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Vangelo secondo Giovanni 14,21-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Gli disse Giuda, non l’Iscariòta: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?».
Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

DIMORA DI DIO

Gesù ci considera come discepoli e ci vuole amici che lo amano e lo seguono. Vuole starci vicino, non solo con la presenza nelle Chiese nel segno dell’Eucaristia, ma nella profondità del nostro essere. L’amore che Padre e Figlio hanno per noi, li conduce a ‘prendere dimora’ in noi. Padre e Figlio ci donano lo stesso Spirito Santo che li unisce nell’amore, per condurci a ricordare e a vivere tutto quello che Gesù ci ha detto e ci ha donato. 

Vangelo secondo Giovanni 13,31-35

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

LA GLORIA DEL PADRE E DEL FIGLIO

In un momento drammatico, quando Giuda esce dal cenacolo iniziando la discesa nell’abisso del tradimento, Gesù lancia un lampo di luce. In una sola frase Gesù usa cinque volte il verbo ‘glorificare’. Di quale gloria si tratta? In che cosa consiste la glorificazione che si comunicano l’un l’altro Dio Padre e il Figlio Gesù? Ricevere gloria e dare gloria, significa manifestare in modo chiaro e solenne la grandezza di una persona.
Gesù, tradito, abbandonato, percosso, crocifisso, ucciso, manifesta nel modo più pieno la sua personalità di Figlio che ama il Padre e si dona agli uomini: ”Non c’è amore più grande di chi dà la vita per le persone che ama”.
A sua volta il Padre risponde con la risurrezione all’amore del Figlio che dona la vita a Lui per i fratelli.
La gloria rivelata nel reciproco amore del Padre e del Figlio continua a manifestarsi nel tempo della storia attraverso il comandamento nuovo dell’amore che Gesù consegna ai suoi: “Amatevi come io vi ho amato”. Da questo amore tutti potranno riconoscere i discepoli del Signore.

Vangelo secondo Giovanni 14,7-14

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

GESU’, VOLTO E VITA DEL PADRE

Ecco il passaggio definitivo: “Mostraci il Padre e ci basta”. La domanda di Filippo dice che gli apostoli hanno finalmente colto il rapporto di Gesù con il Padre, fino a desiderare di vederlo personalmente. La risposta di Gesù supera ogni immaginazione: “Chi vede me vede il Padre”. In Gesù, nella sua persona, nelle sue parole e nelle sue azioni umane, il Padre ‘dice’ se stesso, dichiara la sua identità, esprime il suo amore, svolge tutta la sua opera per il bene di ogni uomo.

Vangelo secondo Giovanni 14,1-6

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».

LA DIMORA E LA VIA

Arriva il momento in cui ci accorgiamo che non basta conoscere e non basta nemmeno vedere. Occorre camminare, guardando la strada e seguendo chi ci accompagna. Gesù si mostra e si dona come strada da percorrere, come verità da guardare, come vita da ricevere in dono. In Lui la vita si è resa visibile, la via percorribile, la verità comprensibile. Gesù ci ha chiamati amici e ci ha preparato una dimora nella casa del Padre dove egli stesso abita.

Vangelo secondo Giovanni 13,16-20

[Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli, Gesù] disse loro:
«In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica.
Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma deve compiersi la Scrittura: “Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io sono.
In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».

PAROLE E GESTI

Gesù non solo insegna con le parole, ma pone dei gesti che segnano un altro percorso di vita. Sono gesti ‘travolgenti’, come donare il suo corpo e lavare i piedi come un servo, compiuti anche verso chi gli si oppone come avversario e nemico. La sorgente della sua azione è profonda, e deriva dalla sua identità divina, espressa con le parole che lo assimilano al Padre (“Io sono”) che l’ha mandato, testimone di un amore più grande e di una vita più umana.

Vangelo secondo Giovanni 12,44-50

In quel tempo, Gesù esclamò:
«Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.
Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».

GESU’: dal Padre agli uomini

Ogni giorno di più scopriamo che Gesù è radicato nel Padre, lo esprime e lo comunica con tutta la sua vita. Così pure, Gesù non si colloca all’esterno dell’uomo, ma entra nel suo intimo, scoprendo il desiderio del suo cuore e ponendovi dentro la parola che lo rivela a se stesso e lo lancia nella vita. La Parola di Gesù diventa salvezza o condanna, a seconda se si accoglie la verità che contiene o la si rifiuta.

Vangelo secondo Giovanni 15,9-17

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

AMORE E GIOIA

Una cascata di amore e di gioia si riversa sugli apostoli e su di noi da questo Vangelo. L’amore del Padre si effonde nel Figlio e l’amore del Figlio ci comunica amicizia, gioia, fiducia. Una potenza indistruttibile vibra nelle parole di Gesù e più ancora nella sua vita, interamente donata al Padre e protesa a farci sperimentare l’amore di Dio che diventa anche per noi vita e gioia. Una sovrabbondanza che ci fa non più servi ma amici di Dio.

Vangelo secondo Giovanni 10,1-10

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

IL PASTORE, LA PORTA, LA VITA

Gesù sa che abbiamo bisogno di Lui per venire salvati. Egli non solo si identifica con il pastore che conosce per nome le sue pecore e sa dove condurle, ma si identifica anche con la porta, attraverso la quale si passa per mettersi al sicuro. Non ci si salva da soli, vagolando qua e là in cerca di pascoli che non soddisfano mai. C’è una strada che conduce alla salvezza, una verità che non inganna, una vita che ci viene donata in abbondanza: è Gesù.

 Vangelo secondo Giovanni 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

 

L’UNICO PASTORE e i CANI PASTORI

 

Pecore e pastori: ancora? Il Vangelo ce ne ripropone l’immagine e la lancia in alto, fino a toccare Dio Padre. Le pecore – così come gli altri animali e tutti gli uomini della terra – appartengono al Dio che ci ha creati e ci ama, e ci vuole tenere stretti nella sua mano. Perché non ci perdessimo – come pecore lasciate in balìa di se stesse – Dio Padre ci affida al suo Figlio che è una sola cosa con lui e che si è fatto uomo perché lo potessimo vedere e seguire, percependo con le nostre orecchie una voce che ci ama e ci chiama per nome.

Abbiamo bisogno del pastore noi, uomini d’oggi, che rivendichiamo solitudine e indipendenza, proclamandoci single e autonomi, liberi e beati come il vento? Dov’è il pastore che merita di essere guardato e seguito, nel nostro mondo di capitani e padroni senza faccia, dall’identità spappolata nell’anonimato della piazza mediatica, delle imprese multinazionali, dei colossi finanziari, della invasione sessuale?

“Ma tu ti senti un pastore?” - domandava Paolo Rumiz, autore de ‘Il filo infinito’, a un monaco benedettino - “Io un pastore? – si è sentito rispondere - Il pastore è lassù. Io sono il cane pastore, quello che tiene insieme il gregge, che lo difende, che cerca le pecorelle smarrite”.