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Oggi, Vigilia di Pentecoste, in Cattedrale a Chioggia si svolgerà la Grande VEGLIA DI PENTECOSTE alle ore 21, presieduta dal Vescovo. Nel corso della Veglia ascolteremo anche la testimonianza su Piergiorgio Frassati, a cura dei ‘Tipi Loschi’ di San Benedetto del Tronto. Una cosa bella e buona per la nostra fede cristiana e la nostra comunità.

Sabato 19 maggio 2018 San Celestino V, eremita e papa, 1215-1296

Vangelo secondo Giovanni 21,20-25

In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».
Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

TU SEGUIMI

"Tu seguimi" sono le ultime parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni. Sono rivolte non solo al discepolo amato, ma a tutti i discepoli che verranno. In questa vigilia di Pentecoste, ci domandiamo come avviene la nostra sequela di Gesù. Egli ci manda il suo Santo Spirito, che rende presente Gesù nella Chiesa e ci sospinge alla sua sequela. Non siamo orfani di Cristo e non viviamo da solitari. Nelle nostre mani il Vangelo, nei nostri occhi le opere della Chiesa, nel nostro cuore lo stesso Gesù.

Stasera Vangelo e Rosario in Cattedrale ore 20,45

 

Vangelo secondo Giovanni 21,15-19

In quel tempo, [quando si fu manifestato ai discepoli ed] essi ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli».
Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore».
Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse “Mi vuoi bene?”, e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi».
Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

PASSAGGIO DI AMICIZIA

Questo è l’ultimo addio di Gesù agli apostoli, e a Pietro in particolare. Un addio, una consegna e un invito: “Seguimi”. Pietro continuerà ad amare e a seguire Gesù, testimoniandolo sulla piazza di Gerusalemme e sulle piazze del mondo, nelle case e nelle prigioni, morendo crocifisso a Roma come Gesù. Nel ‘passaggio di amicizia’ da Gesù a Pietro, la Chiesa viene lanciata nel mondo. L’unità di Gesù con i discepoli, apostoli e missionari, coinvolge anche noi, fino alla fine del mondo.

COME LE RADICI DELL’ALBERO

Nel giro a Bologna con un gruppo di famiglie, la proposta di andare a visitare il monastero è una sorpresa, sbucata quando è svanita l’idea di salire al santuario della Madonna di San Luca dopo la visita all’Opera Marella, per la coincidenza del ‘ritorno a casa’ dell’icona della Madonna, che era stata portata in città nella settimana precedente.
In questo mese di maggio Maria ci ha fatto incrociare la sua immagine nel volto di persone vive in un monastero di clausura; gran parte degli adulti che sono con noi non hanno mai messo piede in un luogo così; per i bambini, la novità è totale. Veniamo accolti nella chiesa del monastero, e ci disponiamo accanto alla grata, sulla quale si affacciano due giovani monache. Suor Veronica si chiamava prima Valeria e qualcuno della nostra comitiva la conosce dal tempo della sua giovinezza nella nostra città. Suor Teresa Francesca viene dal sud. Per primi, sono i bimbi a domandare alle due monache come e perché hanno pensato a entrare in monastero e come fanno a vivere al chiuso. I volti lieti delle due non mostrano alcun impaccio. Non descrivono appena l’andamento della casa e la struttura della comunità, ma vibrano di un moto di libertà e di un accento di amore. Raccontano della famiglia, della parrocchia, dell’università, degli amici che le guardavano e delle persone che le hanno accompagnate nei passaggi di una laboriosa e vivace decisione. In un intreccio di circostanze che sembrano rincorrersi a caso – fatto di incontri, attese, prove, malattie dei familiari, lavoro, spostamenti da un luogo all’altro – si dipana il filo che conduce ciascuna delle due a riconoscere questo luogo come ‘casa propria’, dove le attende lo sposo amato e dove la vita diventa preghiera, si sviluppa in carità e si allarga al mondo. Anche i parenti, con discrezione e dedizione, si inseriscono nella vita del monastero, fino al punto che l’anziana mamma di Suor Francesca ne è diventata ospite permanente, i fratelli di Suor Veronica diventano familiari con le monache, e persone di varia provenienza domandano momenti di condivisione nella preghiera e nel silenzio. Bambini e adulti seguiamo con attenzione i volti e le parole delle due monache. Scopriamo un bosco nuovo nel grande continente della Chiesa, fino a scorgere le radici degli alberi sui quali fiorisce la Chiesa, nella carità e nella missione. L’opera di Dio raccoglie vite diverse, componendo carità e preghiera, contemplazione e azione. La comunione fermentata dalla presenza di Dio, unisce persone diverse e sconosciute; dal seme della grazia vediamo germogliare il frutto della letizia.

I VOLTI DELLA RICONOSCENZA

Per quanto tempo permane un sentimento di riconoscenza? L’uomo che abbiamo di fronte, ben attestato sugli ottant’anni, parla con voce convinta e commossa. Figlio di ragazza madre, morta quando lui aveva 5 anni, perché la penicillina non spettava ai poveri, vagò per un’intera estate sulle sponde del fiume, insieme con altri ragazzi. Non veniva accolto dai collegi, perché, “chi pagava la retta?”. Lo accolse Padre Marella, che non badava alle rette perché andava a raccoglierle lui stesso porgendo il cappello a un angolo di strada di Bologna, all’uscita di teatri e cinema. Romano Verardi racconta la sua storia davanti a un gruppo di famiglie, nella chiesetta in cui Padre Marella, morto nel 1969 è sepolto. Padre Olinto Marella, originario dell’isola di Pellestrina, costruì questa chiesa a forma ottagonale, sul modello del tempio della Madonna del’Apparizione nella sua isola. Aveva raggiunto Bologna dopo un lungo giro per i licei d’Italia, dove insegnava filosofia. A Bologna cominciò ad accogliere i ragazzi sperduti, rendendoli responsabili della struttura che li ospitava e collaboratori della educazione che ricevano. Ricordando chi ha fatto da padre a lui e ad altri ottomila ragazzi, il signor Romano, già imprenditore e ora presidente dell’Opera, ci travolge con un’ondata di commozione, comunicandoci il sentimento di riconoscenza che ha percorso tutta la sua esistenza. “La Chiesa lo farà santo quando vorrà – dice – ma per noi è già santo”.

L’Opera Marella che siamo venuti a visitare ci accoglie con l’immediatezza e la semplicità dei suoi ospiti e ci manifesta un’immagine di carità diretta, come un padre con i i figli, attraverso il metodo della libertà con la quale Cristo ci ha liberati – come dice la scritta sul frontone dell’edificio, ripresa da san Paolo - e della carità con la quale Cristo ama ciascuno personalmente. Le foto che spuntano qua e là nei vari ambienti dell’Opera a San Lazzaro di Savena nei pressi di Bologna, mostrano il volto anziano del Padre avvolto dalla lunga barba e illuminato da uno sguardo di bontà. Padre Marella appare spesso circondato da una schiera di bimbetti che lo guardano attenti o mentre parla con qualche giovanotto cresciutogli accanto, o con  qualche signore venuto a visitarlo. Padre Marella non ha avuto propriamente un successore al quale consegnare la sua Opera, che è stata presa in carico dai padri francescani ed è cresciuta con la collaborazione di alcuni suoi figli. Seguendo l’evoluzione del tempo, l’Opera Marella, dislocata in vari siti, accoglie ora poveri, emarginati, stranieri. Mentre ci servono a tavola o si dialoga insieme, vediamo brillare sui volti la stessa riconoscenza del nostro amico Romano.

Foto: 'abbiamo rotto l'uovo di Pasqua' regalato ai ragazzi in visita all'Opera Marella

Ciao, verso Pentecoste con Maria. Stasera da Campo Marconi ore 20,45  a Via Fava. 

 

Vangelo secondo Giovanni 17,20-26

In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

ANCHE PER NOI

Gesù prega anche per noi, che abbiamo creduto in Lui attraverso la testimonianza dei primi. Non è solo una fede-conoscenza, ma una fede che ci rende partecipi dell’unità di Gesù con il Padre. Il Figlio di Dio viene tra noi uomini per farci vivere della vita stessa di Dio. Nello scorrere della storia, l’unità dei discepoli con il Signore diventa il segno più evidente e più efficace perché tutti arrivino a riconoscere Gesù e partecipino dell’unità con il Padre.

In questa Novena di Pentecoste oggi preghiamo Maria con i misteri gloriosi, invocando lo Spirito Santo. Ore 20,45 a partire dalla zona Cavanis in Campo Marconi.

Vangelo secondo Giovanni 17,11-19

In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità».

LA PREGHIERA DELL’AMICIZIA

La preghiera intensa e struggente di Gesù esprime il suo attaccamento a coloro che gli sono stati affidati dal Padre. Nell’imminenza del distacco, Gesù domanda al Padre che i suoi amici rimangano nella gioia, pur vivendo in un mondo che non li accoglie. Per essi Gesù ‘consacra’ – cioè offre – se stesso, affinché non si pervertano. La preghiera di Gesù avvolge i discepoli di allora e accompagna pure noi nel cammino verso la verità del compimento della vita nell’incontro con il Padre.

Continua il Maggio mariano in questa settimana che ci conduce alla Pentecoste, invocando lo Spirito Santo. Stasera ore 20.45 ripartiamo dalla riva di Fondamenta San Francesco e andiamo in zona Cavanis. Ciao!!

Vangelo secondo Giovanni 17,1-11

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi al cielo, disse:
«Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.
Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.
Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.
Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te».

VENGO A TE

Tra l’Ascensione e la Pentecoste la liturgia ci offre le parole di Gesù agli apostoli nell’ultima Cena. Gesù si pone di fronte al Padre e di fronte ai discepoli, divenuti così profondamente amici e partecipi del suo destino. Essi sono diventati depositari del ‘nome’ del Padre e di tutto ciò che il Padre ha donato al Figlio affinché  lo comunichi al mondo. Mentre si consegna al Padre, Gesù si consegna ai suoi: in essi continuerà la sua azione tra gli uomini.

Vangelo secondo Giovanni 15,9-17

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

UN’AMICIZIA VIVA

Rileggere questo Vangelo dopo la festa dell’Ascensione fa comprendere e amare di più il compito che Gesù ci ha affidato e la grazia con la quale ci accompagna. Ci ha scelti e ci ha stretti nel suo amore perché la sua opera e la sua stessa persona possano continuare a fiorire nel mondo, attraverso un segno che ci coinvolge personalmente: il suo amore accolto e diffuso. Convocati nell’amicizia del Signore Gesù, possiamo trasmetterla attraverso la nostra stessa vita, come il tredicesimo apostolo.

Vangelo secondo Marco 16,15-20

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

DALLA TERRA AL CIELO, DAL CIELO ALLA TERRA

Rincorriamo lo scopo della vita. Non solo per quanto riguarda il 'fine vita' e le circostanze che lo accompagnano, ma anche per ciascun giorno e ciascuna ora che ci viene donata da vivere. Dove ci conducono i nostri progetti, le nostre iniziative, le nostre imprese? Verso quale mèta si proietta il compito che svolgiamo; quale felicità desideriamo?
Quello che accade a Gesù di Nazaret è sorprendente. Il suo 'fine vita' non è la croce e neppure il sepolcro e nemmeno soltanto la sua risurrezione. Salendo al cielo, Gesù non compie appena una ascensione spaziale. Egli entra nel profondo della realtà, trasforma la nostra struttura umana, avvolgendola nello stesso abbraccio del Padre che Egli riceve. Il cielo che accoglie Gesù non è più solo una realtà dell’altro mondo e dell’eternità futura, ma illumina e dona contenuto e valore a questi nostri giorni terreni, aprendoli all'infinito per il quale siamo fatti e al quale tendiamo. Fin da ora lo desideriamo e lo domandiamo e, come gli apostoli, possiamo annunciarlo ‘dappertutto’.