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Dal Vangelo secondo Luca 18,35-43

Mentre Gesù si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!».
Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».
Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.

Il GRIDO DEL CIECO

Il grido del cieco rimbalza fino ai nostri orecchi e diventa il grido dell’umanità bisognosa di Cristo. La nostra scienza e tutto lo sviluppo delle conoscenze e delle tecniche più raffinate non bastano a salvarci. Qualora anche – in un mondo impossibile – si arrivasse a risolvere tutti i problemi sanitari e quelli economici, ancora ci sfuggirebbe il raggiungimento della felicità personale e della pace sociale. Il nostro bisogno ci mette sulla strada di Gesù, fino a sperimentare la sua presenza di salvezza.

Vangelo secondo Matteo 25,14-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

I TALENTI

A fine anno liturgico, ci viene riproposta questa parabola semplice che i ragazzi delle scuole elementari sentivano raccontare alla Messa di inizio dell’anno. Uno stimolo perfetto per decidersi a impiegar bene i propri doni. Non solo per la scuola. Dio non ci vuole passivi, né rassegnati. Abbiamo abbastanza intelligenza ed energia per affrontare ogni situazione, con cura e dedizione. E’ quel che accade ancora nelle case, nelle scuole, negli ospedali, nei laboratori di ricerca, nelle comunità cristiane. Alla fine, il più gran talento è la carità e con essa una misericordia senza confini.

Vangelo di Luca 18,1-8

In quel tempo Gesù diceva ai suoi discepoli: “Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: «Fammi giustizia contro il mio avversario». Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: «Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi»». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

LA PREGHIERA DEL FIGLIO

Cosa sostiene la nostra vita? Cosa dà valore ai giorni e alle attività che compiamo? Non viviamo da soli e non sprofondiamo nella voragine delle difficoltà e nel baratro della disperazione. Non ci salviamo da soli. Gesù ci indica il Padre che vigila sulla nostra vita e risponde al nostro bisogno. La fede di un figlio lo riconosce. Guardiamo con fiducia, invochiamo con insistenza, affidiamoci con umiltà. Nella compagnia dei fratelli, nella comunione della chiesa.

Due o tre generazioni fa si andava a ricevere l’eucaristia mettendosi in ginocchio alla balaustra del presbiterio. In seguito ci siamo incamminati in processione verso l’altare, e il sacerdote ci porgeva l’eucaristia sulla lingua; più tardi venne proposta la comunione sulla mano. E adesso? La novità non viene da una prescrizione liturgica ma da una scelta prudenziale riferita al tempo di pandemia. Adesso è il sacerdote che si incammina tra le file della navata della chiesa, offrendo l’eucaristia a ciascuno dei fedeli che restano in piedi qua e là sulle panche. Cristo ci viene incontro in modo nuovo. Qualcuno lo rileva: “Oggi per la prima volta ho ammirato questa realtà. Ho guardato veramente con stupore! Bellissimo vedere tutte quelle mani protese a mendicare Cristo. Affascinante ritrovare come lo sguardo dei presenti segue il sacerdote che percorrendo la navata della chiesa si avvicina a ciascuna persone e le porgendo il corpo di Cristo. Il desiderio di ciascuno si incrocia con il desiderio di Cristo di donarsi totalmente. Uomini e donne mendicanti di Cristo, non per dovere o per un precetto ma perché attratti da Lui, afferrati dalla Sua persona. Le mani si protendono in cerca di Lui, come tra la folla di duemila anni fa….”
Oggi come allora, possiamo immaginare la gioia di Cristo nel farsi vicino al cuore dell'uomo. Molti lo desiderano e lo domandano con trepidazione, letizia, sofferenza, bisogno; con un amore e una tenerezza indicibile che traspaiono sul volto, nonostante la mascherina. Osservando l’atteggiamento di qualcuno, nasce il desiderio di avere lo stesso sguardo e ugualmente quelle mani protese. Ancora Gesù viene incontro e si avvicina a chi domanda, e lo guarisce, peccatore o bisognoso, ricco o povero, donna o uomo, bambino o adulto. Non un gesto puramente rituale ma un incontro personale che ridesta consapevolezza e decisione.  Chi andiamo a incontrare? Chi oggi ci fa compagnia? Nel timore e nella solitudine di queste settimane non vogliamo restare privi di questa vicinanza, non ci rassegniamo a venire rubati di questo contatto in qualche modo fisico con il Signore.

Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la pandemia? (Cfr Romani 8,35-39). Il segno eucaristico del pane è più del suo mantello toccato dalla donna che perdeva sangue; è più del pane moltiplicato e mangiato dalle cinquemila persone, è più delle gocce di sangue che cadevano dalla croce. Nuovamente e ancora più, anche oggi è di una nuova carezza del Nazareno che noi abbiamo bisogno.

don Angelo Busetto

 

Vangelo di Luca,17,26-37

In quel tempo, Gesù disse ai suo discepoli: “Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell'uomo: mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca e venne il diluvio e li fece perire tutti. Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell'uomo si rivelerà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza, se le sue cose sono in casa, non scenda a prenderle; così chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà. Vi dico: in quella notte due si troveranno in un letto: l'uno verrà preso e l'altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l'una verrà presa e l'altra lasciata». Allora i discepoli gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi».

VERSO L’ULTIMO GIORNO

Questo vangelo ci mette di fronte alla precarietà della vita. Ne facciamo esperienza ogni giorno, e di questi tempi subiamo l’urto delle notizie legate alla pandemia. Qual è il valore del tempo, dell’amore, del lavoro, dei rapporti tra le persone? Tutto vediamo immergersi nella voragine della morte. E allora, perché e come vivere? Viviamo nella certezza che ogni momento della giornata è un passo verso il Signore che viene. Ne intravvediamo i segnali nei frammenti di vita nuova che ci crescono attorno.

 

Vangelo di Luca,17,20-25

 

In quel tempo i farisei domandarono a Gesù: «Quando verrà il regno di Dio?», rispose: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!».
Disse ancora ai discepoli: «Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli. Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all'altro del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione. 

 

L’INIZIO DEL REGNO

 

Il regno di Dio è in mezzo a noi perché il regno è Gesù risorto che permane tra noi. La nostra condizione terrena, vissuta nell’amore e nel lavoro, nella gioia e nella fatica, nella sofferenza e fino alla morte, ci introduce nel mistero della sua croce e risurrezione. Tutto viene trasfigurato e ci fa sperimentare l’alba di una salvezza già presente, che rende lieta e fruttuosa ogni condizione e ogni situazione, come ci testimoniano tanti seguaci del Signore. Nell’attesa del suo folgorante ritorno.

 

Vangelo di Luca, 17,11-19

 

Lungo il cammino Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea.  Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!».  Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati.  Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».

 

UN NUOVO INCONTRO

 

Il lebbroso che torna a ringraziare Gesù non solo sperimenta la guarigione della carne, ma si apre alla salvezza tutta intera. Gesù è più di ogni guarigione del corpo e di ogni liberazione della psiche. L’incontro personale con Lui dona bellezza e intensità alla vita di quaggiù, come vediamo nella vita e nell’opera di San Martino. Fino al compimento della morte, che realizza il transito alla beatitudine eterna nel Signore.

 

 

Domenica 15 novembre 2020 - XXXIII DEL TEMPO ORDINARIO A

GIORNATA DEI POVERI

Preghiamo: SIGNORE, APRI IL NOSTRO CUORE ALLA CARITA’

Introduzione del celebrante

Condividiamo in questa comunità eucaristica le domande che presentiamo al Signore Gesù.

  1. Signore Dio nostro Padre, i tuoi doni riempiono la nostra vita; concedici di impiegarli per il tuo regno, condividendoli con i fratelli, specialmente i più poveri,

Preghiamo: SIGNORE, APRI IL NOSTRO CUORE ALLA CARITA’

  1. Signore Gesù sostieni l’opera dei Pastori che ci accompagnano nella Chiesa; le pubbliche istituzioni lavorino a favore della famiglia, della vita, del lavoro, dell’educazione,

Preghiamo: SIGNORE, APRI IL NOSTRO CUORE ALLA CARITA’

  1. Signore Gesù ti affidiamo tanta povertà materiale e spirituale, nel mondo e nella nostra città; ti affidiamo gli anziani, gli emarginati, i bambini nel grembo materno, i giovani in cerca di lavoro,

Preghiamo: SIGNORE, APRI IL NOSTRO CUORE ALLA CARITA’

  1. O Signore, ti preghiamo per quanti sono sottoposti in questo tempo alla prova della malattia; la tua presenza e la compagnia dei fratelli li aiutino a vivere e a sperare,

Preghiamo: SIGNORE, APRI IL NOSTRO CUORE ALLA CARITA’

Conclusione del celebrante

Signore, apri il nostro cuore alla carità. Mentre ti ringraziamo dei tuoi doni, concedici di vivere con   responsabilità e fiducia.  Tu vivi e regni nei secoli dei secoli.

Spunto della domenica

La nostra vita è un dono; noi siamo un dono, oltre ai tanti doni che ci riempiono la vita. Doni, cioè dati da Qualcuno perché crescano e fruttino. Questo ci apre alla responsabilità-risposta verso il Donatore e rende più impegnativa e più lieta la vita. Non abbiamo da rispondere solo a noi stessi. Interroghiamoci sull’uso del tempo, dell’intelligenza, delle doti affettive, e quindi anche della casa, del denaro, degli oggetti in nostro possesso. Vale per tutti, persino per la donna di casa, come dice la prima lettura. La vera soddisfazione della vita sta nel ‘crescere davanti a Qualcuno’ e nel donarci per il bene di tutti. Ci sostiene l’esempio dei santi e di tanti cristiani viventi.

Vangelo di Luca, 17,7-10

In quel tempo, Gesù disse: “Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».

FIGLI E SERVI

Gesù entra nella profondità della condizione umana: “Egli che era Dio …spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo”. Il Figlio si fa servo per farci diventare figli. Non dimentichiamo questo nostro punto di partenza e svolgiamo ogni servizio non con orgoglio e pretesa, ma con la gioia e la libertà dei figli. Così accade nelle nostre case e nelle comunità, dove tanti figli di Dio, padri e madri e fratelli e sorelle e amici, si fanno nostri servi.

 

Vangelo secondo Giovanni 2, 13-22

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

LA CHIESA CHE FA VIVERE

La basilica del Laterano, chiesa del Papa e della diocesi di Roma, richiama tutte le nostre chiese, luoghi che custodiscono la presenza del Signore non in una sala vuota, ma nel segno eucaristico e nella storia di tante persone che qui hanno iniziato e coltivato un buon cammino. Senza un luogo di convocazione e di preghiera, si spegne la fede, e si immiserisce l’esperienza della chiesa. Ciascuno ripiomba nella solitudine. Lo percepiamo in modo vivo in questi giorni difficili.