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Vangelo secondo Giovanni 15,18-21

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia.
Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato».

SIMILI A CRISTO

Gesù propone un’analogia perfetta tra l‘odio e la persecuzione che hanno insidiato Lui, e l’odio e la persecuzione che insidieranno i discepoli. Servo e padrone si corrispondono anche a questo livello, osserva Gesù con un filo di ironia. La persecuzione e l’odio subìti per Cristo diventano la corona d’alloro che segnala la vittoria della fede e dell’amore a Cristo: possiamo immedesimarci con lui fino a questo punto. Chi ci vedrà patire per Gesù e con Gesù, potrà riconoscerci come suoi amici e familiari.

Rosario e Parola di Dio in Cattedrale: una bella strada.                                                    Stasera in Cattedrale ore 20,45.

Vangelo secondo Giovanni 15,12-17

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

LA CORRENTE DELL’AMORE

Ci ha scelti perché lo amassimo e ci amassimo. Ci consegna la misura di questo amore: come ama Lui, donando la vita per gli amici. Il comandamento dell’amore sgorga come il fiume dalla sorgente che è Dio stesso, il Padre; attraverso il Figlio e i suoi amici la campagna della vita viene irrigata e si riempie di frutti. Le nostre riduzioni e i nostri tradimenti dell’amore vengono corretti e ripuliti, risanati e redenti dentro la corrente dell’amore donato da Gesù.

Stasera ore 20,45 Il Rosario parte dal Piazzale della Tombola e si avvia verso calle Padovani. Insieme si prega e si prega meglio!

Vangelo secondo Giovanni 14,6-14

In quel tempo, disse Gesù a Tommaso: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò».

LA VIA A DIO

Chi è vicino a Gesù, come gli Apostoli, può guardarlo, ascoltarlo e rivolgere a lui domande straordinarie. L’apostolo Filippo domanda: “Mostraci il Padre e ci basta”. Talmente Gesù parlava del Padre e si mostrava in comunione con Lui! La risposta di Gesù è ancora più stupefacente e diventa la sintesi dell’intera rivelazione di Dio: in Gesù, Dio Padre, che è invisibile al mondo, mostra il suo volto, la sua opera, il suo amore. Una via tracciata per tutti: si arriva a Dio passando per Gesù.

Ai bambini serve la verità non un certificato bugiardo

di Costanza Miriano

Volevo avvisare il collega che ha scritto del bambino registrato come figlio di due madri a Torino che io capisco l’entusiasmo, ma purtroppo con tutta la benevolenza possibile verso la vicenda non si può, assolutamente non si può scrivere che “due donne lo hanno partorito” all’estero. Mi dispiace, nel caso non sia mai stato in una sala parto glielo dobbiamo svelare noi: è proprio tecnicamente impossibile. Un bambino passa da un canale del parto. Uno solo. Si possono fare violazioni alla natura in laboratorio, come mettere un embrione dall’ovulo di una donna e dallo spermatozoo di un uomo nell’utero di un’altra, per quanto in Italia sia vietato. Ma proprio non si può partorire in due. Questo tanto per stare ai fatti.

Fatta la piccola precisazione tecnica, volevo dire che registrare dei bambini come figli di “due madri” o “due padri” come avvenuto recentemente a Torino e Roma, non è solamente una bugia, perché nessuno ha due madri o due padri, e c’è sempre una terza persona che viene cancellata con un clic, ma nella realtà esiste. Non è solo una violazione della legge, un monstrum amministrativo e un’azione che disprezza la più grande mobilitazione spontanea di piazza degli ultimi anni in Italia. Chi se ne fregherebbe, se fosse davvero per tutelare dei bambini. Se fosse davvero che questi bambini si sentono discriminati, ma un foglietto col timbro li facesse sentire meglio, davvero, sarei anche io per sanare questo dolore anche andando fuori legge. Il dramma è che a questi bambini, a cui è stato scientemente e programmaticamente tolto il rapporto con un genitore per una decisione arbitraria e unilaterale, la sofferenza non la toglierà mai nessuno. Non un atto amministrativo, non un foglietto in cui sta scritto “figlio di due mamme”.

Giustamente il bambino verrà protetto e la sua riservatezza tutelata, ma mi piacerebbe molto sapere come si sentirà a sedici anni, a diciotto, ma anche prima, quando starà costruendo la sua identità maschile e saprà che un uomo, che è biologicamente suo padre, esiste, deve esserci per forza, ma non ha fatto il suo dovere, e che le due donne che lui chiama mamma hanno deciso questo per lui. Sono assolutamente certa che il fatto di avere un timbro del comune non gli toglierà un briciolo di fatica. Anzi. Al contrario. Vorrà sapere che occhi ha quest’uomo, che pensa, cosa gli piace, che squadra tifa, se anche lui ogni tanto non capisce le femmine, e un po’ gli piacciono un po’ non le sopporta.

A Roma in una scuola hanno abolito la festa della mamma per non far sentire discriminato un bambino a cui due maschi hanno tolto la sua, per soddisfare il loro desiderio di paternità. Purtroppo però quel bambino non si sente discriminato perché gli altri festeggiano, ma perché loro ce l’hanno la mamma, e lui no. Il primo passo per guarire dal dolore è dire la verità. A un bambino che soffre di una mancanza bisogna dare l’aiuto necessario a farci i conti, non se ne fa niente delle bugie. Altrimenti gli si toglie il suo grande, indisponibile diritto: quello di essere arrabbiato con la sua storia, quello di avere una storia diversa dagli altri, nella quale c’è stata una frattura del corso naturale degli eventi, una scelta artificiosa che ha interrotto il corso naturale della vita, e che è stata possibile grazie a un intervento di molte persone, di medici e laboratori, e di soldi, tutte cose che alla trasmissione della vita dovrebbero essere estranee.

A questo punto le due parti, quelle favorevoli e quelle contrarie alle famiglie con due adulti dello stesso sesso, cominciano a sfoderare studi clinici di segno opposto, che dimostrano inconfutabilmente come i bambini a) stanno benissimo e sono più sereni che nelle famiglie naturali, perché quello che conta è l’amore b) sviluppano problemi psicologici legati all’identità e al bisogno di conoscere le proprie origini. Ma mentre del fatto che si possa (è possibile, non scontato) crescere equilibrati in famiglie naturali abbiamo fatto esperienza per migliaia di anni, onestà intellettuale vorrebbe che i sostenitori delle magnifiche sorti e progressive delle famiglie con un genitore accompagnato a uno dello stesso sesso ammettessero che il campo di studio di queste vicende è troppo giovane per affermare con certezza che una volta adulti questi bambini riusciranno a fare i conti con la ferita della mancanza.

Voglio cercare di essere onesta intellettualmente: credo che l’essere umano sia un congegno meraviglioso con ottime risorse autoriparative. (Dal mio punto di vista credo anche che sia sempre l’amore di Dio a colmare tutte le lacune della nostra esistenza, ma questo è un altro tema). Penso che gli umani possano trovare il modo di farcela anche in condizioni estreme. Credo però che si possano suturare solo le ferite che riconosciamo. Un certificato bugiardo, che dice a un bambino che ha due madri e nessun padre, cosa che biologicamente NON è la verità, toglie al piccolo anche il diritto a essere arrabbiato con la sua storia, se vorrà esserlo. Gli dice che è tutto normale quello che è successo, quando non lo è.

Sono sicura che i bambini che sono stati da poco registrati con “due madri” o “due padri” saranno amatissimi. Sono stati cercati, sono costati impegno, energie, anche soldi. Sono voluti e saranno seguiti, con attenzione, cura, impegno. Non possiamo sapere, onestamente, come se la caveranno. Ma come tutti i ragazzi dovranno fare a pugni con i loro genitori. Dovranno ribellarsi, odiarli a volte, criticarli e poi farci la pace. Dovranno sapere che è giusto essere arrabbiati per non poter conoscere uno dei genitori. Dovranno sapere che è loro diritto sentirsi diversi, perché lo sono. Allo stesso modo un bambino adottato vuole sapere cosa è successo – conosco ottantenni che ancora si arrovellano per capire che fine abbiano fatto i suoi veri genitori: ma per chi è adottato è diverso. I genitori hanno accolto un bambino che aveva una mancanza, non l’hanno creata artificiosamente. Un certificato che dice loro che è tutto regolare, non solo non risolve niente, ma dicendo che “va tutto bene”, che “è normale e regolare” priva queste persone del diritto di fare i conti con la loro storia. Di essere inquieti, di dire no, non ho due madri. Ho una madre, un’altra persona che mi ama, e un padre che non c’è stato, e sono molto arrabbiato per questo.

...continua a leggere "Due madri? di Costanza Miriano"

Camminiamo con il Rosario nelle serate di Maggio. Partiamo dalla Madonna del Sagraeto e concludiamo nel piazzale della Tombola. Stasera ore 20,45. Anche tu, anche la tua famiglia. Preghiamo insieme Maria per noi e per il mondo!!
Ciao! Don Angelo Busetto

Vangelo secondo Giovanni 15,1-8

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

IL FRUTTO DELLA VITE

Desideriamo essere uniti alla vite come tralci vigorosi e fecondi. Desideriamo rimanere con il Signore Gesù e nel Signore Gesù, diventando suoi familiari. Nel Vangelo, ripreso dalla scorsa domenica, Gesù insiste: solo chi è attaccato a Lui porta frutto: vita, amore, speranza, pace, e tutto il bene che attendiamo e di cui abbiamo bisogno. Tutte le cose che possiamo fare, non giungono a produrre il succo buono della vite, se non siamo uniti a Lui con la mente, il cuore, il desiderio, la volontà.

Mese di Maggio: guardiamo Giuseppe Lavoratore e cominciamo a guardare e pregare Maria….

Vangelo secondo Matteo 13,54-58

In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.

IL FALEGNAME E SUO FIGLIO

Giuseppe, un uomo che lavora. Il falegname del paese ha da fare con la gente, con gli attrezzi di lavoro e gli infissi delle case. Quest’uomo ha ospitato nella sua vita il Figlio di Dio, l'ha accompagnato a crescere e gli ha insegnato il mestiere del falegname ma anche il mestiere della vita. Per trent'anni o giù di lì, Gesù l'ha guardato e seguito, con la stessa dedizione con la quale il Figlio compie le opere del Padre Suo. Il lavoro umano, da schiavitù diventa opera divina.

Come in una cattedrale

Ogni giorno Cristo invade la nostra vita con la sua presenza e suscita l’affidamento alla sua misericordia che si è chinata su di noiRisultati immagini per cena di emmaus caravaggio brera

I volti, gli sguardi, le mani, le dita, e tutto il corpo sono protesi a guardare, travolti dalla meraviglia. “La Cena di Emmaus” di Caravaggio, con i personaggi sbigottiti per lo svelarsi di Cristo nello spezzare il pane, accoglie i convenuti nel salone mentre risuona il tripudio della Grande Messa di Mozart. Dove andiamo? Dove tendono la nostra attesa, il nostro desiderio, il nostro bisogno?  

Pellegrini dai piedi callosi e stanchi - come i due anziani dell’altro dipinto di Caravaggio che scorre sugli schermi – iniziando gli Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione ci protendiamo verso gli occhi di Maria che guardano pieni di amore e compassione. Sul grande schermo scorre una scritta: «Potessimo anche noi con la stessa intensità contemplare l’inizio del mondo della storia della misericordia e del perdono che si svela nel sì di Maria». L’immenso padiglione della Fiera di Rimini diventa una cattedrale, illuminata dai dipinti di grandi pittori che vibrano al risuonare delle musiche e si ridestano nell’incedere delle persone che riempiono i lunghi filari delle sedie, in una vigna ben ordinata.  

Come una terra avvolta dal cielo, viene ospitata la nostra umanità, sospinta in una lotta contro il male che insidia l’anima di banalità e di pigrizia, di perversità e malizia. Come una terra che abbraccia il cielo, Maria stringe a sè Gesù nella fuga in Egitto, ancora in un dipinto di Caravaggio, e posa il viso dormiente sopra il capo del bimbo.  

 

Dove andiamo dunque? Andiamo dove ci porta il nostro bisogno, come l’assetato all’acqua e l’innamorato alla sposa. Camminiamo verso Colui che ci è venuto incontro chiamandoci per nome come Abramo e Mosè; Colui che ha creato un popolo perché fosse disposto ad accoglierlo, e che lo ripaga con pretese e tradimenti. A Dio non è bastato seguire il suo popolo nel deserto e sostenerlo nella prova. Ha condiviso la nostra condizione di carne e sangue e ci dona la sua amicizia intrecciata in tutte le circostanze della vita.   

A Lui possiamo rivolgerci con cuore di bambino, sull’onda del trio Dumky di Dvorak che procede come una supplica. Veniamo accompagnati dal grande coro che esalta la lode e la domanda dell’intera assemblea e dai canti che riecheggiano tanta storia umana. Seguiamo il percorso delle parole con le quali don Carron ridesta il desiderio che Cristo ci diventi familiare. Come potremo vivere a metà, vivere senza noi stessi, fuori della nostra anima?  

Ogni giorno Cristo invade la nostra vita con la sua presenza e suscita l’affidamento - tenue come un filo d’aria - alla sua misericordia che si è chinata su di noi.

«Ecco, faccio una cosa nuova. Non ve ne accorgete?».  

 

Vangelo secondo Giovanni 14,21-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Gli disse Giuda, non l’Iscariòta: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?».
Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

DIMORA IN NOI

Gesù si manifesta a noi! E' un atto di amore, un privilegio. Si manifesta agli apostoli e poi a noi tanti anni dopo, ci ama e viene ad abitare la nostra vita insieme con il Padre e con il dono dello Spirito. Siamo sorpresi come l’altro Giuda, mentre sperimentiamo che Gesù ha costruito una storia per arrivare a noi, ci raggiunge ogni giorno con occasioni e con grazie, e dimora in noi. Che cosa ci viene richiesto? Volergli bene, con il cuore e con la vita.

Vangelo secondo Giovanni 15,1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

LA VITE E I TRALCI

La primavera che invade di foglie e fiori le campagne e i giardini, ci fa guardare, respirare, desiderare. Gesù guarda i fiori del campo, guarda le greggi che si distendono e raggruppano, guarda i filari di viti. Guarda il pastore, l’agricoltore, il vignaiolo, ne scruta il lavoro e vi intravvede la vita che cresce e matura, o che si corrompe e sfiorisce. Vede se stesso raffigurato nella vite e nella fioritura dei tralci, nei lunghi filari che percorrono la storia nata da lui. “Io sono la vite, voi i tralci”. “Rimanete in me”, dice Gesù: attaccàti alla vite, fervidi del suo umore, fecondi del suo frutto. Uniti a Gesù nella fede, nell’amore, nella decisione della volontà. Illuminati dal sole della Parola, fioriti con il succo dei sacramenti, allietati e sostenuti dalla comunione fraterna. Non maturiamo da soli, non portiamo frutto staccandoci dal tronco della Chiesa, strappati dal Corpo di Cristo: vite e tralci si appartengono reciprocamente e insieme crescono nel terreno del mondo.

Vangelo secondo Giovanni 14,7-14

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

L’IMMAGINE DEL PADRE

Nella sua vita umana, Gesù svela il mistero di Dio e lo mostra visibile. Gesù  non è solo il messaggero di Dio, ma la sua vera immagine. In Gesù scopriamo Dio Padre, che genera il Figlio nell’eternità  e lo manda nel  mondo in una reale figura di uomo perché renda visibile e operante il suo volto, il suo cuore, il suo amore. In Gesù  incontriamo Dio: Egli è il Figlio di Dio Padre, ne esprime l’immagine e ne compie le opere.