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Lo sguardo – di Mauro Bighin

 

Il buio sembrava coprire come un telo nero ogni cosa in quella cella umida, inghiottendo tutto intorno, fino ad assorbire il mondo intero che palpitava fuori.

         “Pietro, non hai paura?”

         “La paura mi penetra fino alle midolla, come il freddo di questa cella.”

         “E cosa ti fa essere così in pace, se hai paura?”

         “Lo sguardo di quella volta che mi perdonò, quando lo tradii.”

         “Ma non fu Giuda a tradirlo?”

         “Oh, sì, fu Giuda certamente all’inizio della storia. Fu lui l’origine di tutto quello che seguì. Inevitabilmente eppure in piena libertà: lui iniziò tutto perché doveva essere così.”

         “Ma allora, di quale tradimento parli, Pietro?”

         “Del mio tradimento, che fu più grave e terribile, perché io Lo amavo.”

         “E come fu che lo tradisti?”

         “La mia memoria ha perso i tratti precisi di quel momento e ne rimangono solo alcune tracce sparse qua e là.”

         “Che cosa ricordi, allora?”

         “Ricordo quella gente che aveva preso Gesù e tutta la rabbia che generò in me il modo in cui lo trattarono. Poi qualcuno di loro mi riconobbe, anche se stavo ben in guardia. Volevo vederlo da lontano, seguirlo senza farmi prendere. Qualcuno, non ricordo se uomo o donna, mi chiese se ero uno di quelli che stavano con Lui. Avrei voluto rispondere «Sì, io sono uno dei suoi, uno di quelli che darebbe la vita per Lui! Io sono suo!» e, invece, risposi che non Lo conoscevo, che non sapevo nemmeno di chi stessero parlando.

Era come se il mio cuore mi fosse tolto dal corpo, come se di colpo fossi stato svuotato. In un attimo tutte le cose grandiose che Lui aveva fatto e che mi avevano fatto sussultare il cuore fossero svanite, rispondendo a quella domanda.”

         “Ti lasciarono andare?”

         “Sì, ma fu per poco, perché rimasi nei paraggi e qualcun altro mi riconobbe, rifacendomi quella domanda maledetta: «Ma tu non sei uno di quelli che lo seguivano?».

E ancora una volta fu come se il mio stesso essere si spezzasse in due: da una parte il cuore, che avrebbe urlato al mondo «Lo capite o no che io sono suo?»; dall’altra la mia mente, che diede la risposta vera, «Non lo conosco». Ebbi paura.”

         “Poi te ne andasti?”

         “No, volevo vederlo. Ero lì per quello. Sapevo che non avrei potuto fare niente per lui ma volevo vederlo, per capire dai suoi occhi se tutto quello che ci aveva promesso e tutto quello che avevamo visto stesse crollando sul serio, stesse svanendo come vapore al sole.”

         “Riuscisti a vederlo?”

         “Non subito, lo dovetti rinnegare una terza volta, prima di poterlo vedere. Fu la più terribile, perché avevo marchiate dentro di me le ferite delle prime due risposte date; tutto il loro peso gravava sul fondo del mio cuore come piombo. Ero sanguinante di dolore ma essi insistevano contro di me: la domanda risuonò lancinante per una terza volta, come la vibrazione di un terremoto, profonda e densa di tragedia. «Costui è uno di quelli, lo si capisce anche da come parla! Sei uno dei suoi?». Fu in quell’istante che urlai come se tutto il mondo dovesse sentirmi: «Non conosco quell’uomo!».

E invece lo conoscevo eccome, e Lui conosceva me più di me stesso. Lui lo sapeva, lui mi conosceva, lui scrutava ogni frammento di me con il suo sguardo e lo sapeva, sapeva tutto. Sapeva persino che in quel preciso istante si sarebbe sentito, lontano, lontano ma forte come un tuono dentro le mie orecchie, il canto mattutino di un gallo. Uno di quei suoni che ti fanno presentire che qualcosa di nuovo sta per iniziare, una bella giornata, l’avventura di un giorno di lavoro, incontri, gioie, cose belle e nuove. Invece quella volta era il sigillo del mio tradimento.”

         “Lui sapeva che tu lo avresti tradito, quindi?”

         “Sì, Lui me lo disse un giorno, ma io non ci feci caso. Diceva tante cose che suonavano strane ai miei orecchi. Non ci feci semplicemente caso, per niente. Ma me l’aveva detto.”

         “E poi che accadde? Se sei qui, in attesa di essere messo a morte nel suo nome, qualcosa deve essere successo ancora.”

         “Lui apparve pochi istanti dopo. Sbucò da un angolo oscuro del luogo in cui ci trovavamo, spinto dalle guardie. Non si poteva guardare da come l’avevano ridotto. Non era più lui. Se non per quello sguardo.”

         “Quale sguardo?”

         “Lo sguardo che mi rivolse, subito. Appena girato l’angolo, guardava già verso di me, come se sapesse che io ero lì, proprio lì, in quel posto esatto. Girato l’angolo, in quella maschera di sangue che era divenuta il suo volto, emergeva solo il suo sguardo su di me. Guardò me, capisci? Guardò me e basta. E non fu uno sguardo di delusione, non mi guardò come si guarda un figlio che non ha fatto le cose per bene come tu volevi. No. Non mi guardò come qualcuno che vuole ferirti perché tu hai ferito lui. Mi guardò amandomi. Non serve che ti spieghi: avrai ricevuto anche tu una volta lo sguardo di chi ti ama, inconfondibile. Uno sguardo che è una carezza. Da quel volto insanguinato, una carezza.

In quello sguardo c’era tutto di Lui e tutto di me insieme. C’era tutto quello che di Lui mi aveva colpito e tutto quel poco che ero io. C’erano la sua misericordia e la mia miseria, plasmate insieme. Tutto in quello sguardo, di perdono, ne sono sicuro.”

         “E tu?”

         “Lo portarono via in un secondo, e non lo vidi più, fino a quando non l’appesero a quella croce. Appena sparì dalla vista, sentii la burrasca del mio tradimento emergere impetuosa, finalmente consapevole e senza freni. Mi girai e me ne andai in fretta in un angolo buio e feci ciò che non avevo fatto mai: piansi. Piansi come mai mi era accaduto nella vita: io ero Simone, quello duro, quello che aveva sempre le risposte giuste, che non cedeva mai, che si buttava nelle cose, che sfidava il mondo per seguirlo. Ma piangevo perché, con quello sguardo, era come se tutto il mio tradimento fosse stato lavato via, come se non esistesse più. Non che non fosse successo, ma che anche se successo, non era l’ultima parola su di me. Ero sicuro che avrei tradito ancora, ma non finiva più tutto al mio tradimento. Quello sguardo mi diceva che non importava, che si sarebbe sistemato tutto, se solo avessi continuato a guardare Lui.”

         “E’ per questo, allora, che sei qui?”

         “Solo per questo sguardo che ha solcato la mia esistenza, riempiendola di un amore così grande che le parole non sono abbastanza per raccontarlo. Sono qui per questo, solo per questo. Ho vissuto la mia vita per questo, ho guardato te solo per questo.”

    Il rumore del chiavistello della cella fu un fragore insopportabile in quel silenzio oscuro. Il cigolio del cancello di ferro fu una sentenza di condanna.

         “Pietro, è ora. Andiamo”

         “Vengo”, disse senza esitazione, docile.

Dal corridoio illuminato malamente dalle torce delle guardie intravidi lo sguardo di quell’uomo che si voltava verso di me.

         “Solo per quello sguardo”, mi disse ancora una volta mentre lo portavano via.

 

 

 

 

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