per poterlo un giorno vedere, dobbiamo imparare ogni giorno, che cosa significhi il dolore innocente e dobbiamo con delicatezza affettuosa vegliare con Gesù. Gesù è contento che noi vegliamo con Lui. Non importa se noi alcune volte siamo tra i crocifissori, altre volte siamo più coraggiosi come Giuseppe di Arimatea e Nicodemo. E’ più importante esserci. Gesù ha bisogno che noi vegliamo con Lui così semplicemente senza troppi sensi di colpa e senza troppi onori. Avevano chiesto a Gesù all’inizio del vangelo di Giovanni, dove abitasse, e Lui fa esperienza della morte di un grande amico come Lazzaro, e decide di abitare proprio lì, nel nostro dolore. E lì siamo veramente tutti fratelli.

Il Papa in maniera accorata, più volte in questo ultimo anno, ci ha invitato a pregare per la pace, a domandare la pace. Mons. Luigi Giussani, nel 1998 in piazza S. Pietro davanti a Papa Giovanni Paolo II, ribadiva che “l’esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella mendicanza. Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo”. Qual è il senso profondo di questo invito a domandare la pace di Papa Francesco?

Il senso profondo a cui ci invita papa Francesco si esprime nel fatto che la pace è diventata una realtà sempre possibile, da quando nella notte di Natale la storia ha cambiato direzione e gli angeli hanno cantato il Gloria; Dio verso l'uomo amato, il cielo verso la terra, dal Tempio a un campo di pastori. La pace inizia dai perdenti, dai mendicanti, da Dio che ha spogliato se stesso, assumendo la nostra natura, e dai pastori, i reietti di ogni tempo. L’impero romano controllava il mondo con la spada di Cesare; certamente anche con il Diritto romano, ma fondamentalmente con la spada. Ecco tra la spada e il diritto, non sempre nemici, anzi spesso alleati, nasce un bambino. Un bambino supera il Diritto, e rende inefficace la spada. La parola «pace» quando non viene dalla spada, ma quando viene detta nella capanna di Betlemme, non è retorica politica, ma è realtà. La pace poi come ci raccontano i vangeli del tempo di Pasqua è un dono del Risorto; spesso come i discepoli anche noi siamo chiusi in casa per paura del tempo presente. Gesù però viene lo stesso; irrompe dove c’è chiusura, diffidenza, disperazione: “Pace a voi”. Non è una promessa ma un dono. Non è una fatica da compiere ma una Grazia da accogliere che ti cambia dentro, ti ribalta la pietra del cuore. Ancora oggi Gesù risorto con il Suo Spirito continua a ribaltare le pietre; dopo, solo dopo, sono efficaci le diplomazie e le trattative.

I giovani sono attratti da proposte esigenti e ricche di bellezza come il camminare insieme nella notte con uno scopo e desiderano trovare un luogo dove la domanda di senso può essere accolta. Che responsabilità chiede questo alla Chiesa di oggi?

Ogni volta che mi capita di vedere da vicino i giovani, nelle parrocchie, nelle piazze, nelle metropolitane affollate, davanti alle scuole sento forte un nuovo slancio verso la vita. Guardo e basta. Alcune volte prego. Assaporo con tenerezza la vita dei giovani, vite a volte disilluse, piene di voglia di vivere ma faticose. Hanno bisogno dell’albero del Vangelo per ristorarsi alla sua ombra; hanno bisogno di una Chiesa che annuncia loro la Parola così come possono intendere, senza chiedere certificati di idoneità. Quando ci accorgiamo che come testimoni del Regno non siamo accoglienti e non diamo ristoro, dobbiamo avere il coraggio di chiederci che cosa abbiamo seminato e che albero stiamo facendo crescere. Il cammino sinodale è una opportunità da non sprecare anche in questo senso.

È dal seme della spiritualità e dell’interiorità che germogliano vite belle. La Chiesa custodisce questi semi, e il Signore ci manda a fecondare il Suo campo. Senza i piccoli semi della Parola di Dio, si fa fatica, non solo nella adolescenza, ma anche negli anni della università, nel lavoro, nel matrimonio e come genitori, anche nella vita consacrata. Si rischia di vivere una vocazione spesso senza più radici autentiche, più facilmente preda della ricerca del potere, dell’egoismo, della mondanità e del clericalismo, vivendo un laicato, oppure un celibato e un ministero sacerdotale non come dono della Grazia, ma come un vincolo senza felicità, senza amore e senza gioia.  Non dobbiamo però aver paura della nostra debolezza, e a volte anche impotenza, perché nel momento in cui facciamo esperienza di tutto questo, si manifesta la potenza di Dio che non ci lascia soli, e fa germogliare e crescere il seme.

Quando potremo gustare frutti maturi?

La risposta più semplice e più vera è, ogni giorno. Ci vengono offerti in tanti modi diversi, dalle persone che incontriamo; per gustarli però bisogna fare un lavoro di rinuncia, eliminare tanti preconcetti, buttare via tanta zavorra, per restare quasi a mani vuote, cioè libere per accogliere il dono.  Gesù ce lo ha detto chiaramente: «Non portate borsa né sacca né sandali» (Lc 10, 4). Non lasciamoci mai condizionare dai mezzi che abbiamo in mano, non diventiamo gruppo di pressione, o gruppo di potere; andiamo prima di tutto con la forza della fede, incontro e insieme ai giovani in particolare, ragazzi e ragazze che attendono una Parola di Speranza, nel mondo e nella Chiesa, non più collaboratori ma corresponsabili.

 

Vangelo secondo Marco 12,35-37

In quel tempo, insegnando nel tempio, Gesù diceva: «Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide? Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito Santo:
“Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi”.
Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?».
E la folla numerosa lo ascoltava volentieri.

GESU’, LA NOVITA’

Ancora a Gerusalemme, insegnando nel tempio, Gesù fa un passo per farsi identificare come Messia e Signore. Il Messia non è solo figlio, cioè discendente, di Davide. Cristo-Messia è ‘Signore’ e questo conduce a identificarlo con Dio. La folla lo ascolta ‘volentieri’ stupìta per la novità dell’insegnamento. Costui parla un linguaggio diverso, che fa supporre un’altra origine e svela un’altra sapienza. Ogni giorno anche noi, come la folla, siamo posti di fronte alla novità di Gesù.